UNA PER UNO

UNA PER UNO
babbucce

giovedì 31 marzo 2011

TRA MENO DI 30 ORE

E’ domani il Giorno. Il giorno dell’ecografia che ci svelerà il mistero del sesso di Bambino. Ho quasi paura che questa anticipazione concessa dalla tecnologia possa in qualche modo spezzare l’incanto dello straordinario ignoto che, comunque, porterà solo cose buone e allegria e quell’odore, tra le mura di casa, nelle narici, sulle dita, di delicati saponi oleosi, di pasta di Fissan, di cotone lavato col napisan, di bambino nuovo insomma.  
<<E se rinunciassimo a saperlo?>>, mi propone Figlia al telefono, col suo pericoloso dono (che altre in famiglia possiedono) di leggere nel pensiero .
<<Di che parli?>>, chiedo per prendere tempo. E’ ovvio, invece, che ho capito benissimo: la mia mente in questi giorni corre sempre lì, mio malgrado, e non potrei neanche permetterlo vista la valanga di lavoro da consegnare.
<<Di Bambino. Di sapere se ha il pisello o no. Se si chiamerà come te o come vuole il tuo Aspirante Genero, che mo’ si è ficcato in testa un doppio nome. E perché no triplo o quadruplo, povera creatura? Proprio a me poi, che credo che il nome migliore per un uomo sia IT. Per la cortezza, dico, poi è chiaro che no perché è pauroso, figurati: Stephen King. O Ugo: ecco, sì. O Leo. Senza “nardo”. E invece ciccia, doppio/triplo nome. E’ più lungo il nome del bambino…Va be’, tanto è una bimba perché preoccuparsi?>>
<<Dici? Ma…forse sì, forse no…>>
<<Già, grandiosa teoria, non ci avrei pensato. Ma’, meno male che ci sei tu a illuminarmi sul suo sesso. Allora, desisto o chiedo?>>
<<Puoi mica fartelo scrivere su un foglietto ripiegato, poi vediamo come regolarci? Così se vogliamo ci guardiamo, altrimenti ci teniamo la sorpresa?>>
<<Non male come idea. E chi terrà il foglietto?>>
<<IO! Io, nella cassaforte del muro>>
<<Sì certo, durerebbe chiuso un nanosecondo…>>, dice la malfidente.
<<Pigliamo una cassetta in banca?>>, chiedo volonterosa.
<<E se poi vogliamo saperlo di notte? O di domenica? Le banche hanno degli orari d’apertura…>>
<<In caso di curiosità urgente, c’è sempre Lui>>, le ricordo alludendo all’amico ginecologo.
Anche all’epoca del mio turno di aspettare un bambino (si trattava di Figlio) era andata a finire così, visto che non avevo voluto sapere il sesso, durante la regolamentare ecografia,  nonostante Lui mi avesse più volte chiesto: “Sei sicura? Sicura che non vuoi?>>. Sicura certo, talmente sicura che quella sera stessa, intorno a mezzanotte gli avevo telefonato (era il tempo dei primi cellulari, mai abbastanza benedetti) e Lui, grazie a dio migliore amico prima di essere ginecologo curante, dopo cinque squilli aveva risposto “Maschio!!!!”, anziché “Pronto???”.  Tutto merito di quel “I know my chicken” che è uno dei suoi motti preferiti. Conosce i suoi polli e anche in quell’occasione ne aveva avuto conferma.  
<<Mamma a che pensi???? Che facciamo? Chiedo o non chiedo? Dammi un consiglio>>
<<Posso dartelo domani?>>.  
<<Ok, a domani allora>>

lunedì 28 marzo 2011

RINNOVO DEL GUARDAROBA

Noi ragazze degli anni Ottanta quando eravamo incinte (e non capitava di frequente, visto che il trend era un figlio solo, massimo due, e mai, salvo eccezioni, prima dei 35 anni) ci vestivamo da incinte.  Ci vestivamo da incinte sia pure prendendo le distanze dai vezzosi abitini-mongolfiera, tutti sbuffi e nastri e volant,  delle ragazze anni Sessanta. Per noi c’erano salopette di jeans e scamiciati a quadretti tagliati sotto il seno. D’estate, le più trasgressive arrivavano a indossare, sopra una canottiera colorata, le camicie dei mariti, arrotolando le maniche e lasciando aperti i primi sei bottoni; le più fashion mettevano camicioni di lino della nonna, trovati in soffitta o acquistati in un mercatino dell’usato. Comunque, all’altezza del pancione, qualunque vestimento era largo e confortevole e non lasciava dubbi sullo stato (interessante) di chi lo indossava. Figlia è passata oggi a mostrami il suo corredo da incinta acquistato di fresco: numerose magliette e altrettanti legghins, dal nero al grigio con qualche scarto sull’antracite e lievi accenni di viola, precisi identici alle magliette e ai legghins, dal grigio al nero con qualche deviazione sul canna di fucile e brevi note di marrone scuro, acquistati quando Bambino era ancora pulviscolo di stelle, pensiero degli dei, chimera. Ci starà la pancia (se mai crescerà ché quasi ho perso le speranze) in questi capi aderentissimi? Ma certo che sì, mi ha risposto Figlia: i tessuti sono elasticizzati.  Ah, ecco.

