UNA PER UNO

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babbucce

lunedì 10 dicembre 2012

CHE TIPO DI NIPOTINO


Nipotino è un tipo ardito. Cammina velocissimo tenendo le  braccia dritte e all' indietro,  in assetto da ali: gli amici ingegneri dicono che gli serva per garantirsi più equilibrio quando curva, io sono invece sicura che tenti di spiccare il volo.
Nipotino è un tipo loquace: QU vuole dire qualunque cosa ed è il tono di voce che imprime significato alla sillaba multiuso. Un “qu” imperativo vuol dire “andiamo”; sussurrato “prendimi in braccio”; interlocutorio “interessante questo oggetto”; propositivo “farei il bagno”; interrogativo “dove ho messo il dinosauro che ruggisce?”; dubitativo “ma siete sicuri che la mamma ritorna”; conciliante “è vero, ho sbriciolato il biscotto sulla testa di Gino e adesso la signora Luisa sta brucando la testa di Gino e Gino le sta ringhiando da maledetto, ma tutto sommato avrei anche potuto fare di peggio”.  Chi capisce al volo è premiato da una risatella, ma non c’è punizione per chi non afferra subito.  Nipotino  ha pazienza da vendere e continua imperterrito (genere martello pneumatico) a dire qu fino a quando l’ottuso interlocutore non comprende.
Nipotino è un tipo creativo: dopo aver saldamente afferrato un coltellaccio seghettato, sfuggito chissà come alle mensole alte dove, da quando lui cammina, ho piazzato tutti gli oggetti contundenti, le armi potenziali, i veleni dichiarati (candeggina) e quelli mascherati (farmaci), ha iniziato a pettinarsi i peluzzi biondi. Mentre  pronunciava con tono hair style il suo <<Qu!>> nell’accezione di pettine e Nonno Putativo optava per l’infarto io ho trovato il modo di stare a dieta sotto natale. In un micronanosecondo ho promesso al Santo della mia città (qui si parla del santo per antonomasia) che fino al 6 gennaio non avrei assaggiato dolci se solo mi avesse concesso di arrivare al coltello in tempo utile per evitare spargimento di sangue.
Nipotino è un tipo socievole: qualsiasi bambino gli strappa dal petto un urlo di felicità e una delle nove parole che costituiscono il suo vocabolario: <<BAMBA!!!!!!!>>. Se per caso l’esaltante avvistamento di uno o più “bamba” , maschi o femmine che siano, avviene in un centro commerciale e Nipotino si trova non dentro ma accanto al passeggino (che spinge personalmente) va in scena uno spettacolo che neanche da Raffalla Carrà. <<BAMBA!!!!! BAMBA!!!!>> esulta. Poi si stacca dal passeggino e corre verso il bimbo per abbracciarlo con foga e comunicargli con un caloroso QU tutta la sua appassionata ammirazione. Viene  respinto in modo o francamente manesco o vistosamente disgustato. L’ultima bamba che ha placcato è rimasta paralizzata dall’orrore per qualche secondo, per ricominciare a respirare solo a Nipotino riacciuffato.
Nipotino è un tipo comico. Il mese scorso (aveva 14 mesi), scorgendolo con la coda dell'occhio chinato a terra in procinto  di bere direttamente dalla ciotola dei cani, con una lieve inflessione di angoscia nella voce gli ho intimato “NOOOOOOO”.  Da quel momento ogni volta che mi vede si porta le mani alla testa e dice enfaticamente “NOOOOOOOOO” . Quando gli si chiede dell’altra nonna (che Genero Preferito ha ribattezzato Snella)  congiunge le mani e chiude gli occhi (lei è l’addetta alle preghiere). E se si parla di suo zio, lui immediatamente arriccia il naso e soffia (un recente intervento ai turbinati per qualche settimana ha costretto Figlio a respirare rumorosamente dal naso).
Nipotino è un tipo igienico (ciotole del cane escluse) e di conseguenza predilige sopra ogni cosa le scope, gli spazzettoni, i panni Vileda. Gli abbiamo regalato il Kit della perfetta casalinga e quando arriva nel nostro appartamento gli facciamo trovare sul pavimento pezzetti di carta, tappi di bottiglia e altra strategica sporcizia, in modo che lui possa esprimere al meglio il suo lato Bree Van de kamp.
Nipotino è un tipo tosto ma conviviale: dopo aver opposto la massima resistenza alla necessità di farsi sistemare da Nonno Putativo  nel seggiolino auto guarda il sudore nonnesco e sorride  mostrando sette dentini candidi (quattro sopra e tre sotto) e noi saremmo pronti a giurare che la sua testina priva di berretto (perché piuttosto che tenerlo in testa si fa decapitare) sia circondata di una tenue luce d’aureola.           

