UNA PER UNO

UNA PER UNO
babbucce

lunedì 28 febbraio 2011

LESSICO FAMIGLIARE 2

E’ intorno ai 12 anni che ho scoperto la ceretta da scaldare. Subito dopo ho iniziato a togliere i baffetti a tutte le mie amiche, glabre e meno glabre (esclusa la reticente Migliore Amica, testarda come sette muli, ma questa è un’altra storia).
Già dunque dai tempi delle medie nessuna di coloro che veniva a fare i compiti da me (o anche solo a fare merenda) sfuggiva alla mia volonterosa e lesta generosità: scaldavo il pentolino e poi zac, zac, in due mosse i baffi sparivano e il contorno labbra si delineava purissimo. Le mie amiche dopo gli urletti di dolore di pragmatica (che mi innervosivano non poco, anche perché la mia tata su un punto era stata chiara fin da subito “Per comparire bisogna soffrire") si rimiravano davanti allo specchio di camera mia,  facendosi largo con lo sguardo tra le scritte in pennarello: Woodstok: 3 days of peace music and love;  Ti AMO STUPIDO MUSSO; E’ un anno che ti vengo dietro: se ti sposti magari passo (tanto per citarne alcune).
L’ attività di paraestetista avviata subito dopo l'inizio della pubertà era (ed è tuttora)  espressione di quell’ incoercibile impulso di aiutare l’universo, tipico degli Acquari e irritante per i placidi Toro,  quindi anche per Futuri Nonno Biologico e Nonno Putativo, inclini, per imperativo categorico astrale, a prendersi cura solo di se stessi e di altri pochissimi intimi.
Da cosa nasce cosa. Dopo aver imparato a fare i baffi mi sono specializzata in lettura di tarocchi. Attenzione però: secondo codici messi a punto da me, lontanissimi come la luna da quelli convenzionali, ovvero rigorosamente rivolti prima a indagare sulla personalità dell’amica-interrogante e poi a fornirle dritte su come sfruttare al meglio armi e strumenti avuti in dote dall’interazione tra genetica e ambiente.  I miei tarocchi, ieri come oggi destinati solo alle amiche, a richiesta discettano anche d’amore, sono cioè capaci di prevedere l’arrivo di splendidi principi azzurri nonché la nascita di intrighi, passioni, incontri intimi di rara intensità e avventure mordi e fuggi (tipo quelle di Sex and the city o di Disperate housewives).
Così le mie amiche mese dopo mese, anno dopo anno, lustro dopo lustro, hanno imparato a suonare alla mia porta ogni volta che per loro diventa impellente la necessità o di non assomigliare più a Frida Kahlo (questa Nonno Putativo e Nonno Biologico non la capiranno ma tutte le donne dell’universo sì) oppure di ascoltare, giusto per sognare un pochino a occhi aperti, una fiaba confezionata per loro (con l’autorevole supporto dei tarocchi) o anche tutte e due.
Così la mia amica Marika, una specie di Erin Brockovich sia per numero di figli che per avvenenza e coraggio e ironia e fragilità, ha cominciato a dire, per esempio:
<<Pronto ciao. Posso venire da te per un po’ di baffi&tarocchi?>>, oppure: <<Ho 30 minuti e sono triste: puoi venire da me per baffi&tarocchi?>>, o ancora: <<Sabato i bambini sono via: woww un tripudio di baffi&tarocchi”.  
Ed è stato così che queste due parole unite sono entrate a far parte del lessico famigliare mio e di tutte le altre amiche, per alludere genericamente alla meravigliosa opportunità di avere un po’ di tempo per tornare piccole, che poi sarebbe la metafora del volgare ma calzante cazzeggiare.   

sabato 26 febbraio 2011

LESSICO FAMIGLIARE 1

<<Senta mamma di A. potremmo allora chiedere a lei per le sogliolette che serviamo al venerdì?>>
<<?>>
<<A volte le sostituiamo con il merluzzo, altre con le seppioline, che però non piacciono a tutti! E sa com’è, i bambini…Comunque anche per noi suore alla domenica facciamo pasta o riso coi frutti di mare… >>
<<???>>
<<Si accomodi prego nel mio ufficio che vorrei dirle quanto ce ne occorre in tutto l’anno…. per un preventivo…con la mano sul cuore, neh?>>
<<???????????????>>
Era una suorina grande così, di modi umili ma di temperamento deciso che passetto dopo passetto, rosario dopo rosario, nella scuola materna frequentata da Figlio era riuscita a ottenere il ruolo di amministratore unico, per nulla ambito dalle altre sorelle, ma da lei fortemente voluto in quanto prima della chiamata del Signore aveva studiato economia.
<<Suor Mariolina, non capisco…>>
<<Guardi che le garantirei di rifornirci tutto l’anno: posso farle un contratto scritto. E pagamento mese per mese. Sogliole, merluzzo e seppioline a volte frutti di mare o cozze…mmmm..vediamo quanti chili>>.
<<SUOR MARIOLINA, la prego, mi stia a sentire, non so di cosa sta parlando…LA PREGO M’ILLUMINI!>>
<<Ma della sua pescheria, ovviamente, vogliamo diventare suoi clienti…Poi da cosa nasce cosa, la curia ha approvato l'idea, chissà mai che prima o poi non interessi anche al vescovado...>>
<<Pescheria? Ma…guardi…suor Mariolina lei si sbaglia…>>
<<Mamma di A. ma è sicura? E’ suo figlio che ce l’ha detto….>>
Un attimo ancora di smarrimento, poi il flash come quello che ogni tanto riporta al passato i dispersi di LOST, suscitando gratitudine negli appassionati della serie che, senza questi rapidi salti all’indietro, capirebbero ancora meno della incasinatissima trama (che pure causa dipendenza quindi attrae e repelle nello stesso tempo).

<<BASTAAAAAAAAAAAAAA. FATE SILENZIOOOOO. DEVO CONSEGNARE UN PEZZOOO ENTRO UN’ORA E COSI’ NON RIESCO A SCRIVEREEEEE. FUORIIII DAL MIO STUDIOOO>>
<<Ma..mamma…avevi promesso che uscivamo>>
<<Senti qui, te lo dico ancora una volta: io per contribuire all’andamento della famiglia, che tradotto in italiano vuol dire per aiutare papà UNO: a darvi da mangiare a tutti (cane compreso), DUE: ad avere un tetto sulla testa TRE: a possedere una stanza piena di giocattoli e di libri VENDO PEZZI e per venderli devo prima scriverli!!! E per scriverli ho bisogno di pace e di silenzio>>
<<Ma’?>>
<<COSA ANCORA?>>
<<Sei una pezzivendola!>>
<<Esatto! Proprio così. E ADESSO FUORIIIII>>

 <<Suor Mariolina?>>
<<Sì?>>
<<Qui c’è un equivoco>>
<<????>>
<<Pezzivendola…con due “z” non con la “sc”>>
<<Ma che è? Non l’ho mai sentito>>
<<Dunque…ehm…è che sono-una-giornalista-free-lance-che-scrive-articoli-per-i-giornali-e-gli-articoli-si-chiamano-appunto-pezzi. Scusi, sono sicura che A. non voleva prenderla in giro. Un fraintendimento, creda>>
E quella fu la conseguenza del primo contributo di Figlio alla  costruzione del nostro lessico famigliare. Aveva tre anni e noi sentivamo che avrebbe potuto fare ancora meglio.  