venerdì 25 marzo 2011

25 MARZO 2011

Non so quasi mai in che giorno esattamente sono: o meglio so, sia pure vagamente, in che punto della settimana più o meno mi trovo (per esempio, il venerdì me lo sento nel cervello, con un buon margine di sicurezza) ma difficilmente saprei dire se è il 20 del mese oppure il 14 o il 31. E a proposito di 31, mi attacco ancora al provvidenziale “trenta dì conta novembre con april giugno e settembre….” altrimenti non avrei mai idea del numero di giorni del mese corrente (salvo nel caso particolare di febbraio, che mi è sempre rimasto impresso).  Non deve stupire:  dal tempo di Nefertari io le consegne  le devo effettuare  sempre e solo il mercoledì e il venerdì, per cui va da sé che una data vale l’altra, quel che conta è il giorno della settimana. Ma oggi, passando del tutto casualmente col cursore sull’orologio del pc, ho scoperto che è il 25 marzo. E’ il 25 marzo e non c’è neanche un post-it giallo appiccicato alla parete del mio studio, sulla lampada a stelo del mio tavolo, sul frigorifero, sulla libreria dietro alle mie spalle. Neanche un post-it giallo con su scritto: “Occhio, il 25 marzo sta per arrivare” oppure “RICORDA!!! Manca pochino al 25 marzo: re-ga-lo”.  Niente post it gialli perché la mia mammetta non c’è più e io non ho bisogno di ricordarmi che oggi è (sarebbe stato) il suo compleanno. Non devo correre a comprare fiori e cioccolato e un libro di grammatica e sintassi (lei li leggeva come se fossero un nuovo romanzo di Stieg Larsson, scritto dall’aldilà per i suoi orfani lettori). Non devo imprecare, come così tante volte in questo giorno, il 25 marzo, ho imprecato per essere costretta a mollare tutto per precipitarmi da lei con fiori e cioccolatini e il libro. Non ho più niente da festeggiare in questo 25 marzo del 2011 e chi l’avrebbe detto che un giorno (e questo giorno è oggi) avrei dato chissà cosa per poter uscire di corsa a comprare dei doni, cento doni, mille doni, tutti i doni del mondo per la mia mammetta.  

mercoledì 23 marzo 2011

FOTO RICORDO PER NIPOTINO

Dai 21 anni in avanti ho cominciato a nutrire la speranza di chiamare un cane Popper Hermes. Popper in onore del filosofo che ha scritto a chiare lettere “l’iperuranio esiste”, frase folgorante - il mondo delle idee c'è - e confortante - le idee governano il mondo -e mio personalissimo mantra. Hermes in quanto dio messaggero, protettore degli scrittori e, in particolare, dei giornalisti, velocissimo e piuttosto ardito (anche se a tratti un po' sfigato, ma ci sta).
Cane dopo cane ho tentato invano di piazzare il doppio nome, ma la mia proposta è sempre stata miseramente bocciata da coloro con cui mi toccava dividere il cane (in quanto miei coinquilini), a volte anche per motivazioni opportune e ragionevoli. Il cocker, per esempio, lo abbiamo dovuto battezzare per forza Chopin, ma non poteva essere altrimenti perchè, se qualcuno nel raggio di otto metri si attaccava a un flauto, lui istantaneamente assumeva un assetto da mezzo soprano e cominciava a emettere degli armoniosi uuuuu uuuuuu uuuuuuuuuuuuu di accompagnamento. Poi è arrivato Leopoldo, magnifico meticcio nero di 40 chili, che si sentiva un maltese bianco e si comportava di conseguenza (sospettavamo che avrebbe desiderato un fiocchetto rosso sulla testa e l'avremmo anche accontenato, se solo avesse avuto almeno un accenno di ciuffetto a cui ancorarlo, ma niente era irrimediabilmente a pelo raso). Leopoldo era già adulto quando entrò in famiglia: cambiargli il nome, per realizzare il mio sogno, sarebbe stato crudele. Poi sono arrivati i figli e con i figli  altri cani che però a quel punto spettava ai bimbi (ma chi l’aveva stabilito? Boh, è andata così) battezzare: e allora avanti, prima c’è stato un Oliver e poi un Milo.  Come gusti, circa i nomi dei cani, i miei figli e io siamo sempre stati distantissimi. Morale, a un certo punto non riuscendo ad affibbiare il nome a nessun fedele amico a quattro zampe e in carne e ossa, sono stata costretta a scrivere un romanzo, giusto per avere un cane disponibile da battezzare Popper Hermes. Essendo il cane  frutto della fantasia ed essendo mia la fantasia fruttifera, non avrei dovuto affrontare discussioni.  Specifico che non lo sto raccontando per pubblicizzare alcunché in quanto il piccolo editore del mio libro ha chiuso i battenti, nonostante anche la seconda ristampa abbia registrato l’esaurito (ma le copie distribuite, a dire il vero, erano pochine e, per amor di giustizia, va aggiunto che ho amici e colleghi molto gentili).
Il Popper Hermes che vive nel mio non più reperibile romanzo ha la stessa caratteristica di Milo, il cane che mi ha aiutato a crescere i bambini e che se ne è andato cinque anni fa a 16 anni compiuti: crede di essere un umano e detesta il genere canino. Il nome gli va a pennello e i personaggi del romanzo lo chiamano sempre per esteso, perché è un cane di carattere (come lo era l’altro, quello vero, coraggioso e instancabile e leale) e, quindi, non apprezzerebbe diminutivi o, peggio, vezzeggiativi.
Stasera ho cercato le foto di tutti i cani della mia vita: le terrò qui pronte da mostrare a Nipotino. Sono anche loro, questi cani del passato, parte della storia di questa famiglia che lo aspetta. Di Popper Hermes, che vive in un romanzo che non c’è più, gli racconterò la storia, perchè in lui ci sono tutti i cani che hanno camminato con me per un pezzetto di vita e che ora riposano nel mio cuore.     