mercoledì 20 giugno 2012

HO SENTITO BENE


E’ accaduto all’improvviso, senza che ne avessi il minimo sentore. Mi ha guardato con l’intensità con cui da qualche settimana osserva il mondo, trovando tutto di suo gusto,  e poi l'ha detto forte e chiaro, inequivocabile:
<<Gno……pausa…breve sospiro…..gna>>
<<Dimmi>>, ho risposto proforma,  certa di aver inteso male.
<<Gno..gna>> ha ribadito lui, con tono addirittura più convinto.
<<Dimmi…dimmi….>>
<Nonn…nna…>>.
<<Hai sentito bene>>, ha garantito alle mie spalle Nonno Putativo di cui, data la solennità del momento, avevo temporaneamente rimosso la presenza.   
<<Anche a me è sembrato, ma chissà, forse ho capito male, forse ce lo siamo sognato>>
<<Sì, tali e quali a Giovanna D’Arco>>
<<Vediamo uhmm, allora tu sei T-O-M-M-A-S-O e io sono? SONO?>>, ho chiesto incalzante a Nipotino, affamata di riprove, ignorando la battuta di Nonno Putativo (spiritoso, eh).
<<Aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa-haaaaa-aaaaaa>>, ha canticchiato Nipotino di rimando, sull’aria di To mare in gondoleta (Tua madre a bordo di una piccola gondola).
<<No, quella è la canzoncina. Io chi sono?>>
<<Clop clop>>, ha sillabato compito.
<<No, quello è il cavallo. Tu Tommaso, io???>>, ho insistito.
<<Grrrrr smf….grrrsmf>>
<<Quello è il papà che russa.  Allora, vediamo: tu TOMMASO E IO???>>
<<Ba-ba-ba>>, ha pronunciato lui interlocutorio, schioccando le labbra.
<<Nipotino, non glissare. Questo qui è il bacio>>.
Stava sciorinando tutto il repertorio delle sue specialità: non mancava altro che il movimento repentino con cui sposta in avanti il mento e, in simultanea, dischiude la bocca allo scopo di esibire i due dentini nuovi di zecca, ma in un amen ha messo in scena pure quello.
<<Bravo! Sei troppo bravo!>>, abbiamo applaudito io  e Nonno Putativo e tanto era l’entusiasmo che non mi interessava (quasi) più della parolina che con tanta precisione identifica il nostro legame di sangue. Lui allora, attore generoso, si è piegato sulle ginocchia, tenendosi saldamente con una mano alla rete del box in cui trascorre un’esistenza in postura eretta, ha pigiato la pancia dell’orso-delle-canzoncine (che è pure bilingue), quindi ha iniziato a molleggiarsi sulle gambe a tempo di musica, ed è questo il suo modo di ballare. E mentre si muoveva tipo pistone, ma molto più sudato, ridacchiava con soddisfazione. Poi si è fermato di colpo, i peluzzi biondi arricciati sulla nuca, mi ha fissato con il suo sguardo fondo da incantatore di serpenti e, con un vocione da bambino inequivocabilmente maschio, per la quarta volta in questo straordinario pomeriggio ha detto:
<<NO—NNNNA!!!>>





  

lunedì 14 maggio 2012

TETTA BATTE PAPPA


Nipotino è un osso duro e della pappa non ne vuole sapere. Le smorfiette di misurato disgusto con cui ha accolto le prime caute porzioncine di frutta omogeneizzata oggi sono raccapricciati conati di vomito. Ogni volta che tra mille lusinghe e movimenti terra-aria di cucchiaio qualcuno (Figlia, nonna paterna, tata Vanessa, nonno Putativo, Genero Preferito, io)  riesce a cacciargli in bocca una minuscola dose di brodo vegetale + zucchina schiacciata + crema di mais e tapioca + omogeneizzato di pollo + parmigiano + olio extravergine d’oliva (tempo di preparazione un’ora) lui, per mettersi al riparo dal rischio di assorbirne una minima parte, ordina al suo stomaco di rovesciarsi e risputa fuori tutto,  neanche gli servissimo pantegane lessate. Dopodiché allunga il dito verso il petto dell’imboccante di turno, chiunque sia, in modo che sia chiaro che o tetta o niente. O latte umano (anche eventualmente da mammella maschile, su questo punto Nipotino è un po’ confuso)  o ammutinamento. Il pediatra ha suggerito di prenderlo per fame, di lasciarlo senza cibo anche per 24 ore e così abbiamo fatto una volta: il mattino dopo un intero giorno di digiuno Nipotino aveva il visetto pallido, un anello di ciccia in meno (o almeno ci pareva) e la sua vocetta di solito da cinciallegra era più simile a quella di un passero sotto la pioggia (o almeno ci pareva). Così Figlia ha capitolato tra il sollievo di tutte le nonne e di Nonno Putativo e il dissenso di Genero Preferito che vorrebbe impartire a Nipotino un’ Educazione. Sono due mesi che andiamo avanti così. Il pediatra, caro amico di famiglia, ha suggerito di accantonare l’idea classica di svezzamento, di piantarla con le pappette, che prepariamo per sfamare la pattumiera, e di passare subito ai cibi per “grandi”. Ieri abbiamo dato a Nipotino un pezzetto di pizza, mettendogliela in mano (secondo le indicazioni del medico che ritiene produttivo puntare su un rapporto col cibo mediato anche dal tatto). Nipotino l’ha osservata con divertito distacco, in un amen l’ha scagliata a terra poi ha puntato il suo indice grassoccio verso Figlia (sempre più depressa) con un gioioso Ta-ta-ta.  