venerdì 25 febbraio 2011

VIAGGIO NEL QUADERNO

<<Sette cani facevan le carogne, ma perché cercate rogne? Facete le carogne…>>
E’ stato questo il primo componimento poetico di Figlia. L’avevo dimenticato, nonostante l’intensità del suo significato intrinseco, ma per fortuna il quaderno (rilegato, copertina nera, fogli a righe) in cui ho annotato tutto quello che di rilievo le è accaduto (o ha compiuto) dalla nascita ai 12 anni di vita me l’ha restituito intatto. Quaderno è stato uno dei privilegi della primogenitura: con Figlio ho deciso di archiviare tutto nella memoria, col risultato che come niente potrei aver smarrito  per sempre (e mai me lo potrò perdonare) endecasillabi capaci di suscitare identico pathos.
Anche Figlio, infatti, al pari della sorella, è stato poeta dai due ai quattro anni di età, senza però suscitare in me quell’attonito stupore che mi ubriacava, per poi suggerirmi di aver messo al mondo una creatura unica e speciale, capace di gesta che nessun altra nel mondo avrebbe potuto compiere. Era la prima e già il fatto che respirasse mi appariva eccezionale, figuriamoci che pronunciasse le prime parole - Cocodio Camio, (coccodrillo Camillo) – che portasse il cucchiaino alla bocca, che indicasse con precisione che scarpette voleva le venissero acquistate, e fa niente se erano sempre e solo le più truzze disponibili sul mercato. Quando poi cominciò l’epoca dei versi sciolti e delle rime baciate, che avevano per protagonisti pesci-ragno, cani e pipistrelli, sempre perfidi perché sfortunati, poco ci mancò che gridassi al miracolo, per poi escludere l’intervento divino e  portarla di filato all’Istituto per lo Studio e la Tutela dei Bambini Prodigio.  A mia discolpa la presunzione dei 20 anni, unita all’inesperienza e all’entusiasmo dei neofiti. Continuo questo viaggio a ritroso sfogliando il quaderno un po’ sciupato e mi accorgo con sorpresa che non sto cercando mia figlia bambina, ma me stessa. La me stessa dell’epoca dei bambini piccoli, la più faticosa, la più straordinaria di tutta la vita. E mentre leggo: 20 settembre 1980: primo sorriso “vero”, ritrovo la meraviglia, la felicità, la paura e il coraggio, la forza e la vulnerabilità della me stessa di allora, una ragazzina diventata mamma. Vade retro magone. La formula funziona, sarei stata un ottimo esorcista.  Ecco già rido e penso che una ragazza un po’ lo sono ancora, anche se sto per diventare nonna. Una ragazza nonna. Che confortante idea.      

mercoledì 23 febbraio 2011

DI SABBIA, RAPERONZOLO E OSCAR WILDE

Il bello di Nipotino in versione 3 D è che, nonostante sia preciso identico all’uomo di Munch (anche per via delle minuscole mani contro le invisibili orecchie),  trasmette allegria. Mi basta gettare  un’occhiata su questa nuova polaroid, che l’amico ginecologo in un guizzo di generosità ha consegnato a Figlia, specificando che si trattava di una copia “per la nonna”, per avere la certezza che sì valeva proprio la pena di venire al mondo. Nipotino è la continuità, è la straordinaria notizia dopo una lunga sequela di sfighe di vari formati. Nipotino è la vita. Nipotino è il patto col diavolo, quello di Dorian Gray: voglio riempire la casa di libri nuovi con tante figure e voglio ritrovare subito, oggi stesso, i libri vecchi con le mie storie preferite (Codaditopo, Raperonzolo, Il mistero delle tre melarance). Voglio un cesto di vimini pieno di giocattoli morbidi, che abbiano un odore fragrante che stuzzichi il desiderio di addentarli, quasi fossero manghi maturi (già lavati e sbucciati). Voglio che dal vivaio portino sulla mia terrazza una montagnola di sabbia (a costo di beccarmi la raccomandata dell’amministratore) e voglio un secchiello a pois, palette e stampini a forma di gatto, stella, cuore. Per finire, voglio l'accappatoio verde dell'Ikea che sul cappuccio ha disegnata la faccia di Shrek.  Futuro Nonno Putativo è d’accordo, senza riserve. L’orso, le scarpine, la tuta arancione taglia 00 e il bavaglino coordinato che stazionano nello studio e sono meta di un condiscendente e rassegnato pellegrinaggio per chiunque ci venga a trovare non gli bastano più. Si vede che è stato incluso anche lui nel contratto diabolico per il recupero della giovinezza, dimensione evidentemente più esistenziale che anagrafica, di cui sono peculiarità inscindibili la noncuranza verso  le possibili conseguenze legate a montagnola di sabbia in una terrazza di città e l’euforia alla sola idea di fare il bagnetto a uno piccolo (ma, si spera, con tanti anelli di ciccia) che potrebbe piangere inconsolabilmente perché o  non vuole più uscire dalla vaschetta oppure (e questo è peggio) non ci vuole entrare.  

domenica 20 febbraio 2011

BRACCIO DI FERRO COL DESTINO

<<Vedi? è la prima stella della sera…>>
<<Scì, scì  la vedo>>
<<E sai una cosa?>>
<<No, io sciò  niente>>
<<Allora, quando succede di vedere accendersi la prima stella della sera, e non è tanto facile, si può esprimere un desiderio>>
<<Daverrro mamma? Ma poi si vera?>>
<<Be’, è possibile che si avveri. E’ una stella gentile. Vuoi provare?>>
<<Scì!>>
<<Allora forza, concentrati, chiudi gi occhi ed esprimi il desiderio>>
<<…………………>>
<<Fatto?>>
<<Scì>>

<<ASPETTATEMI!!! Ci sono anch’io! Mamma aspettami…uff uff… Che guardate lassù? C’è la stella della sera?>>
<<Scì, veni anche te…ho fato il desiderio>>
<<Mamma, l’hai detto anche a lui del desiderio? Ma è ancora piccolo…>>
<<Scì, anche a io. No, io no picolo. Io ho fatto. Lo facete anche voi? Sorella? Mamma?>>
<<Sì, adesso ci penso. Dai sentiamo: tu cos’hai chiesto? Il guscio di Raffaello, la spada di Michelangelo e la maschera di Donatello?>>
<<No, niente di quelo. Io chiesto che la mamma non abia più il lavoro. Neanche uno>>
<<MA CHE SEI PAZZO? Se la mamma non lavora noi diventiamo poveri ma poveri che te li sogni le robe dei ninja e gli ovetti Kinder>>
<<No importa. Mi piace sensa lavoro così sta sempre con me, anche di matina e così poso no andare l’asilo>>  
<<Va bè, mamma di’ qualcosa: per colpa di mio fratello adesso devo rinunciare al mio desiderio, per fare un controdesiderio>>
<<….?>>
<<Lavoro per te, ecco cosa devo chiedere. Sennò come facciamo? Stella, io desidero che alla mamma il lavoro arrivi sempre>>
<<Cativa, cativa, cativisima te!>>
E fu così che Figlia di 10 anni, sotto il cielo del tramonto davanti al mare dell’Elba, mi evitò la disoccupazione, salvando lei e il suo incosciente fratellino da una vita di stenti.  

