UNA PER UNO

UNA PER UNO
babbucce

mercoledì 27 aprile 2011

IL BELLO DELLA FILA

Nel supermercato che tutti noi allargati frequentiamo abitualmente (e dove quindi ogni tanto diamo vita a brevi ma intense riunioni di famiglia) c’è una cassa speciale, dedicata alle donne che aspettano un bambino. Questa cassa, pur essendo segnalata da un ideogramma inequivocabile - sagoma femminile con pancione – attira la più variegata umanità: omaccioni baffuti con cuore tatuato (la nostra città ne vanta almeno una decina), anziane signore al gusto di lavanda, teenager taglia XXS, vecchini brontoloni  con badante fresca di Ucraina.  
Ieri Figlia col suo abbigliamento premaman, rappresentato da una corta e aderentissima tunichetta nera, leggins in tinta e scarponcino d’ordinanza (lo stesso che in suolo italiano ogni trentenne si sente in dovere di indossare, potere della consonante muta!),  ha deciso di mettersi in fila proprio a questa cassa per incinte, essendo in possesso dei requisiti richiesti.  Lo ha fatto così, tanto per provare, più che altro per vedere che effetto le faceva. Davanti a lei i soliti scrocconi del privilegio che non hanno affatto accennato a cederle il passo, a onor del vero sia perché le giravano le spalle sia in quanto la sua pancetta non è ancora ben delineata. Dal canto suo lei si è messa dietro a tutti zitta zitta, senza neppure sognarsi di affermare il proprio diritto alla precedenza, perché se c’è qualcosa da cui sfugge come se fosse peste sono le discussioni con le persone che non conosce: odia, infatti, l’idea che per una delle sadiche leggi di Murphy le possa accadere che, durante un turno in guardia medica, le si pari davanti proprio qualcuno con cui si è azzuffata. Questi tipi di trionfi le fanno venire le rane nello stomaco,  quindi per non rischiarli si è votata al pacifismo e alla silenziosa sopportazione. Ma nel suo destino non stava scritto che si sarebbe dovuta sorbire una lunga coda, perché la cassiera di turno brillava per spirito di osservazione. E, infatti, si è alzata in piedi, si è sporta oltre il nastro scorrevole e a gran voce l’ha invitata a passare davanti a tutti:
<<Venga signora…tocca prima a lei…>>
<<Dice a me?>>, ha chiesto Figlia incredula.
<<Certo, lei aspetta un bambino!>>
<<Quindi si vede! Sa è la prima volta che qualcuno se ne accorge…>>
<<Ma dai?>>, si è stupita la cassiera.
Allora Figlia, piacevolmente sorpresa di essere stata presa in considerazione come donna incinta e non giudicata affrettatamente come una che beve troppa Coca cola, ha preso coraggio e, pronunciando a mezza voce quelle che quand’era piccole le avevo spacciate per “magiche paroline capaci di aprire tutte le porte”,  ha superato tutta la fila, vergognandosi come sette Figlie che superano una fila di essere suo malgrado finita al centro dell’attenzione.  
<<Avevo paura che mi ci mandassero tutti tu sai DOVE>>, mi ha raccontato al telefono.
<<E invece?>>
<<No, no, nessuno, anzi>>
Anzi, perfino i tatuati e le badanti inacidite dai loro vecchini brontoloni e  le annoiate teenager filiformi l’hanno guardata con simpatia. Il miracolo della maternità.        