lunedì 21 marzo 2011

INDOVINELLO E SOLUZIONE

<<Gli 80 euro meglio spesi della mia vita!>>, mi ha annunciato Figlia al telefono.
<<Cosa hai comprato????>>
<<Eh no, questo lo devi indovinare. Dai, su: tre tentativi….>>
<<UN INDIZIO, DAMMENE UNO!!!>>
<<Già fatto: 80 euro la spesa. Poi ho specificato: il migliore investimento della mia vita. Forza: tre tentativi…>>
<<Dunque: ti sei fatta le exstension…>>
<<ACQUA!!!! A ma’! ma che dici? Ho i capelli che mi arrivano al sedere…Dai ancora due…>>
<<mmmm…..dunque…80…meglio spesi….HAI CHIAMATO QUALCUNO CHE TI PULISSE I VETRI DI CASA….>>
<<ACQUA!!!! A ma’, i vetri di casa non so neanche che esistono, figurati se ci penso a farli pulirli. Dai ancora uno…>>
<<Dio mio, ce l’ho sulla punta della lingua…dai un altro indizino, indiziuccio...>>
<<Va be’, riguarda Bambino…>>
<<Bambino … Bambino … 80 euro… spesi bene…hai comprato, ci sono: la vestaglia Mu-Moo- Mu, bianca a macchie nere, da mettere in ospedale, dopo il parto. GIUSTO?>>
<<ACQUISSIMA!>>
Strano, strano che abbia sbagliato: Figlia colleziona mucche e derivati dalla nascita, una vestaglia pezzata non ce l’ha, avrei giurato che avrebbe detto “fuoco”, ergo, “centrato”.
<<Senti qui, senti bene…>>, mi dice con tono misterioso. Poi un attimo di silenzio, quindi: <<Tum tum tum tum tum tum>> 
<<Cos’è? Figlia, dimmi cos’è? Un tamburello, un paio di nacchere?>>
<<E’ il suo cuore.  Ho comprato un apparecchietto per sentirlo. Che ne dici?>>
Dico che non avrei indovinato mai.     

