C’è
stato un tempo, tanto tempo fa, in cui anch’io avevo un bambino biondo e
una bambina con una lunga treccia e il naso all’insù. E in quel tempo di tanto
tanto tempo fa nella nostra casa di allora, la casa dei bambini piccoli e del
fedele Milo (che ci avrebbe lasciato moltissimi anni dopo, al di là di ogni
ragionevole previsione, povero vecchione a cui piaceva stare al mondo), i
due ragazzi che eravamo io e Nonno Bio la sera del 12 dicembre preparavano
tutto per l’arrivo della Santa Lucia e del suo asinello.
Figlio, il mio bambino, disponeva su un piattino d’oro i biscotti di cui, giurava, la santa era ghiotta; Figlia, la mia bambina, provvedeva a versare in una scodella il latte fresco con una cucchiaiata di
cacao zuccherato per l’animale, l’unico asino di questo e di quell’altro mondo
che ne gradiva il sapore e soprattutto riusciva a bere da una scodella. Lui aggiungeva quindi un mandarino, che non si
sa mai la santa avesse molta fame, infine correva in giardino e accanto alla
scodella con latte e cioccolato poneva una dozzina di fili d’erba ingialliti e
strappati al terriccio ghiacciato. Un po’ sembravano fieno, la morte sua con
latte e cioccolato, per quella buona forchetta dell’asinello di santa Lucia.
Poi
li accompagnavamo nei loro lettini, rincalzavamo le coperte e loro chiudevano
gli occhi, strizzandoli per essere sicuri che non si riaprissero:
sapevano bene che si sarebbero dovuti addormentare in fretta, guai se la santa
li avesse trovati svegli, se ne sarebbe andata senza lasciare i doni, sorda
perfino al richiamo di tutte le ghiottonerie apparecchiate per lei.
Restavamo
un poco sulla porta, lui da lei, io da lui, guardando i loro visetti assorti e
fiduciosi rischiarati appena dalla lucina della notte. Io respiravo il loro
odore di bambini piccoli senza alcun presagio di malinconia e di rimpianto: erano
lì, erano miei e lo sarebbero stati ancora per così tanto da farne indigestione,
povera illusa.
Poi
in punta di piedi tornavamo nella stanza dove c’erano l’albero e il presepe e il
tavolo imbandito per santa Lucia.
Piano
piano tiravamo fuori i pacchi tenuti nascosti negli scaffali alti degli armadi,
dove i bambini mai li avrebbero potuti trovare, e li disponevamo esattamente
come avrebbe fatto santa Lucia in persona, per non far nascere sospetti. Da una
parte quelli di lei, dall’altra quelli di lui e per terra, insieme per tutti e
due, gli zuccherini dalla carta colorata, i classici, quelli della santa Lucia
appunto, più tutta una serie di dolcetti da bambini: il carbone e il formaggio
di zucchero, le sigarette di chewing gum, le bananine di cioccolata, i
marshmallow rosa e bianchi, gli omini di zenzero, i lecca lecca Babbo Natale. E con questi dolcetti facevamo una specie di
sentiero da cui si potesse dedurre che fossero caduti accidentalmente a terra
durante il passaggio dell’asino, che li portava nelle gerle legate alla
groppa.
E
verso le cinque del mattino, il mattino del 13 dicembre, venivamo svegliati da
piedini impazienti che volevano andare a vedere se santa Lucia era arrivata.
Li
prendevamo per mano, io lui, lui lei, tiepidi di sonno, con gli occhi
luccicanti di eccitazione e piano piano ci affacciavamo nella stanza dell’albero
e del presepe.
E
sì, che fortuna, santa Lucia era arrivata e aveva anche gradito i biscotti e il mandarino: nel
piatto d’oro c’erano solo briciole e bucce. L’asino aveva bevuto il latte con
il cacao e gustato parte dell’erba ingiallita: ne aveva lasciato sul tavolo circa
la metà. E per terra c'erano pacchi e dolcetti e le luci dell'albero e del presepio erano tutte accese.
Solo
un attimo, un attimo in cui tutto sembrava fermarsi, poi i bambini correvano ad
aprire i doni con gli occhi stellati e vocine allegre da passeri.
Ma
in quell’attimo in cui tutto era fermo e si poteva quasi sentire il cuore dei
bambini battere forte per l’emozione avrei giurato in tribunale, davanti alla
più agguerrita delle giurie, che era stata davvero la santa Lucia – e non noi –
a mettere i doni e i dolcetti e anche a mangiarsi con gusto i biscotti e il
mandarino.