martedì 26 aprile 2011

SCHERZI DA CORDONE

In ogni famiglia, specialmente se allargata, si possono incontrare innumerevoli tipologie umane, cioè persone che si evidenziano e restano impresse nella memoria altrui per una e una sola peculiarità spesso opposta a quella di un altro componente,  nonostante magari perfino consanguineo di primo grado. Così in quasi tutte le famiglie si possono incontrare il saggio e la pecora nera, l’irascibile e il pacioso, quello che ha fatto i soldi e quello che li ha perduti, il gaudente e il timorato di dio, lo sciupafemmine e l’imbranato. Nella nostra famiglia allargatissima, dove come niente ci si può imbattere in una Futura Nonna Putativa con meno anni di un Aspirante Genero e in una Bisnonna su tacco 12 con autoreggenti, il bello con la B maiuscola è Futuro Nonno Bio. E’ lui, infatti, che su un muro cittadino è stato citato in una scritta, riportante sotto il suo nome e cognome un inequivocabile “SEI UN GRAN FIGO” . E’ lui che si è sentito dire dozzine e dozzine di insopportabili volte di essere un fortunato mix tra Magnum PI e Clark Gable (in versione Rhett Butler), con un pizzico di Omar Sharif (nella parte del dottor Zivago).
Che palle però: così abbiamo sempre pensato Figlia e io, a differenza di Bisnonna su tacco 12 in perenne stato di esaltazione per la faccenda, essendo stata lei personalmente a donarlo al mondo.
Ma adesso questa noiosa bellezza è tornata utile.  Dovete infatti sapere che l’altro giorno l’amico ginecologo ha sottoposto Figlia a un’ecografia supplementare, per risarcirla del fatto che durante il controllo precedente di Bambino si era visto praticamente tutto, compresi i piedi con i loro cinque ditini ben differenziati, le caviglie già paffute, i femori  lunghi e magri, ma non il viso. Se ne stava rannicchiato, con la testina rivolta verso il basso, quasi a proteggere la sua faccetta misteriosa dalla violazione che gli ultrasuoni stavano compiendo. Ma stavolta ha ceduto al fascino dei riflettori e si è mostrato alla sonda, così l’amico ginecologo ha potuto scattargli un primo piano in 3D. Figlia per telefono non mi ha voluto anticipare niente: è arrivata da me e mi ha porto la foto con impresso il volto di Nipotino.
"Mi venisse un colpo": è stato il mio primo pensiero. Ma non poteva essere altrimenti a fronte di un Nipotino talmente nuovo da essere ancora nella pancia, spiccicato a Nonno Bio come solo un lumachino rosso (da non confondere con le chiocciole, dotate di conchiglia) può essere uguale a un lumacotto rosso suo avo.
<<Ma non è possibile!>> ho esclamato mentre Figlia, che già aveva metabolizzato la somiglianza, ridacchiava compiaciuta (e te pareva).
<<Ma cribbio, perdinci e perdirindindina...ma giorni celesti, e santi Pietro e Paolo….>>, ho continuato manco mi avesse colpito una crisi mistica.
<<Bada>>, mi ha incoraggiato Figlia, magnanima e tollerante, <<che puoi anche dire qualcosa di più pesante, mica sente….>>
<<No no non si sa mai, ma….acc….azz… ma l’hai visto anche tu?>>
<<Sì certo!>>
<<MA CHE E’??? CI HA PERFINO I BAFFI...NON CI SI CREDE...>>
<<Ma no, ma’ è il cordone ombelicale…anche Lui (l’amico ginecologo, ndr) però l’ha detto che non ha mai visto una cosa simile. Il cordone sì, ecco gli si è piazzato proprio tra naso e bocca, ma si sposterà. Comunque dai, baffo posticcio a parte abbiamo avuto culo>>.
Indiscutibile.   