lunedì 23 aprile 2012

E' SUCCESSO VENERDI'


Dovrebbe essere vietato per legge a delle ragazze di 18 anni di avere figli vicini alla trentina. Di essere nonne. Di avere già puntato il grosso della puglia al tavolo verde della vita. Dovrebbe essere vietato per legge che al vecchio appello, facile e musicale come una filastrocca (Ambrosin, Beato, Bettio…) in due non possano mai più, per nessun motivo più, rispondere. Le jeux sont fait, rien en va plus: così ha sussurrato, vile e disgustoso, prima a Mara (terzo banco a sinistra), poi a Tiziana (la mia compagna di banco) il croupier nero  che disperde le liete compagnie, e io neppure lo sapevo.     
Me l’hanno detto venerdì alla cena di classe, organizzata dalla coraggiosa che secoli fa si preoccupava di portarci in gita o in giro per musei. Il lupo perde il pelo….(e meno male che è così). Una cena di classe 37 anni dopo la maturità.
Non le vedevo da allora, non abito più nella mia città da un tempo infinito. Mentre camminavo sotto i portici, ritrovando gli odori della mia infanzia felice e della mia tumultuosa, sprovveduta adolescenza, avevo paura di quanto mi aspettava.  No, non certo che mi giudicassero invecchiata, come di fatto sono perché le leggi della biologia sono impietose e democratiche, ma di trovarle io invecchiate, diverse, estranee. Un gruppetto di signore ultracinquantenni, magari con la puzza sotto il naso e il marito con il SUV (e chiedo venia a tutti quelli che ce l’hanno e sono anche uomini perbene). E invece erano ancora loro, esattamente loro, forti e volitive e bellissime.  Mi veniva da piangere, mi veniva da ridere avrei voluto stringerle, aspirare il profumo dei loro capelli in cui anche fuori dalla scuola restava imprigionato (come nei miei del resto) l’odore della lavagna tutta scritta col gesso, delle sigarette accese negli anfratti dell’edificio antico, dello shampoo alla frutta che si vendeva in vasi da marmellata e che ci regalavamo a vicenda per il compleanno.   Ci siamo abbracciate e raccontate, abbiamo tirato fuori le vecchie foto delle vecchie gite e le nuove foto dei nostri nuovi affetti. Avevo il magone. Volevo assolutamente un’altra chance. Volevo tornare indietro e magari cambiare direzione una volta superata la mia personalissima sliding door. Poi però è toccato a me raccontare e mostrare. La faccetta buffa del mio nipotino è apparsa sullo schermo del mio telefonino ed è passata di mano in mano. Le sue fossette, le sue pieghe di ciccia, il sorriso che gli buca le guance e svela un primo e unico dente minuscolo e bianco come un chicco di riso. Tagliente come una lametta. Rifarei tutto, non vorrei tornare indietro e cambiare strada, se mai me ne venisse offerto il privilegio.  

martedì 13 marzo 2012

LINGUAGGIO DEL CORPO

Lo imbarazzano gli uomini coi baffi, le parole con tante “g” (grattugia, giglio, giuggiola), le conversazioni concitate, l’orso di pelliccia marrone che ha un orecchio che fruscia e una zampa che suona. E quando è imbarazzato si afferra le manine e se le stringe. Le prime volte pensavamo si trattasse di una semplice coincidenza, che il gesto fosse frutto di una casualità. Ma la casualità per definizione è un evento non prevedibile, che non si verifica come "conseguenza di" mentre  noi sappiamo con assoluta certezza che Nipotino quando sta sulle spine unisce le manine e le stringe forte fino a farle diventare un po’ rosse (ma questo non è molto difficile, perché azz…ha la dermatite atopica e se questo non bastasse pure ereditata dalla mia famiglia, come Genero Preferito non si stanca di sottolineare: 1-0 per lui).
                               