venerdì 18 marzo 2011

NIPOTINO MULTITASK? NO, GRAZIE

Li chiamano bambini-agenda: sono i bambini che hanno ogni singolo minuto di ogni singola giornata pieno zeppo di impegni. Sono i bambini della scuola inglese, del corso di pianoforte e di chitarra, delle lezioni di judo, degli allenamenti di calcio, delle gare di equitazione, delle “due ore al giorno massimo di Nintendo”. Sono i bambini che qualunque cosa facciano devono centrare un obiettivo, raggiungere un traguardo, produrre un risultato. Sono i superbambini, frutto dell’ossessione (diffusa a livelli endemici) del figlio perfetto. Un’ossessione misconosciuta che i genitori chiamano (in imperdonabile buona fede) “desiderio di offrire al figlio tutte le chance migliori”. I bambini perfetti, come i manager delle multinazionali, non si annoiano mai perché non ne hanno il tempo. Anche io ne avevo uno di bambino-agenda: come un folle demiurgo, anziché permettergli di crescere libero, così come la sua natura voleva prepotentemente, l’ho incatenato a una lunga serie di doveri, a volte mascherati da divertimenti (e questo, se possibile, è ancora peggio). Oggi so con estrema chiarezza che una brava mamma non deve volere un bambino perfetto, ma un bambino felice. E la felicità di un bambino dipende strettamente dalla possibilità di fare il bambino, che consiste prevalentemente nel poter disporre come meglio crede del tempo al di fuori della scuola. Nel poter trascorrere molte ore giocando o anche oziando, nel significato più proprio del termine, senza essere pressato dalle aspettative dei genitori.  Farò il possibile e anche l’impossibile per evitare di avere un nipotino multitask. Comincerò al più presto a parlare a Figlia dello slow parenting, che per gli americani riassume l’invito a  fare i genitori con tranquillità, senza esagerare in ansie, manie di perfezionismo, aspettative. Ma non solo, sta a significare anche - sì, sì lo hanno detto fior di scienziati e pare che funzioni – evitare di mettere il bambino al centro della propria vita. E basta pensarci un attimo per capire quale sgravio di responsabilità possa significare questo per il piccolo, roba da sentirsi leggeri come palloncini gonfiati a elio. Tranquillo Nipotino, vedrai che anche a te ti toccherà una vita lieve da palloncino.
p.s. Marina senza M, questo post è tutta colpa tua :-) 

giovedì 17 marzo 2011

CI VUOLE UN FISICO BESTIALE (MA CARBONI NON C'ENTRA)

Nella mia solitudine di figlia unica anni Sessanta, per non annoiarmi dovevo giocoforza aguzzare l’ingegno. Allora nessuno aveva la smania di intrattenere i bambini in ogni singolo minuto della loro esistenza, né tantomeno di riempirne i pomeriggi di impegni di ogni ordine e grado. Ai miei genitori, anche se grati al destino di aver concesso loro una figlia mentre già l’orologio biologico della fertilità stava per tirare gli ultimi fiati, non gliene fregava nulla che mi annoiassi, anzi non pensavano proprio che esistesse la possibilità di nutrire una preoccupazione del genere, quindi non  si sognavano neppure di comportarsi come animatori di un villaggio Valtur. Dopo la scuola tornavo a casa e, se le condizioni atmosferiche non  permettevano di scendere in cortile, me ne andavo in camera, nella piena certezza che fosse giusto e sacrosanto che così fosse. Nella mia stanza potevo giocare e leggere e fare i compiti, tutto a mio piacimento, nell’ordine che preferivo, senza subire né pressioni, né essere sottoposta a controlli. Ora sono quasi sicura che  era forse per questo che appena dopo mangiato (allora si usciva da scuola alle 12.30) aprivo la cartella e mi mettevo subito a farli quei benedetti compiti. Volevo togliermeli dallo stomaco: se non l’avessi fatto non sarei riuscita a godermi il pomeriggio perché se c’era una cosa che mi seccava più di tutto al mondo era l'eventualità di essere sgridata dalla maestra. Finché i compiti non erano finiti ero in balia di un vago malessere che nasceva dalla paura che accadesse qualcosa che mi avrebbe impedito di farli. Chi ha tempo non aspetti tempo: questo monito ha iniziato a perseguitarmi da piccola e ancora non mi molla (a cuccia, giù, ma niente).  
Dopo i compiti e prima della TV dei ragazzi mi piaceva leggere, ma soprattutto disegnare. Ed è intorno ai sette anni che ho iniziato il “Gioco bestiale” che, come si evince dall'aggettivo, fa subito intendere quanto fossi distante dal buonismo di quella sfigata di Pollyanna.  Il gioco era semplice ma richiedeva grande spirito di osservazione e un buon bagaglio di conoscenze specifiche: consisteva nel trovare nel vastissimo universo degli animali, comprensivo di rettili, anfibi, uccelli, mammiferi, insetti, il corrispettivo delle persone che conoscevo. Con davanti a me un album da disegno e Natura Viva (Enciclopedia sistematica del regno animale, Vallardi Editore) pensavo e ripensavo ai volti che mi erano noti (il salumiere, il pediatra, il bidello, il farmacista, la parrucchiera, la suorina che vendeva gli asabesi all’oratorio) e poi sfogliavo i grossi volumi alla ricerca del sosia quadrupede, bipede, invertebrato o con lische e pinne. Quando trovavo quello che faceva al caso mio lo copiavo usando le matite colorate poi, a opera finita,  in uno stampatello i primi anni incerto e poi via via graficamente migliore, scrivevo il nome della persona a cui il ritratto assomigliava tale e quale (o almeno così mi pareva). L’album coi disegni era un segreto. Non ho mai saputo se di nascosto da me la mia tata (al riguardo vedi post “Al telefono con Mary Poppins, del 19 febbraio) o i miei genitori o tutte e tre l’abbiano sfogliato né se in qualche modo ne fossero informati. Chissà dov’è quell’album, mi piacerebbe averlo ancora, per i ritratti e per un frammento della bambina che ero, che di sicuro c’è rimasto impigliato. Ma tant'è. Credo di aver smesso intorno ai nove anni di disegnarci sopra i miei personaggi vagamente kafkiani (le caratteristiche umane si intrecciavano, fondevano e confondevano con quelle degli animali-sosia), mentre ho continuato imperterrita in tutti questi anni a occuparmi (con la fantasia) di bestiali associazioni. E’ più forte di me, quasi un automatismo: in coda al supermercato, in coda al semaforo, in coda dal panettiere, in coda dal veterinario e ovunque non si possa leggere ma, in compenso, ci sia da annoiarsi alla grande guardo i visi della gente, poi passo in rassegna gli archivi mentali, in cui sta in bell’ordine il mio sapere etologico, e in un amen becco la somiglianza. Devo dire che negli ultimi tempi mi sono capitati un paio di pellicani. Erano anni che non ne vedevo. Poi stamattina la folgorazione. Nell'arco di tempo in cui io sono andata e tornata dal supermercato in bicicletta; ho chiuso e spedito un pezzo (alla faccia della festa nazionale); ho telefonato a Figlia per sapere come sta (male, vomita ancora parecchio); ho messo le gocce di antibiotico nelle orecchie della Signora Luisa (che ha di fisso l’otite peggio di un bambino il primo anno di asilo), Futuro Nonno Putativo si è alzato, si è fatto il caffè, ha seminato peperoni e  pomodori della sua fattoria virtuale (che.dio.facesse.andare.in.malora.tutto.il.raccolto). Dopodichè nel successivo arco di tempo in cui io ho fatto la doccia; ho lavato, asciugato e spazzolato Gino; tolto da terra un po’ di pelo col Folletto, Futuro Nonno Putativo ha cominciato a vestirsi. In questo momento non ha ancora portato a termine l’operazione (mentre io ho iniziato e concluso questo post).
HO CAPITO CHI E’ E QUEST'ULTIMO DATO (non si è ancora vestito!) CONFERMA LA SCOPERTA: un bradypus variegatus. 
p.s. magari un giorno scriverò un  libro di memorie: La mia vita con Sid    