giovedì 21 aprile 2011

PER COLPA DI UN REGALO NEGATO

“Ma’ cosa vuoi di regalo per la festa della mamma?”, mi chiede Figlia il cui proverbiale senso pratico (come quello di Edo del Marito in collegio di Guareschi, avete presente?) le suggerisce di ignorare il concetto di sorpresa in favore di una scelta raziocinante, ovvero pilotata dal destinatario.  In sintesi estrema, a Figlia piace fare doni bellissimi, doni mozzafiato, doni che-mai-chi-li-riceve-potrebbe-permettersi-di-acquistare,  ma affidandosi al sempreverde cum grano salis. Il punto è che adora stupire almeno tanto quanto detesta l’idea di poter sbagliare in sede di selezione, quindi vuole andare sul sicuro. Da parte mia sono piuttosto a disagio perché appena ieri aveva due codini a scopetta e i sandali di tela bianchi e blu e, quindi,  mi pare da un lato fantascientifico che possa davvero comprare per me  oggetti (come una zuccheriera di porcellana inglese a forma di casina delle fate) o accessori (come le miracolose scarpe che alleviano il mal di schiena e tirano su i glutei)  di grande valore anche venale, dall’altro anche ingiusto (e forse immorale) accettarli. Però poi li accetto, sempre chiedendomi se sia corretto farlo. Così lei mi dice:
“Piantala ma’ , falla finita, GODITELI”. 
Ma stavolta è diverso, perché il regalo che voglio per la prossima festa della mamma non si compra, neppure con tutto il denaro del mondo. Non si compra ma va scelto e la scelta non spetta certo a me: lo voglio perché mi serve e solo Figlia me lo può dare (sì va be’, con il contributo di Aspirante Genero).
<<A ma’ , allora che vuoi?>>
<<Voglio il nome di Bambino>>
<<Impossibile, non troviamo accordo>>
<<E’ urgente, lo sai, sono agli sgoccioli, non ho più tempo>>
<<Mi spiace, non posso farci niente, non l’abbiamo noi, non posso dirlo a te…>>
Ma a me serve davvero e bisogna anche che si spiccino.
Dovete infatti sapere che sta per andare in stampa il libro vero che ho scritto per il mio lavoro vero (niente a che vedere con quello che racconto qui per gli amici vecchi e nuovi, in carne e ossa o virtuali, per Figlia e per Futuro Nonno Putativo, chè Nonno Bio non ama leggere le storie di nessuno, neanche quelle che parlano di qualcosa di suo),  e che quando un libro sta per andare in stampa bisogna consegnare tutto, ma proprio tutto quello che si vuole venga stampato. Non è che a un certo punto, quando i volumi sono belli, pronti e rilegati, l’autore può chiamare dicendo: “Ehi scusate, mi potete aggiungere la dedica, che non ho potuto scrivere prima perché mi mancava l’essenziale?. Capite bene che non potevo mettere “A X il mio nipotino”, mi ci voleva uno straccio di nome. Vi spiace riaprire tutta la stamperia e incollare una pagina nuova con il nome di Bambino a cui appunto voglio dedicare il volume?“. No, sarebbe inutile, non otterrei nulla, la mia richiesta cadrebbe nel vuoto, si sa che gli stampatori hanno il cuore di pietra. 
Niente da fare: il nome non c’è e non intendono trovarmene uno, neppure per la festa della mamma, la cui data coincide con il termine ultimo per la consegna di dediche, ringraziamenti e altre note similari. Decideranno al momento, vedendolo in faccia. 
Così poco fa ho inviato in redazione la mia dedica: “Al mio Nipotino nuovo di zecca e attualmente ancora senza nome”. Quando sarà grande gli spiegherò meglio.