domenica 4 marzo 2012

SI ACCETTANO SUGGERIMENTI

Come far capire a un tipo volitivo, di genere maschile (e ho detto tutto circa la cocciutaggine),  che compirà sei mesi fra sei giorni, la differenza tra un capezzolo e un cucchiaino? Brancoliamo nel buio in cerca di una risposta che funzioni.
Sia pure diffidente nei confronti della questione svezzamento, Nipotino in questi giorni ha compiuto un bel progresso:  apre la bocca davanti all’omogeneizzato alla pera (con la mela fa ancora resistenza, ma non si può avere tutto).
Il punto è che poi, una volta saggiato a fior di labbra dischiuse il contenuto del cucchiaio,  anziché inghiottire la gustosa poltiglia si attacca alla rotondità della posatina e inizia a succhiare con vigore. E uno, e due e tre, quando si rende conto che nonostante l’impegno da lì non zampilla neanche l’ombra del latte si offende a morte, diventa paonazzo e i suoi occhi perdono le stelle, si fanno cupi e carichi di lacrimoni.  Se c’è la mamma, a scopo di risarcimento, gli viene subito offerto il seno. Se la mamma non c’è ma è presente Nonno Putativo viene distratto all’istante dall' I-qualcosa del suddetto, che è maniaco della tecnologia e nel suo cellulare ha una rassegna di giochini elettronici ad alto grado di rumorosità/luminosità che neanche nella zona slot-machine di Las Vegas.  Io invece, se sono sola, opto per il dialogo, scelgo la strada del ragionamento:
<<Vedi Nipotino, questo è un cucchiaio non una tetta. La vedi la diversità sostanziale? E’ azzurro a righe bianche. Lo tiene in mano la nonna. Vedi? La mamma non c’è. La nonna ha il cucchiaino e il cucchiaino non si ciuccia…>>
Lui smette per un istante di piangere, mi fissa sbalordito (ma cosa stai dicendo nonna?) mentre due grosse lacrime gli corrono sulla guancia destra e una terza spunta tra le sue ciglia bagnate e bionde.
<<Ecco bravo, che non piangi più, adesso riproviamo>>
Gli avvicino di nuovo alla bocca il cucchiaino, lui la apre, io spingo un po’, lui afferra il cucchiaino con le labbra ma poi lo stringe tra la lingua e il palato nell’inequivocabile movimento della suzione. E uno e due e tre: riparte il suo pianto da sopruso subito, tutto di gola, un trionfo acustico della vocale “i”.    

venerdì 24 febbraio 2012

SULLA SIGNORA CHE STIRA

 Lei è di quelle che se le dici che tutta la tua famiglia è appena deceduta in un disastro aereo risponde subito che una volta in treno le è capitato di conoscere il cugino del cognato di uno zio che aveva frequentato una coppia americana che aveva perso il figlio in un incidente simile.   
Lei è di quelle che se le dici che a tuo figlio assegneranno il Nobel per l’astrofisica risponde che il figlio del nipote di suo cognato a soli 29 anni sta per prendere la laurea breve.
Lei è di quelle che se le dici che il tuo cane ha imparato a parlare l’inglese, perché l’italiano lo masticava già, risponde che il canarino del marito di sua sorella si arrota il becco sull’osso di seppia.
C’è stato un tempo in cui mi ci arrabbiavo moltissimo (o, l’idealismo, il furore, il sacro fuoco della giovinezza). Poi ho tentato di redimerla, di plasmarla, di catechizzarla indicandole il piacere sottile dell’empatia (la faticosa sindrome del missionario, una vera e propria malattia di crescenza che inizia a 40 anni e dura chissà, il decorso è variabile, a me è passata presto).
Infine ho cominciato a subirne il fascino, ad ammirarla incondizionatamente:  mostrare così vistosamente, maestosamente, chiassosamente al tuo interlocutore che non te ne frega nulla di quello che dice, neppure se si tratta di notizioni grossi così, è un’arte. Ci vogliono maestria, allenamento, furbizia, aplomb.   
Sono quasi 30 anni che viene da me per sbrigare quella sinistra mansione che è lo stirare (e di questo le sono enormemente grata). Da 10 anni a questa parte ho smesso di raccontarle qualsiasi cosa: i figli sono cresciuti e se ne sono andati. Ho cambiato casa. E’ morto Milo (il cane dei miei bambini piccoli). E’ arrivato Nonno Putativo. Figlia è diventata medico. Ma io niente, zitta. Negli ultimi 10 anni bevendo insieme il caffè a metà mattina (un rito fisso) ho ascoltato di zii e di cognati e di mariti e di suocere altrui senza mai metterci nulla di mio, nessuna informazione personale. Poi a settembre ci sono ricascata:
<<E’ nato il mio nipot…>>
<<La mia vicina di casa, quella che abita sotto di me e ha già tre figli è incinta. L’ha saputo ieri. Madonna me, che roba…>>, ha detto precipitosamente. 
E' splendida.  


mercoledì 22 febbraio 2012

SUL CUORE DURO DEI PEDIATRI

Con addosso il brutto vestito da ape che tanto lo rende contento, Nipotino è andato ieri dal pediatra per la visita di controllo. Nell’ordine il medico ha decretato che:
è un soggetto atopico (non ha ancora sei mesi ed è già uno tra i tanti, per giunta con la dermatite)   
è al 90mo percentile per grassezza e tra il 50mo e il 70mo per altezza (come i puf da salotto)
è giunto per lui il momento di essere sfrattato dalla stanza dei genitori ed essere esiliato nella sua cameretta
deve cominciare le prime pappe che non potranno essere a base di pizza, nonostante sia questa l’unica pietanza che lo attrae quando dal seggiolone punta il tavolo dei grandi con la fronte corrugata
Giornataccia per Nipotino. 
Fortuna che il suo brutto vestito da ape riesce comunque a tenergli il morale alle stelle.
Alla fine del suo resoconto di questao visita, ehm bilancio della salute, colma di gongolante aspettativa nonnesca ho chiesto a Figlia se il pediatra si fosse espresso genericamente sul bambino, per esempio assicurando che si trattava del più bel pazientino che mai gli fosse capitato in ambulatorio o, almeno,  del più intelligente.  Niente da fare. Il pediatra di Nipotino, anziché stramazzare al suolo per la meraviglia, si è comportato come avesse davanti un bimbo come gli altri. Da non credere.   