sabato 19 febbraio 2011

AL TELEFONO CON MARY POPPINS

Di lei ho un ricordo dolce nonostante avesse modi da sergente e una presunzione da Mary Poppins che me la faceva credere infallibile. Non aveva niente di materno e non ci teneva neanche, se è per questo, un po’ perché secondo lei le mamme erano irritanti con tutti quei “picì piciò, amorino, poverino” , un po’ perché l’ultima cosa che voleva era mettersi in competizione con la titolare.  Voleva invece, con granitica determinazione, che mi ficcassi in testa  - a costo di aprirmela e poi richiudermela -  cos’era BENE e cosa MALE. Tutti in maiuscolo, era solita precisare, perché lei di peccatucci minori non si curava affatto. I suoi precetti e i suoi dogmi indiscutibili, i suoi proverbi  creati a mio uso e consumo di bimba inappetente (chi non mangia la carne di giochi non può farne), gli aneddoti della sua (innocente) vita di prima, prima di me intendo, li porto dentro insieme al suo odore unico, un mix di lacca per capelli (li cotonava verso l’alto), biscotti al burro, sapone da bucato, sciroppo per la tosse alla ciliegia, solvente per le unghie (le aveva lunghe, curatissime e rimetteva lo smalto a ogni prima invisibile sbeccatura).
 Si chiamava Teresa e la prima volta che la vidi avevo 17 mesi. E’ stata la mia tata per quasi nove anni, poi lei non ci ha voluto più. Sognava una casa sua e un marito e, disgraziatamente per me, riuscì a trovare il secondo così ebbe anche la prima e se ne andò, proprio come Mary Poppins, in una sera di vento, lasciandomi una scatola di domino per ricordo.
Le ho telefonato due settimane fa, dopo aver faticato non poco a rintracciarla. Non la sentivo da circa 30 anni (l’ultima volta è stato quando è nata Figlia).
<<Tata Teresa…>>
<<Checcè?>>
<<Sono io. Ti devo dire una cosa>>
<<Buongiorno. Prima di tutto se dise bongiorno e poi se domanda “come stai”?>>
<<Buongiornocomestai? DIVENTERO’ NONNA>>
<<Non xe uno dei to’ scherseti? Come quea volta che te me ghe dito: “Tata Teresa, ho le mani sporche, per favore prendimi tu dalla tasca il fazzoletto”. Ma non ghe g’era nessunisimo fasoleto: na rana viva, eco cosa>>
<<Non l’hai mai dimenticato vero?>>
<<No, mai. E infati no ghe a go più fata a metere le man in te e tasche de qualcuni altri>>   
<<Teresa, non è uno scherzo, ad agosto Figlia avrà Bambino!>>
<<Un puteo! Giurame che quando el nasce te me o porti a veder. Me o merito con tuto quelo che te me ghe fato pasar. Na volta parfino te me ghe dito: “Tata Teresa, ho le mani sporche ….>>

venerdì 18 febbraio 2011

TERZA ECOGRAFIA

Bambino oggi è stato visto in 3 D. Figlia, guardando le immagini che correvano rapide sul video, non era sicurissima che si trattasse proprio di un feto umano, ma ha accettato di buon grado l’idea di avere in grembo ET perché ha una mente aperta da scienziato e come mito Dana Scully.  
 Il ginecologo, amico carissimo (e carismatico), responsabile della nascita di vari (ex) bambini della famiglia, tra cui uno mio, e in pole position per diventare a sua volta nonno, a ecografia ultimata ha stabilito che, a proposito di presunta data del parto, era tutto da rivedere. All’occhio dell’ecografo Bambino è apparso più grosso di quello che dovrebbe, secondo i conti fatti durante la prima visita. Qui si sta parlando di novantasettesimo percentile, il che vuol dire che  considerando 1000 bambini della sua stessa età gestazionale quelli più grossi di lui sono davvero pochi. Ma secondo il ginecologo questo non dipende dal fatto che Bambino è il novello Pantagruel. E’ solo che è più anziano (se così si può dire) rispetto a quello che dovrebbe essere secondo le indicazioni, evidentemente sbagliate, che gli ha fornito Figlia.  E se lo dice lui ci dobbiamo credere. Perché dovete sapere che s’intende proprio di bambini. Pensate che a qualsiasi ora del giorno e della notte gli tocca di partire alla volta dell’ospedale con la sua valigetta in mano per effettuare consegne delicate.  La valigetta contiene bambini nuovi (uno alla volta, raramente due) da recapitare alle mamme che li reclamano dal reparto maternità.
Così, tanto ma tanto tempo fa, Figlio spiegò a Figlia (sua sorella) in che modo fosse riuscito ad arrivare fino a noi. Ed è da quella volta che Figlia ha cominciato ad accarezzare l’idea di studiare medicina. Per la valigetta.

giovedì 17 febbraio 2011

UNA FIABA PER FIGLIA (E PER TUTTE LE MAMME E LE FIGLIE)

<<Come faceva quella storia di Dio che creava le madri?>>
<<Be’,  raccontava che sono state, a suo tempo, un articolo di complessa fabbricazione>>
<<Sì, ma dimmi meglio, non mi ricordo bene…>>
<<No, detta così a memoria perde tutto>>
<<Me la trovi?>>
Figlia ha voluto che le cercassi una fiaba per mamme che le avevo letto tanti anni fa.   A scriverla, la giornalista americana Erma Bombeck, capace di imbastire con identica divertita noncuranza  storie meravigliose, affermazioni impopolari di squisita sagacia - ognuno di noi nel corso dell’esistenza vive momenti che mettono alla prova il suo coraggio. Portare dei bambini in una casa con un tappeto bianco è uno di questi - imperativi categorici di sconfinata saggezza: non prestare mai la tua auto a qualcuno a cui hai dato la luce.  
Ecco la storia che voleva rileggere Figlia. E’ per lei e per  tutte coloro che sono mamme e sono (solo o ancora) figlie.
Il Signore stava creando le Madri quando gli apparve l’Angelo e gli disse:
“Queste qui ti dà moltissimo da fare”.
E il Signore: “Hai letto le caratteristiche dell’ordine? Deve essere lavabile, ma non di plastica. Avere centoottanta parti movibili, tutte sostituibili. Funzionare a caffè. Avere un bacio che  possa curare ogni cosa, dalla gamba rotta alla delusione d’amore. E avere sei paia di mani”.
L’Angelo scosse il capo: “Impossibile!”.
“Non sono le mani che mi creano problemi, sono le tre paia di occhi che devono avere le madri”, disse il Signore.
“E’ previsto nel modello standard?”. Il Signore annuì: “Un paio devono vedere attraverso le porte chiuse e un altro paio quello che non dovrebbero vedere ma devono sapere.”.
“Signore, è meglio andare a letto. Domani…”.
“Non posso”, rispose il Signore, “Sono vicino a creare qualcosa di assai simile a me. Ne ho già una che guarisce da sé quando è malata, che sa nutrire una famiglia di sei persone con mezzo chilo di carne trita ed è in grado di far stare sotto la doccia un figlio di nove anni”. 
L’Angelo fece un giro intorno alla Madre. “E’ troppo tenera!”.
“Ma dura”, replicò il Signore in tono eccitato. “Non puoi immaginare cosa sia in grado di fare e sopportare questa Madre”.
“Sa pensare?”.
“Non solo, ma anche ragionare e trovare compromessi”. 
A quel punto l’Angelo fece scorrere le dita sulle guance del modello: “C’è una perdita! Te l’ho detto che ci vuoi mettere troppe cose”.
Il Signore si avvicinò per osservare meglio e sollevò con un dito la goccia di umidità che rimase lì a brillare.
“Non è una perdita…E’ una lacrima”.
“A  cosa serve?”, chiese l’Angelo.
“Per la gioia, la tristezza, la delusione, la pietà, il dolore e l’orgoglio”.
“Sei un genio!”, esclamò l’Angelo.
Il Signore si rabbuiò: “Questa non l’ho messa io”.

