Lei è di quelle che se le dici che a tuo figlio assegneranno il Nobel per l’astrofisica risponde che il figlio del nipote di suo cognato a soli 29 anni sta per prendere la laurea breve.
Lei è di quelle che se le dici che il tuo cane ha imparato a parlare l’inglese, perché l’italiano lo masticava già, risponde che il canarino del marito di sua sorella si arrota il becco sull’osso di seppia.
C’è stato un tempo in cui mi ci arrabbiavo moltissimo (o, l’idealismo, il furore, il sacro fuoco della giovinezza). Poi ho tentato di redimerla, di plasmarla, di catechizzarla indicandole il piacere sottile dell’empatia (la faticosa sindrome del missionario, una vera e propria malattia di crescenza che inizia a 40 anni e dura chissà, il decorso è variabile, a me è passata presto).
Infine ho cominciato a subirne il fascino, ad ammirarla incondizionatamente: mostrare così vistosamente, maestosamente, chiassosamente al tuo interlocutore che non te ne frega nulla di quello che dice, neppure se si tratta di notizioni grossi così, è un’arte. Ci vogliono maestria, allenamento, furbizia, aplomb.
Sono quasi 30 anni che viene da me per sbrigare quella sinistra mansione che è lo stirare (e di questo le sono enormemente grata). Da 10 anni a questa parte ho smesso di raccontarle qualsiasi cosa: i figli sono cresciuti e se ne sono andati. Ho cambiato casa. E’ morto Milo (il cane dei miei bambini piccoli). E’ arrivato Nonno Putativo. Figlia è diventata medico. Ma io niente, zitta. Negli ultimi 10 anni bevendo insieme il caffè a metà mattina (un rito fisso) ho ascoltato di zii e di cognati e di mariti e di suocere altrui senza mai metterci nulla di mio, nessuna informazione personale. Poi a settembre ci sono ricascata:
<<E’ nato il mio nipot…>>
<<La mia vicina di casa, quella che abita sotto di me e ha già tre figli è incinta. L’ha saputo ieri. Madonna me, che roba…>>, ha detto precipitosamente.
E' splendida.