mercoledì 16 marzo 2011

CAMBIO DI PROSPETTIVA

Al prestigioso summit dei più famosi specialisti del globo prese la parola il dottor Parsel, cardiologo. Era il 31 dicembre 1999. «Cari colleghi», iniziò il Sommo, dopo aver allontanato il personale di servizio con un cenno della mano e preteso che le porte della vasta sala venissero chiuse a chiave, «Cari colleghi, ho voluto riunirvi tutti, in questa serata così particolare, per comunicarvi l'esito degli studi che hanno impegnato me e i miei collaboratori per più di trent'anni». Un brivido di eccitazione percorse la sala, poi gli Illustri tacquero e rimasero immobili nella loro attesa di scienziati, interrogativa, sfibrante, insostenibile. Erano più di cento a soffrire e il dottor Parsel non ebbe animo di tenerli sulla corda. Risolse quindi di saltare ogni preambolo e qualsiasi discorso introduttivo e venne al dunque: «Abbiamo trovato il farmaco dell'immortalità», comunicò, «agisce direttamente sui centri vitali, cuore, midollo spinale, cervello, sistema immunitario, li preserva dal logorio, li mette al riparo da qualunque patologia, è quindi in grado di conservarli sani ed efficienti per secoli e secoli». Con il fiato sospeso i medici ascoltavano: nessuno di loro dubitava della veridicità della scoperta, e le loro menti lavoravano febbrilmente per valutarne la portata e le implicazioni. Molte mani si alzarono e, a una a una, vennero soddisfatte le domande. Sì, il farmaco miracoloso poteva essere somministrato a tutti e tutti, nessuno escluso, ne avrebbero tratto il supremo beneficio. Sì, il costo di produzione sarebbe stato relativamente contenuto per cui ogni Stato del mondo avrebbe potuto far fronte al suo acquisto per distribuirlo gratuitamente, almeno a coloro che non avrebbero potuto far fronte alla spesa di tasca propria. Restava ben poco da aggiungere, salvo gli affascinanti dettagli tecnici relativi al meccanismo d'azione della medicina. Quando mancavano cinque minuti a mezzanotte ogni curiosità era stata soddisfatta: gli Illustri e il Sommo si disposero a brindare al nuovo millennio e soprattutto all'eccelso obiettivo raggiunto. Alzando i calici si guardarono e ciascuno lesse nello sguardo degli altri il riflesso di ciò che provava lui stesso: il terrore della vita, più brutto ancora del terrore della morte, l'angoscia dei domani resi vacui dalla mancanza di una fine, la nausea di un futuro eterno, la noia per l'assenza della trasgressione, anche di una sola trasgressione, almeno un'unica volta: fumare mille sigarette, mangiare troppi grassi, fare l'amore con uno sconosciuto, correre a duecento all'ora in autostrada, fare le ore piccole sarebbero stati gesti senza rischio, azioni vuote, insipide, stanche. Senza lo  spettro della Sfida, nessuno, ne erano certi, avrebbe più assaporato la vita. E loro erano medici, scienziati, coloro che avevano in mano le sorti dell'Umanità. No, della scoperta non avrebbero fatto parola con il mondo. Né avrebbero mai osato loro stessi farne uso.