mercoledì 16 febbraio 2011

COME ISABEL ALLENDE

Febbraio: tempo, per me, di mammografia. Ligia come sette cinquantenni ligie, ho inforcato la mia bicicletta (arancione, con cambio shimano) e pedalato in direzione dello screening che la premurosa regione in cui vivo offre gratuitamente alla popolazione femminile, in fascia di età compresa tra la mia e i 65 anni. Sono tornata a casa con il cuore colmo di quella sottile sensazione di felicità da “dovere compiuto” che provo in poche altre occasioni, per esempio dopo aver lavato i vetri, eventualità peraltro insolita quanto un pesce su una pianta.
Bene: adesso per due anni potevo non pensarci più. Sì, ciao.  
Una solerte infermiera della senologia poche ore dopo mi ha chiamato sul cellulare per dirmi che, ehm..sì…di non spaventarmi, ma il radiologo, già, insomma, aveva un dubbio su un’immagine e per scrupolo, purissimo e per nulla indicativo s.c.r.u.p.o.l.o, desiderava ripetere la mammografia del seno sinistro e be’, come dire, voleva couf …couf... anche effettuare - visto che c’era, s’intende, non che ce ne fosse bisogno - una... ehm…ecografia.
Mi aspettava per l’indomani, cioè oggi. Non volevo affatto dirlo a Figlia ma sarebbe stato difficile eluderla, poiché è lei che veglia sul fronte indagini-a-scopo-diagnosi-precoci, crocefiggendomi affinché a intervalli regolari mi sottoponga a un carosello di esami volti a individuare tempestivamente varie disgrazie che, per fare in modo che non si trasformino in tragedie, è d’obbligo curare all’esordio. Infatti.  
<<E allora? Che ti hanno detto?>>
<<Niente, mi diranno tra un po’>>
<<Giura>>
<<Giuro>>
<<Sulla mia testa>>
<<Senti ho da fare>>
<<……………>>
<<Vado, ciao a domani>>
<<Mamma …mamma …dimmi cosa ti hanno detto…>> 
<<Ehi, ripigliati, niente di che…>>
<<O mi dici o chiamo l’ospedale>>
<<Va be’, rinvieni. Bada che così meni gramo>>
<<Non dirlo neanche per scherzare. Forza avanti, che ti hanno detto?>>
<<Niente di che, devo ripetere la mammografia: hanno visto un’ombra, vogliono approfondire…>>
<<Mamma, ascolta bene: non farti saltare in mente di averci un cancro. Non permetterti di morire. V-I-E-T-A-T-O: hai sentito bene?>>
<<Sì, certo tranquilla. Sai chi l'ha detto uguale?>>
<<…….?>>
<<Isabel Allende, la tua preferita, proprio a sua madre. Così, come te: “Non permetterti di morire”. Lo scrive in Paula, l’hai preso da lì>>
<<Non l’ho letto, Eva luna racconta sì, quello no. E poi non è la mia preferita. Preferisco Buzzati e Scerbanenco>>
<<Neanche la Casa degli spiriti?>>
<<Basta mamma, tanto non attacca. Non possiamo andare subito? Chiamo io, forse è di turno Fabio, che mi deve più favori di una escort>>
<< Non ti ci provare neanche, tienili per altro i favori. Sei ore in più sette ore in meno sempre precoce sarà. La diagnosi>>
<<Vengo a stare lì, fino a domani…>>
<<Escluso: sono fuori a cena>>
<<Mamma? Prometti che non hai niente>>
<<Promesso>>.
Ogni promessa è un debito: così le ho insegnato a suo tempo.

<<Ho promesso. Non posso avere il cancro>>
<<Come?>>
<<No, dicevo, se si riuscisse a non trovarmi niente…>>
<<Cara signora, faremo il possibile. Ma non dipende da noi…>>
Ma va? 
<<Allora, un’altra proiezione sola…Adesso schiaccio un po’, mi dica se resiste…Brava…Ferma…Tenga il respiro…Ecco fatto, si accomodi di là, per l’ecografia. Le lastre le porto io…>>

<<Si sdrai, prego…>>
<<Senta, diventerò nonna ad agosto, lei capisce…devo per forza insistere: per-favore-non-mi-trovi-niente>>
<<Ferma, mmm…dunque….....ah bene: tranquilla sono cisti a contenuto liquido…niente di che. Su, su, non si metterà mica a piangere? E’ una bella notizia, non c’è nulla di serio>>.
Visto Nipotino? Sono una nonna d’onore.