mercoledì 20 aprile 2011

ESPOSIZIONE GRADUALE PER GINO

Gino è un cane timido e riservato, ma non codardo. Ci fu un tempo in cui venne scritturato per uno spot televisivo (lo inquadravano tutto ben pettinato mentre una voce fuori campo diceva: “XYXX: un prodotto per chi ha fiuto”) e lui, trovandosi all’improvviso di fronte al co-protagonista,  un puledro nero (anch’esso attore, ma professionista, mentre nel caso di Gino si era trattato di una sostituzione dell’ultima ora, un’emergenza) gli andò incontro e gli si piazzò al centro delle quattro lunghissime zampe. Non si era comunque trattato di un caso: anticamente, nella sua terra d’origine, il bassotto tedesco veniva affiancato ai cavalli da tiro, per tenere lontano dai loro zoccoli i topi che avrebbero potuto farli imbizzarrire. Così gli antenati di Gino si guadagnavano la pagnotta macinando chilometri e chilometri di corsa, in strategica quanto temeraria postazione. Ma Gino non compie gesti arditi solo per via di quanto scritto nel suo DNA. Di fatto, affronta a muso duro qualunque estraneo entri in casa, come possono testimoniare l’Uomo delle Raccomandate e l’Uomo della DHL che, con la scusa del bassotto che ringhia, anziché salire fino al mio appartamento, per completare il servizio a domicilio, mi invitano, via citofono, a scendere. Gino ha coraggio da vendere anche a fronte di eventi atmosferici, come tuoni e fulmini, che riempiono di vero terrore qualsiasi membro della razza canina (compresi gli spocchiosi dobermann) e dà prova di grande autocontrollo, equilibrio e forza interiore perfino la notte del 31 dicembre, quando tutti i cani della terra uggiolano tremebondi negli angoli di casa, sotto i divani o appiccicati alle gambe del padrone nella certezza che quei rumori forti e improvvisi – i maledetti botti che offrono a chi li fa la garanzia di essere mandato a fanculo da tutti coloro che sono costretti a subirli -  siano il segno che la placida esistenza condotta fino a quel momento abbia ceduto il passo a una vita costellata di sventure insostenibili per un malato di cuore. Gino è impavido e temerario lì dove gli altri cani crollano miseramente, mostrando la loro fragilità emotiva. Ma come tutti i leggendari forti della storia, da Sansone ad Achille, anche Gino ha un punto debole, una zona d’ombra, un lato vulnerabile fuori controllo, ingestibile sia da noi sia da lui stesso, che pure è così generoso nel mettersi in gioco quando si tratta di proteggere i suoi padroni dagli Uomini dei Pacchi e delle Buste e i cavalli dai topi. Gino ha una paura ben definita,  che gli fa perdere la testa e gli fa scordare l’orgoglio, che non confessa volentieri ma con la quale ogni giorno, ogni volta che usciamo, deve (e noi con lui) fare i conti. Il suo spettro agghiacciante sono i passeggini con dentro una bambina o, peggio ancora, un bambino. Ovunque ci troviamo, se solo se ne profila uno all’orizzonte, Gino si blocca, si appiattisce a terra, mette tra le zampe la sua magnifica coda (uno stiletto lungo, affusolato, la più bella coda canina in circolazione) e comincia a tremare tutto, soffiando con il naso e chiudendo gli occhi, come dire “la morte in faccia non me la sento di guardarla”.  Così devo accucciarmi (molto, perchè è un bassotto appunto) e rincuorarlo. Ogni giorno la stessa storia ogni volta che incrociamo un passeggino. Ogni giorno, accucciata vicino a lui con voce calda e affettuosa gli assicuro che ce la potrà fare e che quel passeggino corredato di bambino che sta avanzando non è una vendetta divina, non lo smembrerà, gettando i suoi resti sanguinolenti in mezzo alla strada. Ma lui niente, aspetta la fine con il fiato sospeso, scosso da brividi di terrore, pentendosi dei suoi peccati (l’ultimo dei quali è l’assassinio di un passero), sicuro ogni giorno, ogni volta che un passeggino avanza, che gli restino solo poche manciate di secondi prima di chiudere con la vita. Così io e Nonno Putativo ci siamo ridotti a farlo camminare solo all’alba o a tarda notte, quando di passeggini in giro non c’è neanche l’ombra, limitando al massimo il tempo che gli facciamo trascorrere fuori casa nella fascia oraria a rischio bambini. Ci stiamo tutti domandando come faremo con Gino quando arriverà Bambino nuovo, corredato di passeggino.  Il veterinario dice che la strada giusta è quella dell’"esposizione graduale", la stessa che gli psichiatri indicano come risolutiva in caso di fobie umane, come il terrore dei ragni o degli spazi troppo chiusi o troppo aperti. Nei prossimi giorni io e Nonno Putativo (a cui piace uscire a fare shopping) andremo a comperarci un passeggino, lo nasconderemo in garage, poi ogni giorno lo andremo a prendere e lo porteremo in casa per mostrarlo a Gino con la massima cautela e gradualità, nella speranza che regga il colpo e, allo stesso tempo, ci perdoni.