Questo racconto l’ho scritto appunto 12 anni fa, in vista del 2000: ero convinta del suo finale e avrei giurato che se quel convegno si fosse svolto davvero e che se anch’io, per una favorevole combinazione astrale ci fossi stata, avrei votato per occultare la scoperta esattamente come tutti gli scienziati presenti. Ma adesso sta per arrivare Nipotino e io, se mai il summit descritto si svolgesse e se mai mi invitassero, lotterei per avere una dose del portentoso farmaco e poi, una volta ottenuta, la metterei in cassaforte per poi regalargliela subito dopo il suo ingresso nel mondo.

















martedì 15 marzo 2011

LE STORIE INCOMPIUTE DI FIGLIA

<<Falla noiosa>>, le raccomandavo ogni sera, <<più noiosa possibile sennò non funziona>>. E Figlia, tiepida e accondiscendente nel suo pigiamino di flanella bianco a cuoricini rosa, annuiva con la testa. Ma le sue storie della buona notte che le chiedevo di raccontarmi, nella certezza (una paraculata vera) che se fosse stata lei a inventarle per me avrebbero sortito migliori risultati in termini di sviluppo della creatività, allenamento linguistico e rapida caduta nel sonno, avevano spesso quel guizzo di patos  che teneva desta la sua attenzione per un tempo troppo lungo rispetto a quello che avrei desiderato dedicare al rituale della sera.   
<<C’era una volta un pipistrello molto povero che si chiamava Rolando. Era molto povero perché…mmm perché…>>
<<Perché aveva perso tutto al casinò>> suggerivo io, pentendomene subito perché un simile spunto era senza dubbio esageratamente adrenalinico.
<<Che cos’è il casinò?>> chiedeva Figlia
<<Un posto magnifico pieno di luci e di suoni –dlin, dlin-dlin- e di voci –rienevaplu le  sciesonfe- dove tu metti dei gettoni (che si chiamano fiches e che compri coi soldi) su un tavolo con scritto 1, 2, 3, 4 fino a 36. Poi c’è una ruota piena di altrettanti numeri, da 1 a 36 più zero e doppio zero che gira. Sopra ci corre una pallina: se la pallina quando si ferma cade sul numero 24 la mamma che ci scommette sopra vince tanti gettoni…>>
<<Va be’ allora c’era una volta un pipistrello di nome Rolando che era molto povero perché…mmmm…perché aveva perso tutto quello che aveva al casinò…Mmm non ci scommetteva sopra al 24…Così un giorno decise di andare per il mondo a cercar fortuna: prese l’autobus…>>
<<Scusa ma i pipistrelli non prendono l’autobus>>, interrompevo io per la mia deformazione di cronista, che deve a tutti i costi riportare fedelmente la realtà dei fatti. Ma anche in questo caso  mi pentivo vuoi perché una discussione avrebbe distolto la bambina dal dormiveglia che prelude il sonno, vuoi perché per amor di giustizia se è vero che i pipistrelli non salgono sul tram per andare a cercar fortuna è certo che non diventano poveri perché hanno sviluppato una dipendenza da gioco d’azzardo.
<<No, dai, scusa, mi sono sbagliata, il tuo pipistrello sì, lo prende l’autobus, forza racconta…>>
Ma lei a questo punto dormiva già o faceva finta, perché da bambina aveva molto senso pratico e non amava invischiarsi in questioni in equilibrio instabile tra il paradosso, il filosofico, l’esistenziale e l’etologico.  
E così, purtroppo, una variegata serie di incipit è quanto mi rimane delle fiabe che Figlia inventava per addormentarsi, per via della sfortuna/fortuna di avere una mamma di 20 anni (e a 20 anni, come canta Guccini nella sua mitica Eskimo, si può essere felici e pieni di ideali certo, ma anche “stupidi davvero” e io corrispondevo esattamente a tutto) .
Nessuna delle fiabe di Figlia è mai stata costruita da cima a fondo o possiede un finale. Credo sarebbe un bel dono per Bambino se lei ci rimettesse mano e le completasse, per iscritto. Da parte mia non ci infilerei più becco e attenderei di leggerle con la stessa ansia con cui aspetto l’uscita della prossima antologia di racconti della Allende.    