martedì 15 febbraio 2011

8 marzo 1980

Mi apparvero all’improvviso, inaspettate, mentre pensieri lievi come l’uranio e allegri quanto un coro di prefiche,  mi turbinavano in testa, come un vento molesto, con tenacia da parassita.  
Me le trovai davanti mentre mi concentravo sull’idea che neppure il caso più fortuito, tra i casi fortuiti, mi avrebbe permesso di incontrare   una compagna di scuola,  un fidanzato respinto,  Otello il salumiere, tanto per dirne alcuni. Mi avrebbe permesso di incontrare mia madre.  Ecco qui, sputato il rospo. Niente portici, niente facce amiche, ma soprattutto niente mamma.  
Mamma, mi manchi (ma resisterei anche al pentotal da tanto che non lo voglio ammettere)  
Peggio per me, me l’ero voluta io. Avevo puntato i piedi, litigato e poi implorato. Avevo urlato e messo il muso, disperata e ostile, caparbia, irremovibile. E adesso, dopo tutto quel daffare, dopo aver convinto e vinto eccomi qui a rimpiangere perfino Otello il salumiere, che oltretutto non mi era mai piaciuto per la couperose da eccesso alcolico e l’intollerabile consuetudine di leccarsi le dita per prendere agevolmente i fogli di carta oleosa, su cui poi metteva il prosciutto.  
Chi è causa del suo mal … Già proprio così: per quanto cercassi non riuscivo a trovare neppure l’ombra di un capro espiatorio. Caparbia, ostinata sì, ma abbastanza onesta da non tirare fuori padri assenti e infanzie difficili.  Me l’ero voluta io, personalmente io, nessun vissuto mi ci aveva spinto, nessuno mi aveva incoraggiato. Anzi il mondo (il mio) aveva cercato di dissuadermi. Cretina. CRETINA. Oltretutto dovevo comprare pane e detersivo e, già, una bacinella (c’era stato un tempo, poco tempo prima, in cui non sapevo neppure che esistessero). Nella tasca della salopette frusciavano diecimila lire: ben altro ci avrei potuto fare. Ci sarebbero uscite giuste giuste almeno un paio di T-shirt di (magari di Fiorucci) e giù altro magone (che taglia avrei dovuto prendere adesso? Non certo la small di prima, mannaggia a me).  
La vista di loro mi distolse un attimo dall’angoscia per la mia sorte (di cui ero unica artefice ma questo non è che migliorasse il mio umore).
Erano tante,  erano bellissime, erano donne. Camminavano tenendosi a braccetto, una vicina all’altra. Mi fermai sul marciapiede a guardarle. Una di loro mi fece cenno con la mano. Vieni, dai vieni anche tu. Andai verso di lei, che mi fece spazio, mi accolse, affettuosa, materna. Le altre mi sorrisero. Una di loro, Marina, mi diede un rametto di mimosa.
<<Sei di qui?>>
 <<Adesso sì, ma ci abito da poco…Mi sono trasferita, per sposarmi…Mio ehmm..mari..achh non riesco ancora a dirlo, insomma è lui a essere di qui...>>
<<E di', si sa cos’è?>>
<<No, non di sicuro>>
<<Una bambina, vedrai!>>
<<Sì, io lo sento, ma mi hanno detto di non fidarmi…>>
<<Fidati invece, ci pare anche a noi. E quindi adesso andiamo: due in più, che bellezza...>>.
E fu quello il primo corteo a cui partecipò Figlia. Era l’8 marzo 1980: sarebbe nata esattamente  cinque mesi e due giorni dopo.    

domenica 13 febbraio 2011

LO STRANO CASO DEL NOME SOFISTICATO

Da quando Figlia e Figlio se ne sono andati per la loro strada, in casa siamo rimasti in quattro. Futuro Nonno Putativo, io, Gino e la Signora Luisa, che si potrebbe credere siano una coppia di badanti a tutto servizio. Errore. I badanti a tutto servizio di Gino e della Signora Luisa siamo noi, Futuro Nonno Putativo e io, da cui i due dipendono da ogni punto di vista.  
Gino e la Signora Luisa hanno una coda, quattro zampe, un naso umido e nero e orecchie eloquenti. Lui è un bassotto ruvido di pelo e di carattere, lei un mix di varie razze, una più maldestra, sgraziata e ingombrante dell’altra, tant’è che Futuro Nonno Putativo  a volte, quando è sicuro che lei non lo senta, la chiama “Quarto di bue” (la somiglianza in effetti  è impressionante, povera testona).
Insieme raggiungono i 42 chili, Gino contribuisce per otto.  In origine avevano altri nomi: per lui avevamo scelto Gorgia un po’ per onorare la memoria del sofista da Lentini, un po’ perché, lo giuro, questo nome era perfetto per il suo muso ieratico da pope.
Per lei, gli assistenti del canile, dove era stata accolta dopo l’abbandono,  avevano scelto Mindi.   Gorgia e Mindi: permettete che vi presenti i miei cani.  
<<Ah, è una femmina…>>, constatavano tutti coloro a cui comunicavo il nome di Bassotto, ignorandone con rara ottusità l’atteggiamento nei pressi degli alberi.
<<No, ehm.. è un maschio…>>
<<E allora perché cavolo l’hai chiamato Giorgia?>>
<<Veramente…Gorgia…Con la “O”. E’ maschile, anche se finisce con la “A”. Anche Luca, del resto, e Andrea, presente?>> e giù, con affanno, a citare esempi: Elia, Tobia, Mattia, Enea…  Niente da fare. Mi guardavano strano. O con stizza.  Negli estranei suscitavo antipatia. Negli amici disapprovazione.  Nei conoscenti diffidenza.  
Dopo vari mesi di ‘sta vita (soprattutto al parco e per strada ma una volta perfino nell’area cani dell’Autogrill)  ho acquisito la piena consapevolezza di aver toppato il nome di Bassotto. Non piaceva a nessuno e in più suonava come uno sfoggio di cultura  estremamente fuori luogo. Un di più di cattivo gusto. Un mettersi in mostra gratuito.  Lungi da me questa idea, ma vai te a convincere chi ormai se l’era messo in testa.
Cambiare nome a un cane non è comunque una decisione da prendere a cuor leggero, perché il poveretto, in seguito a una simile iniziativa, potrebbe andare incontro a una crisi di identità, che potrebbe destabilizzarlo per sempre. 
Ed è qui che è entrato in scena Aspirante Genero (allora non ancora Mancato). Pranzo domenicale dopo pranzo domenicale, ha cominciato ad apportare leggere modifiche al nome cannato.
Ha iniziato con Luigio (che a suo avviso – e solo suo - presentava un’ assonanza con l’originale).
<<Vieni Luigio, il biscotto!>>, e Bassotto accorreva (secondo noi perché capiva benissimo l’invariato “biscotto”, ma AG era fiducioso).
Da Luigio siamo arrivati a Luigino per giungere infine al definitivo GINO. In un paio di mesi Bassotto si è abituato al nuovo nome, inequivocabilmente maschile, sufficientemente proletario ed evocatore (a differenza dell’altro) di scarsa loquela.
Nella fase di transizione in cui Bassotto era chiamato Luigio, Aspirante Genero (allora non ancora Mancato), nella sua veste ufficiale di ribatezzatore di famigliari quadrupedi e non, consanguinei e non (al riguardo rimando alla questione Snella affrontata nel post “Acronimo scaccialacrime”) ha deciso che per l’equilibrio cosmico, su cui evidentemente gioca un ruolo di rilievo l’affinità etimologica dei nomi dei nostri cani, Mindi dovesse diventare Luisa.
Da Luisa a signora Luisa il passo è stato breve: lei anagraficamente non è più una ragazza e di Gino riteniamo sia la moglie, anche se per varie ragioni, soprattutto logistiche, si tratta di un matrimonio bianco.
Sono certa che Gino e la Signora Luisa contribuiranno in modo determinante alla felicità di Bambino.