giovedì 14 aprile 2011

E INVECE E’ UN GUIZZO

Nel mio bauletto dei ricordi, un regalo di Figlia di legno istoriato, ci sta un diario di fine legatoria, con la copertina di stoffa damascata. Una copertina uguale a un piccolo quadro dal sapore retrò, dove le infinite tonalità del rosso si mescolano al verde bottiglia e all’oro scuro colorando fiori, pagode, barche a remi, aceri e salici di una bellezza antica e struggente.
Lo ricevetti in dono secoli fa da quello che allora, secoli fa, non riuscivo a definire “mio marito”. Il termine, unito all’aggettivo possessivo, mi si impigliava in gola e non ce la faceva a uscire  nonostante esprimesse un dato oggettivo e incontestabile. Il punto è che nel mio insipiente immaginario di ventenne i “mariti” erano severi signori di mezza età, con addosso abiti a giacca di grisaglia grigia, capaci di parlare solo di questioni importanti e noiose, vuoti di risate, di baci e di gesti sorprendenti, incapaci di vincere i tornei di tennis o le gare di karaoke dell’estate. No, proprio non potevo dire “marito” né per alludere né per indicare quel giovanissimo uomo, un ragazzino diciamolo, che pure avevo sposato tra le note dell’Ave Maria di Schubert. Quel giovanissimo uomo che sarebbe diventato il padre di Figlia, sette mesi dopo aver acquistato per me un diario dalla copertina simile a un dipinto,  bella come un arazzo antico.
 Trovato il diario nel baule di stelle ho iniziato a sfogliarlo alla ricerca di una nota scritta con un inchiostro viola: “24 aprile 1980: ho sentito per la prima volta il bambino. Ero a teatro (Macbeth). La sensazione è strana: direi un battito d’ali di farfalla chiusa tra due mani…sì mi è sembrata una cosa del genere: un fremito leggero leggero, ma sono sicura che era lui. Cosa sei farfallino?” .   L’ho letta e riletta, nitida nel diario che ha le pagine un po’ avvizzite per il tempo trascorso. Sono passati 31 anni da quando quasi ogni giorno, per via di  quella parte di me che stentava a diventare adulta, raccontavo a dei fogli emozioni e accadimenti legati all’attesa del mio primo bambino.
Poi ho chiamato Figlia:
<<Ecco, allora,  carta canta! Nero su bianco. Anzi viola su giallino. Ti ho sentita la prima volta il 24 aprile e a te toccava nascere molto prima di Bambino. Tranquilla, quindi, tutto regolare>>
<<Ok, sperem…>>
<<Ma come sperem? E' ancora presto, abbi pazienza qualche giorno…Poi occhio, comunque, che magari non te ne accorgi neanche che è proprio lui…>>
<<Cosa si sente esattamente?>>
<<Immagina di fare con le mani una scatolina e poi immagina di catturare una farfalla e di chiuderla lì dentro. Ecco la sensazione è quella, un fruscio lieve…>>
Stamattina Figlia mi ha telefonato all’alba.
<<L’ho sentito, mamma!>>
<<Davvero? Dimmi…>>
<<Non è come hai detto tu, però…>>
<<E come allora?>>
<<Ecco, non un battito d’ali di farfalla tra le mani chiuse, ma un guizzo di pesce rosso in una boccia d’acqua. Un guizzo veloce. Forse una capriola di cavalluccio marino. Diavolo, com’è difficile descrivere sta cosa>>
Sì, è molto difficile e non c’è una descrizione universalmente valida: ogni mammina in attesa ha la sua, conoscerne tante mi piacerebbe eccome. Se solo avessi questa opportunità le raccoglierei tutte  e poi andrei a caccia di un editore…



martedì 12 aprile 2011

UNA PER UNO

C’è una suora nella casa di riposo dove lavora Figlia che ha l’hobby dei lavori a maglia. Se appena si profila un matrimonio all’orizzonte comincia velocissima a sfornare presine che sembrano fiori, colorate, allegre, assolutamente inutili. Dopodiché si affretta a offrirle alla futura (anche se molto futura) sposa,  incurante del fatto che magari quella non solo non ha ancora una cucina in cui appenderle, ma neppure una casa. Ieri ha accolto Figlia con un misterioso pacchettino, senza dire nulla, ma si capiva che non vedeva l’ora che lei lo aprisse. Quando si dice le affinità elettive: se l’una era in ansia per il desiderio che il suo dono venisse allo scoperto, l’altra ha iniziato all’istante a friggere per sapere di che cosa si trattava così, dopo essersi gettate un’occhiata complice, hanno chiuso la porta dell’ambulatorio, per essere sicure di non essere disturbate. Figlia ha aperto il piccolo pacco: avvolte in una carta velina bianca stavano quattro minuscole babbucce azzurre. Babbucce di lana fatte ai ferri come Figlia non aveva mai visto, come io pensavo non esistessero più.
Una delle due paia Figlia le ha regalate a me e io ho diviso ulteriormente il paio con Futuro Nonno Putativo: lui la sua babbuccia di morbida lana azzurra l’ha messa in tasca, io la mia babbuccia di morbida lana azzurra l’ho appesa al computer. Nell’attesa di infilarle nel minuscolo piede di Nipotino le useremo come portafortuna.