domenica 19 febbraio 2012

E APE SIA

Aveva detto “ape”, a ogni costo “ape” e ape è stata (vedi post Conflitto d’interessi dell’11 marzo 2011).
Ape regina per giunta, come si deduce dalla corona.
Così il mio nipotino è dovuto uscire e farsi ammirare dall’intero mondo con un vestito in maschera chiaramente da bambina, solo per assecondare un capriccio materno. Io volevo orsetto, ma non c’è stato niente da fare: ubi major minor cessat (azz...). Figlia dice che data l’espressione virile e lo sguardo malandrino si capisce benissimo che è un fuco. Ma quel che è peggio è che i due hanno fatto comunella: dovete sapere che al mio nipotino la sua mamma piace parecchio e approva con entusiasmo le sue scelte in fatto di abbigliamento.
                                      
                                     
Si è divertito molto al centro commerciale (poveri bambini di città, è questo il luogo dove si ritrovano a correre e tirar coriandoli, ma tant’è) e ancora non sapeva che a casa lo attendeva una spiacevole novità.
                                
Sì, Figlia ha deciso che è giunto il momento di introdurre la mela. Lui cerca di resistere perché intuisce (memoria endosomatica mi pare si chiamino questi ricordi ancestrali impigliati nel DNA) la fregatura: da cosa nasce cosa, quindi come niente dalla mela si passerà alla minestrina e allora addio tetta. Ma poi cede. E’ il classico esempio della resa per fame. Però va detto che per Figlia è una vittoria amara: ogni microgrammo di mela  viene inghiottito, infatti,  tra scenografici conati di vomito.  


martedì 31 gennaio 2012

FUORI TEMA

C’è stato un tempo, tanto tempo fa, in cui la mattina del 31 gennaio scendevo dal letto con una sensazione elettrizzante, un misto d’ansia, euforia e attesa. Guardavo fuori dalla finestra per vedere (sì proprio vedere) il freddo, per riconoscerlo sui rami intirizziti, sui nasi rossi dei passanti, sui tetti luccicanti di ghiaccio. Poi correvo in cucina sicura che avrei trovato in mezzo al tavolo una busta sigillata, che avrei aperto con dita impazienti.   Nella busta c’era un cartoncino su cui stava scritta (rigorosamente in rima) la prima indicazione utile per iniziare la caccia al tesoro di buon compleanno.  
Ehi bambina: fai 3 passi oltre la cucina (1967) oppure Lallina bellina prova nella stanza più piccina… (1970) o ancora Adesso sei una signorina…dai su, scendi in cantina… (1974)
Eseguivo e sopra un armadio, oppure sotto una credenza o magari all’interno del cesto della biancheria asciutta trovavo il primo pacchetto con il primo regalo. Lo scartavo e la sorpresa mi toglieva il fiato: c’era sempre un dono straordinariamente azzeccato e mai ho saputo come facesse mia madre a indovinare i miei desideri più folli, quelli che mai le avrei confidato perché non mi piaceva chiederle niente, consapevole che se non avesse potuto accontentarmi ne avrebbe sofferto. L’Eau Sauvage di Dior, per esempio, che costava quanto due mesi del mio stipendietto, oppure la borsa a fiori di Ken Scott o l’ultimo LP di Guccini.
Accompagnava il primo regalo un secondo biglietto con la successiva dritta: frugavo, spostavo, mi arrampicavo, mi accucciavo e infine scovavo il pacchetto, lo aprivo, trasecolavo, leggevo il nuovo biglietto e avanti così, fino all’ultimo dono, che in genere era il più spettacolare tra tutti gli altri, che pure non scherzavano in quanto a spettacolarità.
E per tantissimi anni mia madre ha continuato a regalarmi un 31 gennaio ricco di indovinelli e  di doni sorprendenti (da un certo punto in avanti, grazie alle soffiate di Figlia, senza neppure più doversi scomodare a leggermi i desideri nel pensiero). Ha continuato a garantirmi, ed era un lenimento per lo spirito, un compleanno da bambina anche quando avevo smesso (e da un pezzo) di esserlo una bambina.  Poi un 31 gennaio sono entrata nella sua cucina e sul tavolo non c’era alcuna busta, solo un mucchietto di banconote. Ho sentito un freddo nella schiena e la gola seccarsi:
<<Cos’è?>>, le ho chiesto furiosa (ma era solo terrore travestito).
<<Il tuo regalo…E’ il tuo compleanno>>
<<E allora? Sarebbe questo il mio regalo? SOLDI???>>
<<Sì, così ti compri quello che vuoi…Io non so cosa vuoi. Non so comprare regali, non ne sono mai stata capace>>.
E così sono stata costretta a prendere atto di quello che fino a quel momento non avevo voluto vedere: era il 31 gennaio di non molto tempo fa.  
   