sabato 12 febbraio 2011

CORSI, RICORSI E UN CASSETTO DA SISTEMARE

Grazie a quella tendenza a precorrere i tempi che caratterizza gli Acquari (e indispettisce i tradizionalisti Toro, quindi anche i futuri Nonno Biologico e Nonno Putativo) sono stata un’antesignana del figlio unico di genitori quarantenni. Quando sono nata non si usava affatto, tant’è che i miei coetanei con madri e padri dell’età dei miei avevano immancabilmente almeno un paio di fratelli maggiori (molto maggiori) da sventolarmi sotto il naso. Loro, questi miei coetanei, erano incidenti di percorso, giunti senza invito per il pressapochismo di Ogino, io ero la Voluta Disperatamente, beati loro e povera me. Loro non erano l’Oggetto di Mille Attenzioni, anzi i loro genitori, campioni di sicumera, ritenevano che questi Ultimi Arrivi, data l’appartenenza alla categoria degli imprevisti (neanche troppo graditi), potessero contare su una sorta di immunità nei confronti delle più disparate sfighe. Un po’ come dire: be’ se la sorte ha voluto che questo bambino nascesse (non richiesto) significa che è suo intento che al mondo ci rimanga. Ergo non gli capiterà mai niente di terribile. Di conseguenza,  non c’è bisogno né di guardarlo a vista, né di portarlo dal pediatra ogni due per tre, né di forzarlo a mangiare spinaci e bistecchina, né di andare in panico se salta da un muretto, si scheggia un incisivo permanente o ha l’alito di mela guasta per l’acetone.
Li invidiavo spasmodicamente questi miei coetanei, per i fratelli grandi, il krapfen a merenda (per me prosciutto crudo sgrassato con pane integrale), la possibilità di sfracellarsi con la bici senza che se ne facesse un affare di stato. I miei invece mi mettevano sempre all’angolo e quando mi accadeva qualche cosa di spiacevole dovevo provvedere a occultarla per non sentirne i lamenti. Se non ci riuscivo, come per esempio in caso di frattura, ustione grave, primo-amore-che-non-ne-voleva-sapere-di-me (vero? So che mi leggi, ma bada, non ti ho perdonato) dovevo essere io a consolarli, a mostrami forte, per strapparli dalla canna del gas.  
Questo mio faticoso destino di Disperatamente Voluta (che non arrivava mai) era reso lieve da mia Nonna che, un po’ ridendo un po’ arrabbiandosi sul serio, cercava di indurre mia madre a essere un po’ meno apprensiva, un po’ meno soffocante.  
Si chiamava Ida e aveva una massa morbida di capelli bianchi da cui la luce, grazie a una fiala di cachet "Note blu", tirava fuori riflessi azzurrini. Indossava guanti di pizzo e cappelli con veletta che non usavano più ma che lei considerava il massimo della seduzione. Amava i gatti, non perdeva un numero di marieclaire, aveva avuto due mariti e un numero imprecisato di fidanzati.  
Era diventata madre di mia madre a 20 anni, con naturalezza, senza mai conoscere né il bisogno spasmodico di avere un figlio né lo sgomento di scoprirsi incinta al di là di ogni pianificazione.
Nella sua casa piena di fiori, di cesti, di lampade coperte da scialli, di foto, di libri, di carte da gioco, di amici c’era un tavolo grande, rettangolare, con quattro cassetti. Su uno di questi, il primo a destra girando le spalle alla poltrona a fiori, Ogibogi, folletto gentile che –quando si dice la fortuna- abitava tra le piantine di fragola dell’orto, aveva gettato un incantesimo così, se lo si apriva, si trovavano  Rossana e  gianduiotti, fondant al gusto di frutta e ruote di liquirizie (con pallino di zucchero nel mezzo), un po’ di cento lire, matite, pennarelli, etichette adesive, figurine in busta chiusa, e, se per caso era domenica, il Corrierino. Potevo prendere quello che volevo. Il cassetto era mio, mia Nonna la sua custode.
Il contenuto del cassetto era inesauribile e mia Nonna stessa non si capacitava di tanta abbondanza. Ho anch’io un tavolo con dei cassetti. In questi giorni ne svuoterò uno del suo caotico contenuto. Lo fodererò con carta a righe verde bandiera e rosso cardinale. Poi andrò a cercare Ogibogi, per dirgli di tenersi pronto: a breve dovrà fare un salto qui da me, mi serve il suo intervento. Mi serve un nuovo cassetto magico per Bambino in arrivo. Sento che sotto qualche piantina di fragola (magari di quelle in vasetto del supermercato, perchè di orti in giro non ce ne è più) troverò il folletto. E che mi dirà di sì, gentile com'è.     

giovedì 10 febbraio 2011

RASSEGNA CINEMATOGRAFICA

Futuro Nonno Putativo non ha avuto figli in proprio, ma poi grazie a me è riuscito a colmare il vuoto esistenziale legato all’assenza di qualcuno di cui prendersi cura. Certo è che alcuni passaggi, tipo svezzamento, crescita dentini, primi passi, prime parole, prime partite di calcio in trasferta di domenica, partenza ore 8 a.m., temperatura esterna - 5 gradi,  gli sono mancati perché quando è arrivato Figlia era all’università e futuro Zio in seconda media.
Va da sé che entrambi avevano già imparato, se non come gira il mondo, almeno a non toccare il forno quando è acceso, ad annodare i lacci delle scarpe (rinunciando con sollievo all'antiestetico velcro), a lavarsi le mani dopo essere andati in bagno.
Insomma non c’era quasi più nulla da insegnare, ma tantissimo da mandare giù perché le due creature erano entrate entrambe nell’infernale epoca dell’adolescenza, durante la quale supponenza, aggressività, presunzione si mescolano insieme trasformando quelli che poco prima erano figli in figure malefiche, capaci di alimentare per giorni e mesi il desiderio (irrealizzabile anche per legge, eppure sano, secondo gli esperti di psicologia) di spiaccicarli contro il muro. Ma futuro Nonno Putativo ha retto bene, prendendo il meglio e ignorando il peggio. Adesso però l’arrivo di Bambino gli ha aperto nuovi orizzonti ed è per questo che ha gufato contro il matrimonio (con ottimi risultati, che dio lo fulmini).
Ieri è arrivato per lui un pacco da parte di un mittente il cui nome era circa dvdepoinonhoaltrodachiedereallavita.com. Dentro, tutta la collezione dei film di Walt Disney, dalla Spada nella roccia al Re leone, passando per Aladdin, Biancaneve, Pinocchio, Sirenetta e via così, fino alla Bella e la bestia, Lilly e il vagabondo e perfino Oswald coniglietto tutto fare (grande escluso il senza-sugo Winnie the pooh).
E’ il suo primo regalo per Bambino. A una condizione: i DVD dovranno rimanere qui, a casa nostra, e sarà lui a vederli con il nuovo arrivato. Si è assunto questo onere, animato da un sacro fuoco pedagogico (l'ha detto anche Popper che i bambini non devono mai essere lasciati soli davanti alla TV, ma lui ci sta marciando).
Era una vita che voleva farsi un’over dose di cartoni disneyani, l’ingresso di Bambino gli permetterà di realizzare il sogno salvando la faccia.  