giovedì 7 aprile 2011

L’ALTRO NIPOTINO

Da quando i figli se ne sono andati, vivo in una piccola casa con una grande terrazza,  per metà ricoperta di prato per metà di fioriere. Sia nella terra piena dove c'è l’erba, sia nei vasi, le piante che riescono a resistere allo smog e all’inverno crescono nella più totale anarchia, ricompensandomi con un colpo d’occhio di straordinaria bellezza della libertà che concedo loro, non per pigrizia ma perché non mi piace allineare la natura, organizzarla seguendo i criteri con cui si fa ordine negli armadi, nelle scarpiere e sulla scrivania.
Il signore indiscusso della terrazza è Gino che ci passa le ore, usando come amache le strisce che il sole disegna sulle larghe piastrelle di pietruzze. La Signora Luisa, invece, non ci va mai senza di me: credo che abbia fatto voto di non mollarmi mai, neanche per un secondo, quando sono in casa.  In questa terrazza di città piena zeppa di vegetazione anarchica e lussureggiante bazzicano due grossi merli neri col loro bravo becco arancione.
“Cìcìocì-cop-cop-cìo!!!!”  (siamo qua!!!), mi annunciano al mattino (verso le sette).
Io prendo allora la grossa scatola di Rice-ciuffy – riso soffiato e tostato con 8 vitamine e ferro – ed esco, lasciando Gino e la Signora Luisa chiusi dentro, con i nasi incollati alla porta di vetro e le zampe frementi per la smania di venirmi dietro – lui per assassinare i merli, lei perché se sono distante più di mezzo metro sprofonda in un baratro di infelicità.
“Cìo-cìo” (era ora),  si spazientiscono i merli, e poi:
“CiOOO?????”  (hai qualcosa per noi?)
Io mi muovo pianissimo verso di loro, che mi aspettano sui rami più alti del pino di natale, era poco più che un rametto quando l’ho comprato per diecimila lire e ora è un albero possente. Mi muovo piano  perché qualsiasi gesto rapido o, peggio, brusco li terrorizza, nonostante abbiano imparato a fidarsi (quasi) di me.
Sempre agendo al rallentatore getto a terra una manciata della leccornia e mi immobilizzo: loro planano dai rami del pino e cominciano a beccare i chicchi.
“Cìo-cìo”, (grazie, molto gentile),  dicono all’unisono, poi spazzolano tutto in un battibaleno e se ne vanno senza mai sporcare. Di loro rimane, a volte, un piccola piuma nera.
“Cìo-cìocicc-cicccccìooooooooo!!!!” (siamo qui, corri!), mi hanno chiamato così stamattina, con un accento più vigoroso, con una nota più intensa.
Ho afferrato la scatola del riso soffiato e sono uscita facendo un vero sforzo per andare piano: erano sette giorni che non li vedevo. Pensavo che avessero fatto una brutta fine, per la loro socievolezza unita all’alta densità di gatti nel quartiere. E invece eccoli qui.
“Cìo…cìo….”
Mi sono mossa piano piano verso il grosso vaso che ospita il mio spettacolare pino e l’ho visto. Tra i due piumati habitué della mia mensa, minuscolo e impacciato stava un cosino nero.
“Cìocìooooocìooooooooooooooooooo” (guarda qui, che meraviglia!)
E così ho saputo di essere diventata nonna anche di un merlottino.