domenica 29 gennaio 2012

POSSO IL VENTO? ASSOLUTAMENTE NO

Sopporta con virile impassibilità il dlen-dlon-dlan delle campane che il parroco impietoso fa suonare ogni volta che scocca una nuova mezzora, nonché più volte al giorno per rendere lode a Dio. E mai che lo sfiorasse il dubbio che il  Padreterno, per definizione dotato di infinita saggezza, potrebbe scocciarsi di essere omaggiato in modo tanto rumoroso.  
Fronteggia con anglosassone noncuranza il campanello di casa, che produce un acuto così forte da far vibrare e poi cadere la cornetta del citofono.
Non sussulta se finisce a terra un’intera batteria di pentole, non batte ciglio se va in frantumi un bicchiere di vetro e, per la strada, non si scompone se  un camionista pigia sul claxon ottenendo l'effetto tromba del giudizio.
Nipotino è un tipo stoico e adattabile, acusticamente metropolitano con guizzi bucolici grazie al parroco, quindi mai e poi mai ci saremmo potuti immaginare la reazione, scoperta del tutto casualmente,  che fornisce ogni volta che gli si soffia pianissimo sul viso. Basta fare il più modesto, il più lieve dei fiuuu : lui immediatamente sbarra gli occhi, allarga le braccia e le dondola come un piccolo funambolo che perde e ritrova l'equilibrio, chiude gli occhi fino a quel momento sgranati,  li stringe, li riapre e infine emette un sospiro profondo, del tutto simile a quello che gli esce dal petto dopo che ha pianto per un po’.  
In breve la notizia si è diffusa tra tutti i membri della famiglia allargata e la soffiatina impercettibile seguita dalla spettacolare, sproporzionata  reazione è entrata trionfalmente a far parte dell'elenco delle stranezze che collezioniamo a dozzine in seno al parentado.  L'insieme di azione e reazione nel nostro lessico famigliare è  stato stigmatizzato con la generica ma esplicativa locuzione “fargli il vento” (oggetto sottinteso Tommaso).
<<Posso fargli il vento?>>, ho chiesto ieri a Figlia, nella speranza di ottenere il permesso visto che “chi fa più di mamma inganna” e se lei che è la madre mi dice di sì posso farlo a cuor leggero, altrimenti, sia pure con fatica, mi astengo.  
Una parte di me sa, infatti, che è profondamente ingiusto e anche un po’ vigliacco soffiare sulla faccetta tonda di Nipotino per sollecitare la strepitosa risposta, ma l’altra parte è follemente tentata dal farlo perché lo spettacolo è di un’intensità incredibile (buffo e struggente, fa ridere e commuove. E’ così piccolo e ignaro. Otto chili e trecento grammi di felicità).   
Ma Figlia dice no, il più irremovibile "no" dell’universo e io allora mi accontento di ripensare alle mille espressioni che si susseguono su quella faccetta tonda – sorpresa e spavento, vertigine e sollievo, con una punta di eccitato sprezzo del pericolo – se appena un impercettibile filo d’aria viene convogliato all’altezza dei suoi occhi,  poi rido di gusto e dico a Figlia che ha ragione, che il vento nessuno deve farglielo più, anche se costa rinunciarci.  E su quest’ultimo punto anche lei è d’accordo.

martedì 24 gennaio 2012

SUCCEDE COSI’

Siamo certi che non ricorra ai sonniferi e neppure a piccole dosi di gas da cucina perché l’andamento della sua crescita è buono, ha un colorito roseo, trilla come un passero all’alba, gorgoglia come una fontanella di montagna, ride di gusto o ridacchia di soddisfazione, fa le bolle di saliva, apprezza più che mai la buona musica (da rosso il suo colore mi piace il suo sapore: GNAM a un topolino mio padre comprò allla fieeeeraaa dell’Esttt), ciuccia dal seno con coscienziosa avidità, cerca di mettere in bocca qualunque cosa, in particolare l’orologio d’acciaio di Nonno Putativo, a cui si avvicina chinando la testa in avanti sul genere Houdini. Ne siamo dunque più che sicuri: non si fa aiutare dalla chimica eppure quando arriva lui la guarda compiaciuto e poi, munito di lenzuolino arrotolato e privo di quel ciuccio che in nessun modo siamo riusciti a fargli apprezzare, cade in un sonno  profondo, sordo e, c’è da giurarci, ricco di sogni piacevoli e avvincenti, da cui si ridesta solo poco prima del ritorno a casa della mamma.  
Con Vanessa Tommaso, che alle nonne richiede con inflessibilità e cipiglio severo prestazioni da animatori Valtur  (sezione spettacoli), dorme. Dorme placido e immobile per tutto il tempo della sua permanenza, quindi a volte anche per quattro ore di fila. Proprio lui che durante il giorno, prima dell’arrivo della tata, non ha dormito mai, neppure per sbaglio, troppo compreso nel compito di controllare che non smettessimo neppure per un istante di intrattenerlo con danze-canzoncine-filastrocche-faccebuffe-bagnetto-musichettedicarillon.  <<Scusa Vanessa>>, le abbiamo chiesto tra l’invidia e l’ammirazione, <<come fai a farlo addormentare così compiutamente per così tante ore di fila?>>. <<Gli dico che devo studiare, che ho un esame tra poco e che se lui dorme non mi bocceranno>>. Ah ecco, buono a sapersi.  