lunedì 14 marzo 2011

SOLA SOLA

Il termine “sola” (con la “o” aperta) non c’è nel vocabolario (e qui si sta parlando del Devoto Oli) e la cosa sorprende non poco visto che di fatto rende l’idea di quello che intende esprimere come forse nessun altro del suo genere.  
Ed è esattamente come una che si è presa una strepitosa sola  (con la “o” aperta) che mi sento oggi. Tutta colpa dei luoghi comuni intorno alla figura della nonna che ho sentito e risentito fin dalla nascitataana grandissima strepitosa sola ice oggi, quasi che  tiravanongiarla diretatmente il tempo facendo torte. E che in effetti sono patrimonio condiviso, radicati come ventose nella nostra insipiente cultura e presenti perfino in alcune teorie psicoanalitiche. E’ o non è vero che certi autori di stampo younghiano sostengono che i bambini amano le tartarughe,  vere e disegnate, perché evocano i ritmi  lenti delle loro nonne?   E’ o non è vero che si è sempre sentito dire che le nonne sono signore che vivono all’insegna della saggezza, confezionando morbidi flan (per la ricetta vedi post “Lo strano caso delle voglie” del 24 gennaio)  e rinunciando alla puntata giornaliera di Sentieri e Beautiful solo in caso di fine del mondo? E’ o non è vero che insistenti voci di corridoio hanno da sempre sostenuto l’idea che le nonne sono pensionate e, come tali, non devono lavorare più come il più sfigato dei cammelli del più sventurato tra i beduini? E’ o non è vero che l’iconografia vuole che accanto alle nonne ci sia immancabilmente un gatto? Tutto vero e innegabile, neh? E invece no, signori, invece sono solo dicerie. Menzogne senza fondamento. Propaganda pura.  Altrimenti non si spiegherebbe la mia giornata di oggi, uguale a quella di ieri e a quella di domani: 11 ore secche al pc (senza peraltro recuperare il cronico ritardo che durante il sonno si trasforma nel terribile incubo della scala a pioli, caratterizzata da pioli che a mano a mano che si sale si sgretolano dietro di te). Non si spiegherebbe perché non riesco neanche  a preparare non dico un’insalata ma neppure un panino con la crema del Demonio (la Nutella) quindi mi tocca mangiarla direttamente dal barattolo. Non si spiegherebbe perché stamattina alle sei e trenta ero in giro tenendo al guinzaglio due cani che correvano al punto da indurre i pochi passanti insonnoliti a credere che stesse sfilando davanti ai loro occhi una riedizione di Ben Hur (sequenza corsa con le bighe). E alle sette e trenta ero già al desk, come dicono i miei colleghi anglofili (che dioliabbiaingloria). Sono una nonna vittima di una sola (con la “o” aperta): sono troppo giovane per andare in pensione; per pagarmi una badante che mi faccia la spesa, mi prepari da mangiare, mi porti fuori i cani; per prendermi anche un gatto (questo più che altro per via dei cani); per vedere non dico Beautiful ma almeno Sex and the city tutti i giorni. Allo stesso tempo, sono troppo vecchia per fuggire (destinazione Florida) con uno zaino in spalla; per farcela a uscire con gli amici dopo 11 ore di lavoro; per dire a Futuro Nonno Putativo di portarmi a un happy hour, un sabato sera in zona Milano da bere, per provare l’ebbrezza di mescolarmi ai quarantenni di oggi con la sindrome di Peter Pan.  Insomma, sono in bilico tra la ragazza che ero e la vecchina che diventerò. Chissà da che parte mi spingerà Nipotino, con le sue piccole mani nuove nuove.      