mercoledì 9 febbraio 2011

BISNONNE, SEDUZIONE E RISARCIMENTI

 Futura Bisnonna, mamma di futuro Nonno Biologico, non fa un passo neppure dalla camera da letto al bagno se non è prima salita su scarpe tacco 12. Per uscire indossa cappotti di un cachemire impalpabile e caldo come sette stufe; piume di struzzo; calze autoreggenti di pizzo nero, caratterizzate da righe che, senza alcuno sforzo da parte sua, trovano la loro naturale collocazione nell’esatta metà  del suo polpaccio asciutto e ben modellato da indefessa camminatrice, rimanendo sull’attenti per l’intero arco della giornata (un’invidia da non dire). Bisnonna è certa che arriverà una bambina e si è ripromessa che sarà lei a insegnarle quel che serve sapere sul fronte della seduzione, visto che ancora adesso è lei, tra quelli della famiglia, a cuccare più di tutti (sia pure in un bacino d’utenza che si va progressivamente restringendo).
 La sicurezza di futura Bisnonna circa il sesso del bisnipotino nasce dalla ferrea convinzione che questa sia per il destino l’occasione giusta per risarcirla del fatto di averle concesso solo figli maschi. La voleva per sé una bambina ma non è stata accontentata quindi, a suo avviso, la sorte ci metterà una pezza. Il ragionamento fila: fin dal primo figlio sognava di cucire gonnelline a balze e luccicanti abiti da fata e di acquistare ballerine d’oro e zoccoletti rossi. Invece niente: mantelli da Zorro e pantaloncini all’inglese, ecco cosa le è toccato. Puah. E’ il minimo che Bambino sia una bambina e che Bambina sia disposta a diventare la personalissima Barbie di Bisnonna, tutta capelli lunghi e miliardi di vestitini.      

lunedì 7 febbraio 2011

PRIMULE E CONFETTI BUGIARDI

La casa di riposo dove Figlia lavora quattro giorni alla settimana è piena, manco a dirlo, di vecchini. Ogni vecchino ha la sua storia che racconta a Figlia non appena lei si trova a tiro,  dimenticandosi di avergliela già raccontata un giorno, un’ora o anche solo un minuto prima. Niente di male: a Figlia piacciono i vecchini e le loro storie e non la annoia risentirle. Anche a me piacciono così quando ci capita di stare sole io e lei davanti a una tazza di te (verde per lei, nero per me) o a un aperitivo (succo di pomodoro bio per lei, analcolico con coloranti, conservanti, polifosfati e gas di scarico per me) le chiedo di parlarmi di Tony e Maria, di Gino, Giuditta, Febo, Giovanni, Luisella e di tutti gli altri – sono più di cento – di cui ormai conosce la vita. Una vita che ora è quasi tutta ricordi, rimpianti, passato e quasi nulla progetti, speranze, futuro.  
Di tutti i vecchini, Figlia predilige Virginia, un donnino consunto dal passarle addosso di più di novant’anni. E’ ospite dell’ospizio da più di 30 anni e dal giorno in cui vi ha messo piede non è mai uscita, per sua libera scelta, come del resto è stata sua la decisione di rinunciare al mondo poco più che sessantenne  perché incapace di viverci, sola com’era, senza parenti, né amici. Ma l’altro ieri imprevedibilmente ha chiesto a un’infermiera di accompagnarla fuori, fuori dall’ospizio fino al centro del paese. Perché?, le ha chiesto la donna. Perchè?, le hanno domandato poi  tutti coloro che erano di turno: le infermiere  e le Asa, il direttore sanitario, le due impiegate, il portinaio, e infine l’Uomo della Macchina dei Caffè, nei paraggi per una riparazione. 
<<Voglio andare da un fiorista>>
<<Che ti serve, Virginietta?>>
<<Una piantina>>
<<Per te?>>
<<Oh, no, E’ un regalo. Voglio sceglierla da me, come ce l’ho in mente io>>.
E così la novantenne Virginia dopo 30 anni di voluta prigionia ha indossato il vestito buono della domenica e al braccio di una volontaria è uscita alla volta del fiorista. E’ rientrata di lì a poco, stravolta ma felice. Tra le mani nodose teneva un piccolo vaso infiocchettato, con dentro alcune primule gialle. Si è seduta davanti all’ambulatorio ancora deserto.
<<Andiamo in sala da pranzo, Virginia, è ora di mangiare>>, le ha detto l’infermiera.
<<No, no io aspetto la dottoressa. Devo darle il regalo…la dottoressa si sposa…Lui è così bello...Lei ha un vestito bianco di seta....Scioglierà i capelli ...I fiori del bouquet saranno gialli...>>
Figlia è arrivata un’ora dopo. Virginia l’attendeva ansiosa, col vasetto stretto tra le dita rugose. Non aveva mangiato, ma non era più stravolta. Solo emozionata. E raggiante.
<<E’ per lei, dottoressa…Tanta, tanta felicità…>>
Figlia, a cui indubbiamente il fegato non manca quando si tratta di fuggire a un passo dall’altare, non ha trovato il coraggio di informare la sua vecchina preferita della svolta presa dalle cose. Affogando nel magone, ma ordinandosi di non scoppiare a piangere, ha fatto tante feste a piantina e si è sinceramente stupita di apprendere che per procurarsela Virginia aveva interrotto, dopo 30 anni, il suo volontario esilio.
Il giorno dopo, oggi, Figlia ha portato a Virginia un sacchetto di confetti bianchi, col cuore di mandorla tenera e uno strato di glassa sottile come un velo. Si sciolgono in bocca, una meraviglia per chi di denti ormai ne ha pochini.
Li ha comprati apposta per lei, per non rubarle la fiaba.   

domenica 6 febbraio 2011

IN BARBA ALLA GENETICA

Era una lineetta, un microscopico fagiolo ancorato alla vita grazie a un’invisibile radice. Adesso è un girino. E’ lungo tre centimetri e mezzo: la sua testa pare enorme, se confrontata al resto (teoria della relatività quanti paradossi in tuo nome!). Ha  un abbozzo di schiena, una breve coda,  due pinne minuscole che saranno mani. Di lui possiedo sette polaroid: gli indiscreti ultrasuoni ne hanno catturato l’immagine in ogni possibile proiezione. E’ il girino più bello che abbia mai visto - che dico? - che il mondo abbia mai visto.   
Ma se è vero che è già il meglio, è altrettanto certo che l’essere umano è incontentabile. Vogliamo di più.  Come Flora, Fauna e Serenella io e Nonno Putativo (lui conta come due per peso, altezza e BMI, quindi fa Flora e Fauna; io Serenella, che è sempre stata la mia preferita)  ci mettiamo attorno alle sette polaroid e chiediamo che, nel corso della sua vita intrauterina, Nipotino acquisisca:
gli occhi azzurri di Aspirante Genero Mancato
i denti dritti e bianchi della nonna materna (io)
le spalle armoniose di Nonno Biologico
il naso greco di Figlia
i capelli ramati e il portamento di Bisnonna (madre di Nonno Biologico)
per il carattere, l’ingegno, il temperamento, la personalità, le inclinazioni artistiche e non, dopo una breve discussione ci rimettiamo alla sorte perché dare indicazioni in tal senso ci pare francamente pericoloso, vista la labilità dei confini tra genialità e follia, estro e sregolatezza. 
Preferendo rimanere solo sul piano estetico, per essere sicura di fare le cose per bene specifico che se mai fosse una bambina dovrebbe senz'altro ereditare il magnifico lato B della zia olandese, ex moglie del fratello di Nonno Biologico ma tuttora zia in carica dei miei figli (perché da noi i divorzi non minano i legami di parentela sanciti in precedenza dai matrimoni).
Quello della zia nordica è il più bel lato B di tutto il parentado e non si parla di bruscolini, visto che definire la nostra famiglia allargata sarebbe un filino riduttivo.  
<<Questo è impossibile: è acquisita>>, mi ricorda Nonno Putativo che sta sempre lì a puntualizzare, dimentico che una futura nonna che sta facendo Serenella se ne fa un baffo delle leggi della genetica.