sabato 14 gennaio 2012

TROVATA

Ha i capelli corti, gli occhi grandi, il viso aperto da ragazzino. Parla con un'inflessione allegra nella voce e ascolta con attenzione. Sorride appena può.  Studia lingue orientali. Non ha curriculum ma ci ha raccontato che dodici anni fa, quando di anni ne aveva appena dieci, le è arrivato tra capo e collo un fratellino.  Non era così piccola da trovarsi all’improvviso sbatacchiata tra i sensi di colpa per il desiderio di vederlo inghiottito dal  buco di scarico della vasca da bagno e il rancore per tutte le cure che richiedeva e le vocine dolci che gli faceva la mamma. Non era ancora così grande da rimanere, un po’ per posa un po’ per genuina convinzione, del tutto indifferente all’evento.
Ha detto di esserselo “smazzolato” lei questo fratellino, sia perché sua madre aveva bisogno di aiuto, sia perché a 12 anni tutto è ancora gioco ma, allo stesso tempo, è già nitido il lusinghiero richiamo dell’adolescenza, che spinge ad assumersi le prime responsabilità per non sentirsi più bambini e dimostrare al mondo di non esserlo più.
Si chiama Vanessa, come la Incontrada ha rilevato IOSOCHI, ma secondo me più come la sorella di Virginia Wolf. 
Esattamente come Monica, un’amica del blog, in un suo commento aveva predetto l’abbiamo riconosciuta subito. E’ lei, abbiamo pensato: sa le canzoncine, le piace uscire con qualunque tempo e si è spupazzata un fratellino. Come se questo non bastasse Grassone le ha dedicato immediatamente compiaciute bolle di saliva.
Un segnale umido quanto decisivo per dirle "ok, quando puoi cominciare?" (Anche domani, se volete, è stata la sua  straordinaria risposta).      

mercoledì 11 gennaio 2012

CERCANDO UNA TATA 2

Ieri è stata la volta della seconda aspirante tata. E’ stata dura convincerla a materializzarsi in quanto a suo avviso il colloquio poteva tranquillamente svolgersi via e-mail. A dire il vero poteva andare bene anche a noi, cioè a me e a Figlia, ufficialmente incaricate (non senza critiche e perplessità da parte degli uomini di casa) alla selezione delle tate che dovrà condurre all’individuazione della Persona Giusta. La parola scritta ha, infatti, vibrazioni eloquenti quanto la mimica facciale e il tono della voce quindi niente da ridire se non fosse stato per la questione della tempistica. La Seconda Aspirante Tata per sua precisa scelta di vita guarda la posta elettronica solo una volta al giorno dopo cena: andava da sé che, affidandoci al pc al ritmo di una frase a testa ogni 24 ore, se mai avessimo trovato un accordo non sarebbe avvenuto prima dell’iscrizione di Nipotino alla quinta elementare.
<<Ho un altro lavoro e prima di lasciarlo devo essere ben sicura di quello nuovo>>, mi ha detto prima ancora di ritirare la mano che le stringevo in segno di benvenuto, ancora una volta delegata da Figlia per il primo step della selezione.
<<Che lavoro?>>, ho chiesto io.
<<No, non ha importanza, comunque non è del “settore”, per questo voglio cambiarlo, per stare nel mio settore>>
<<"Settore": sarebbe…>>, ho domandato mentre nella mente si formava nitida l’immagine di grassone che scorreva su un nastro trasportatore da catena di montaggio.
<<Il settore bambini, ovvio. Trovare nei nidi non è facile, certo è un lavoro sicuro, se ti assumessero, però non ti assumono, e poi manco ci voglio andare a lavorare nei nidi. So io cosa succede lì, davanti alle mamme picì-piciò, carino, bellino-dell’educatrice tua e poi vedi che succede….>>
<Che succede?>> ho chiesto io, gentile (su ordine di Figlia), mascherando il terrore dietro un aplomb che neanche Monti davanti a Calderoli.  
<<E be’ adesso non sto qui a dire, comunque è molto meglio una tata in casa, mille volte meglio. Quante ore vi servono? Devo stare attenta a non incasinarmi…Qual è il compenso? Devo vedere se mi basta. >>.
<<Be’ tutti i giorni…>> ho cominciato a dirle.
<<Io ho un bambino di nove anni, non posso lasciarlo solo tutti i pomeriggi. Dalle cinque in poi devo essere a casa>>
<<Nessun problema per questo, il bambino potrebbe portarlo qui dopo la scuola e tenerlo  con lei e con il nostro>>
<<Ma figuriamoci…>>
<<Nessunissimo problema, davvero, noi siamo contente se c’è un altro bambino…>>
<<E’ che a me scoccia portare mio figlio in casa d’altri. Mi scoccia a me, voglio che stia a casa sua, per lui è meglio…>>
<<…..>>
<<Un’altra cosa. Che garanzie mi date sulla durata del lavoro? Perché qui si tratta di lasciare un posto sicuro, a tempo indeterminato (anche se non del settore). E' chiaro che devo essere sicura che il lavoro nuovo, se mai cambiassi, andrà avanti nel tempo>>
<<Mi dispiace davvero tanto>>, ho detto io con tono afflitto (su indicazione di quella presaga che è Figlia). <<Ma il nostro bambino è di quelli che crescono e quando lo avrà fatto un po’ non ci servirà più la tata…>>
<<Allora niente>>, ha detto lei e se ne è andata con passo seccato, risparmiandomi il fastidio di dire: "le farò sapere, intanto grazie".
Tranquillo grassone, se tata dovrà essere non avrà alcuna sicumera e non le farà orrore portare suo figlio a giocare (o magari a fare i compiti) da te.