martedì 5 aprile 2011

NIPOTINO SENZA NOME

Adesso che sappiamo che Bambino è Bambino mi piacerebbe moltissimo che avesse anche un nome. Peccato che non lo trovino, del resto si sa che i nomi sono merce rara.    
Domenica a pranzo, un pranzo tutto giocato sulle gradazioni del celeste che manco a Puffolandia sono mai riusciti a raggiungere una tale monotonia cromatica,  la questione, com’era prevedibile, è saltata fuori. Aspirante Genero non molla: in quanto papà di Bambino vuole a tutti i costi dire la sua. Figlia tace e dissente, qualunque sia la proposta. Nonno Putativo, davanti a un vassoio di uova di gamberi di paranza – unici cibi azzurri presenti in natura -,   ha ricordato che il suo è davvero uno dei nomi più belli della storia dell’umanità. L’ha buttata lì, insomma, che non si sa mai. Figlia gli ha dato ragione, ma poi con un sospiro ha anche dovuto ammettere che se mai avesse potuto pescare tra gli evangelisti, Nonno Bio avrebbe avuto diritto di prelazione.  Io ho insistito un po' per il santo delle stelle cadenti, per via del compleanno di Figlia, ma niente Aspirante Genero non ne vuol sapere. 
La scelta è impegnativa e non occorre essere Freud per capire che crea attriti, rimuove rancori sepolti, tocca corde profonde, esaspera la competizione.
Giunti al dolce, ho tirato fuori  “Il nuovo dizionario dei nomi” (De Vecchi editore, robe da matti), quindi ho proposto di procedere scientificamente, per esclusione, passando in rassegna tutto il ventaglio dell’offerta. Abbondio, Abelardo, Abele, Abramo e via così, mentre i tre scuotevano via via la testa, visto che criticare è facilissimo,  poi Baldovino, Barnaba, Bernardo e ancora, ancora…fino a Diocleziano, nome oltre il quale mi hanno impedito di proseguire. Peggio per loro. Subito dopo c’erano Diogene e Diomede, che almeno hanno il pregio di non essere comuni.    

sabato 2 aprile 2011

NON FOSS'ALTRO PERCHE'

<<Non ci sono più le forniture di una volta, neh?>>, sussurro nel microfono del mio cellulare: non voglio che Futuro Nonno Putativo mi senta, questi discorsi lo irritano e poi sbuffa come una foca monaca.
 Sono al telefono con Lui, l’amico ginecologo, quello che possiede una valigetta speciale, con dentro i bambini nuovi. Quello che in città ha la fama di portare fortuna così se per caso desideri una bambina è quella che tira fuori dalla valigetta.
<<Ehi, ragazza>>, risponde Lui, <<stai sempre a reclamare. Nessuno mi ha detto niente di preciso. Ordinazione libera. Questo vi tocca: e qui si parla già di quasi tre etti di Nipotino, sano come un pesce gatto>>
<<L’hai chiesto almeno buono-buono? Sai che ehm… in questa famiglia …ehm …i maschietti tendono a essere un pochino …come dire…mi sfugge il termine…>>
<<Impegnativi?>>
<<Diciamo così>>
<<L'ho chiesto placido come...>>
<<Se dici "Michele" chiudo…>>
<<Ma dai! Come... un plenilunio d’agosto. Va bene così?>>
<<E gentile?>>
<<Sì, certo, come il piccolo Fantleroy. E bello che mille splendidi soli e intelligente come Edison. Ciao ho tre pazienti in sala d’aspetto>>. Clic.
Sono sollevata, sono felice. Metto due fiocchetti azzurri sui collari di Gino e della Signora Luisa (un fiocchetto per collare, certo che dai cinesi si trova veramente tutto), tiro fuori dal sacchetto di carta dell’Ikea  gli acquisti che ho fatto ieri nel tardo pomeriggio per festeggiare la notizia: una tovaglia e righe e bicchieri e tovaglioli di carta con stampate piccole ortensie fiorite. Più tre piantine di fiordaliso (con portavaso). Tutto giocato nelle infinite gradazioni dell’azzurro e del blu (comprese le piantine). Preparo la tavola cullata dalla contentezza per queste belle cose nuove e perché a ben pensarci trovo che sia ok che Nipotino sia Nipotino. Non foss’altro perché, come mi ha fatto notare la mia amica Rachele, non lo potranno mica vestire da ape (vedi post “Conflitto d’interessi” dell’11 marzo 2011)  

venerdì 1 aprile 2011

HO PERSO TUTTE LE SCOMMESSE

Mi toccherà pagare gelati a un numero imprecisato di parenti e amici e una cena – dall’antipasto al dolce - a Futuro Nonno Putativo. Più una pizza-birra-e-tiramisù alla mia amica Daniela, che oltretutto mi aveva avvisato che avrei perso. “Bada che non ti conviene scommettere con me tutta questa roba perché dovrai mettere mano al portafoglio”, aveva profetizzato. Poi aveva aggiunto: “Dai, accontentati, puntaci un ghiacciolo doppia menta, non ti allargare…”. Ma io niente.  Ero sicurissima e invece ho perso clamorosamente. Nipotino è Nipotino. (E non è affatto un pesce d'aprile).