giovedì 3 febbraio 2011

DA NON CREDERE

<<E che è la data di pasqua? Non ce ne è altre che si spostano continuamente. Che non sai mai quando sono e come si calcolano...>>
<<Già. Ma son cose che succedono>>
<<Succedono? Mai sentito a nessuno. Dai dimmi: succedono a chi???? A CHI??? A CHI?????>>
<<Tale e quale a Fausto Leali>>
<<Che? …Azz…niente battute, please>>
<<Dai, si farà più avanti. Prima del parto. Dopo il parto. Vedremo. Per intanto torno qui per un po’>>
Il matrimonio è saltato. L’ho saputo da circa 30 ore. A due settimane dalla sua celebrazione fine, stop, tutto annullato. Niente più festa, niente più  abito bianco, niente più piccoli mazzi di mimose gialle. Aspirante Genero e Figlia hanno litigato e Figlia ha detto che non vuole più (almeno per ora).
AG le manda innumerevoli mazzi di rose rosse, ma lei niente, non le mette neppure in acqua così appassiscono nelle loro sontuose confezioni, aggiungendo una nota di devastazione al clima di tragedia. AG insieme alle rose per Figlia invia dei narcisi gialli, indicando il destinatario con la sigla SP (che sta per Suocera Preferita).  I narcisi sono per me che sono bulbo-dipendente (e lui lo sa bene).
Io trovo un posto luminoso per i narcisi, ma per il resto sto piatta come una carta copiativa, neutrale come l’acqua demineralizzata, immobile come una zecca che con una sola goccia di sangue in corpo deve trascorrere l’intero inverno (questa l’ho letta in qualche romanzo ma in questo momento non ricordo quale).  
Nonno Putativo e Nonno Biologico non osano chiedere nulla a Figlia, ma in compenso tormentano me  con mille domande, poi si innervosiscono perché di risposte non ne ho neanche una. Ma è proprio così: io non so niente.
Nonno Putativo e Nonno Biologico sono carichi di apprensione (per Figlia) e di muto rimprovero. Quest’ultimo è per me, in quanto essendo madre di Figlia sono direttamente responsabile di ogni sua azione-reazione-decisione (e, in primis, cazzata). E' noto, infatti, che dal raffreddore all’AIDS, passando per qualsiasi defaillance o trasgressione o fallimento, la colpa è della mamma.
Mi par di vivere nel romanzo di Manzoni, rivisitato però personalmente da un demonio in carenza di adrenalina. Un restyling a opera di un rozzo satanasso che ha trasformato Lucia in una creatura determinata, che quando dice “no” di no si tratta, soprattutto se riguarda la possibilità di pronunciare il fatidico sì.   Non so a chi chiedere supporto: un esorcista potrebbe essere adatto, ma serve l’intervento della Santa Sede e la trafila è lunga. Un terapeuta, un chiromante, un cartomante, un astrologo, un neuropsichiatra, tata Lucia (oltretutto mia buona amica)?
<<C’è di peggio, questa non è grave, ma che ti frega? Ci hai comunque guadagnato un nipotino>>, mi dice la mia Migliore Amica contattata tempestivamente, come sempre in caso di Gioie o Dolori d'emergenza.
Poi però la notte le porta consiglio sotto forma di strani sogni, quindi mi richiama all’alba (l’alba di oggi) per dirmi:
<<Invita Figlia a riflettere. A non agire d’impulso. Questo è come un delitto d’impeto. Poi ci si pente>>.  Parola di avvocato, ca va sans dire .
Pentirsi: è un’eventualità possibile, ma non me la sento di intervenire. Figlia è grande e aspetta un bambino. Io posso solo aprire la casa a lei e alle sue povere rose che non guarda neppure e augurarmi che stia facendo la scelta giusta.
Domani c’è la seconda ecografia, domani vedremo di nuovo Bambino. Esattamente come Rossella, immersa nella stessa nebbia (sia pure metaforica) penso che domani è un altro giorno.

martedì 1 febbraio 2011

FINO A NOI

Nessuna credenza popolare che riguarda concepimento/gravidanza/parto/allattamento viene risparmiata a Figlia. A pensarci è sua nonna, l’aspirante Bisnonna, con l’attiva complicità della Signora Che Stira. Dall’istante in cui, con la sua specialissima antenna, ha captato l’intento di Figlia di avere un bambino, aspirante Bisnonna l’ha resa partecipe di un numero di frasi fatte che nessun cervello umano, escluso il suo, sarebbe in grado di ricordare. Per portarsi avanti, ben sapendo che a Figlia piacerebbe una bambina,  l’ha messa in guardia dal rischio di pensare al ferro durante le operazioni mirate al concepimento, in quanto, a suo dire, sarebbe questo il mezzo più sicuro per avere un figlio maschio. (E’ evidente dunque che lei a suo tempo deve essersi concentrata sui manufatti di duemila carpentieri).
Dopodiché, a gravidanza annunciata, non è mancato il monito riguardante la necessità di mangiare per due, un sempreverde del luogo comune che stenta a morire nonostante dietologi, ginecologi, endocrinologi gli abbiano dichiarato guerra da decenni.
Oggi, che non è neppure giunta a termine la decima settimana,  ha offerto a Figlia quell’ “Ogni gravidanza è un dente in meno”, che vincerebbe senz’altro il primo posto in una gara tra aforismi che gettano nel panico.
<<Ma ci sarà del vero?>>, ha chiesto Figlia, facendo un paio di gesti scaramantici di dubbia eleganza mentre mi raccontava l’accaduto.
<<Non credo proprio>>, ho detto io, citando poi la nostra amica Elisabetta che nel dicembre dello scorso anno ha messo al mondo il suo ottavo figlio (dopodiché si è iscritta all’Associazione famiglie numerose, aderendo alla quale si ha diritto ad alcuni buoni sconto mi pare per l’acquisto di succhi di frutta e pennarelli) eppure conserva ancora tutti i suoi denti, bianchi, brillanti, senza manco un puntolino nero che annuncia l’imminenza di una carie.
Ma Figlia era dubbiosa, così ha chiamato Vito, il nostro dentista, per una visita di controllo. Della serie “non è vero ma ci credo”.