lunedì 9 gennaio 2012

CERCANDO UNA TATA

Non può tenerlo sempre Figlia, deve lavorare. Non posso tenerlo sempre io, devo lavorare. Non può tenerlo sempre l’altra nonna, non deve (più) lavorare ma reclama qualche ora d’aria giornaliera, visto che ha altri due bambini (i figli di sua figlia) a cui badare per tre pomeriggi alla settimana. Nonno putativo, nonno bio e Genero Preferito  non sono neppure da prendere in considerazione per il babysitteraggio e la nonna putativa non ha ancora finito il liceo (va be’ ho un po’ viperamente esagerato comunque a scuola ci va ancora anche se la sua postazione da qualche anno è non “sui” ma “davanti” ai banchi) quindi di contare su di lei non se ne parla neanche. Il nido è stato escluso per la più banale delle ragioni: quasi di certo non risolverebbe il problema visto che dopo un minuto di permanenza il novantanove-virgola-nove (periodico) dei piccoli iscritti si ammala e viene rispedito al mittente col suo corredo di germi abilitati a causare febbre-tosse-raffreddore-mal d’orecchi-mal di pancia per almeno 25 giorni al mese (domeniche incluse). Nonostante il nostro inossidabile ottimismo e la propensione a ritenerci, chissà perché, simpatiche agli dei, Figlia e io abbiamo scartato l'ipotesi che Tommaso appartenga a quello 0,001 per cento di bebè che non subisce il contagio della miriade di agenti patogeni che trovano negli asili nido il proprio habitat ideale.   E così stiamo cercando una tata. La via scelta è il tam tam: parenti e amici vicini e lontani sono stati consultati e invitati ad aiutarci a trovare la Persona Giusta. Ogni mamma (e naturalmente anche ogni nonna) ha un’idea precisa della Persona Giusta. Il requisito che Figlia e io consideriamo irrinunciabile per una tata è che le piacciano i bambini e che vedendo il nostro s’innamori perdutamente dei suoi anelli di ciccia e del suo odorino buono.  E’ un bambino felice, incline al sorriso, capace di apprezzare i piaceri della vita, come la tetta e il massaggio con olio di mandorle nonché grande estimatore  degli orecchini pendenti, che afferra con entusiasmata foga: è ovvio che sulla base di simili caratteristiche chi dovrà occuparsi di lui dovrà prima di tutto volergli bene, altrimenti non fa per noi. Oggi, su delega di Figlia, ho parlato con la prima aspirante tata del nostro scarno elenco, trovata tramite l’amica di un’amica e perfetta, almeno sulla carta, sia per tipo di istruzione (diplomata al liceo socio-pedagocico e al quarto anno di scienza della formazione) che per aspirazioni (obiettivo certificato: lavorare con i bambini).  La prima, primissima cosa che mi ha detto con tono deciso quanto algido è stata: <<Bisogna vedere se mi sono comodi gli orari che dovrò fare, perché devo studiare, preferisco non lavorare di sera e al venerdì raggiungo il mio fidanzato che vive nella città di F. E quanto sarebbe il compenso?>>.
Non ha chiesto niente del grassone: né la sua età né se è già svezzato né se è un bimbo docile oppure ribelle.
<<Ah, peccato>>, ho detto io. <<A noi la tata serve tutti i giorni dalle 9 di sera a mezzanotte e il sabato e la domenica dalle otto del mattino alle otto di sera. Grazie lo stesso>>. Le ho teso la mano e l’ho vista allontanarsi con sconfinato sollievo: tranquillo grassone, se tata deve essere, tata dolce e appassionata e amante dei bambini sarà.