venerdì 11 marzo 2011

CONFLITTO D’INTERESSI

Lo scorso sabato grasso Futuro Nonno Putativo e io, dimentichi come ogni anno di quello che accade per le strade negli ultimi quattro giorni del carnevale, siamo usciti con Gino e la Signora Luisa (vedi post: Lo strano caso del nome sofisticato, del 13 febbraio 2011) con l’intento di farci una lunga e tranquilla passeggiata sotto il sole malato di questo inizio di marzo gelido e denso di polveri sottili.
Gino e la Signora Luisa hanno fiutato subito odor di fregatura e, infatti, dopo appena una cinquantina di passi hanno cercato in ogni modo di dissuaderci dall’andare avanti. Lui ha azionato la retromarcia, che è un optional in dotazione solo di pochissime razze, quelle da tana  come la sua, presumo, che non hanno la possibilità materiale di girarsi, per poter uscire dai cunicoli in cui l’istinto li porta a infilarsi.
Lei ha rizzato il pelo, abbassato le orecchie, infilato la coda tra le gambe e si è ammutinata. Evidentemente entrambi avevano sentito nell’aria, molto prima di noi umani, voci acute e festose. Voci che raccontavano di confusione, coriandoli, pistole ad acqua,  zucchero a velo. Voci di bambini, una categoria che incute in Gino un vero, forse ancestrale, per noi incomprensibile terrore, di cui neppure l’istruttrice Daniela, cinofila appassionata e grande esperta di psicologia canina, riesce a capacitarsi. Voci di bambini, una categoria che la Signora Luisa considera con circospezione, sperando nel meglio (avanzi di biscotto) ma pronta al peggio (coda e orecchie tirate, ditini in un occhio).
Noi, ormai storditi in generale e, in particolare, rincoglioniti con i cani, anziché invitarli a proseguire con una pedata nel sedere (almeno metaforica) abbiamo cominciato a dialogare con quella voce stucchevolmente in falsetto che è il sintomo più vistoso di un’aberrazione a cui solo i padroni di cani sanno arrivare:
<<Dai amorini, camminiamo un altro po’>>
<<Su tesoro, andiamo che poi quando torniamo ti darò l’ossettino  di pelle di bufalo (3 euro) >>
Convinti i due a proseguire grazie a ulteriori nauseanti moine su cui preferisco sorvolare, dopo altri cento metri circa abbiamo capito la ragione della resistenza: sabato grasso, sabato di mascherine. Nugoli di bambini travesti correvano sui larghi marciapiedi del centro, lanciando stelle filanti e grida di felicità.  Così abbiamo preso in braccio un Gino tramortito e abbiamo fatto dietro front, con la Signora Luisa appiccicata alle gambe che, stoicamente, accettava di continuare a camminare sulle sue zampe. Questo non ci ha impedito di buttare un veloce occhio sui travestimenti: moltissime fate e numerosi Zorro; vari cow boy e altrettante principesse, che mai e poi mai avrei immaginato usassero ancora: anche i miei figli, anche io e i due Futuri Nonni (Putativo e Bio) a Carnevale ci vestivamo così. Che commovente appurare  che i bambini sono sempre uguali, oggi come ieri. Mentre comunicavo a Futuro Nonno Putativo questa mia emozionante riflessione, per togliermi ogni slancio poetico e riportarmi bruscamente sulla terra sono scaturite quasi dal nulla una dozzina di bambine vestite da Hello Kitty, gattina intollerabile che riesce a piazzare la sua faccetta inespressiva praticamente ovunque, mo’ anche sulle torte. Credo ci manchi solo la carta igienica Hello Kitty, ché i fazzolettini ci sono già.  
Mentre rimugino sulla necessità di raccogliere firme per l’abrogazione di Hello Kitty, Futuro Nonno Putativo mi prende per la manica e mi esorta a battere in ritirata per amor di Gino.
Tornando verso casa, con entrambi i cani affranti e desiderosi solo di sentire la porta dell’appartamento chiudersi, erigendo una barriera invalicabile tra loro e il chiasso carnevalesco, ci siamo guardati e quasi contemporaneamente abbiamo detto:
<<L’anno prossimo ce l’avremo anche noi una mascherina da portare in centro. Gli (le) compreremo i coriandoli e il palloncino fatto a berretto di pulcinella….e i cani staranno a casa>>
<<Cosa hai detto per ultimo? Ah, hai parlato piano per non farti sentire….Va be’, va be’: parliamo del vestito. Lo voglio mascherare da orsetto, così anche non prende freddo. Una cuffietta marrone con le orecchie, la tutona in tinta di peluche. Sai? Ho un giornale dove ti insegnano come truccargli la faccetta. Dunque: con la matita nera gli si deve colorare la punta del naso, con quella marrone si devono disegnare i baffi….>>
<<Sì ma se Nipotino è Nipotina?>>
<<Orsetta! Orsetta rosa. Tutto uguale a orsetto, ma rosa. Per colorare la punta del naso si usa un rossetto fucsia.  Chiamo Figlia e glielo dico subito>>.
<<Va be’, puoi anche aspettare, non è urgentissimo…>>
<<No, no che poi magari mi passa di mente…Ecco, suona libero…Ciao. Figlia ho pensato per Bambino…Il vestito in maschera: da orsetto o da orsetta, sono uguali, tranne il colore…………………………………………………………………..Come?..……………..Ma .......perché
 scusa?........................................Senti, vorrà dire che ne avrà due……….Come due no? Ma per favore, non è che risolviamo la fame nel mondo se rinunciamo a uno……………………………………Ti prego, mi prometti almeno che ci PENSI?.....Sì, lo so che non è un’emergenza, comunque ci terrei a sapere…..Va be’, ciao a più tardi…..>>
Figlia che pure è piuttosto conciliante, su un punto non transige: dice che Bambino (o Bambina) il primo carnevale se lo farà vestito (vestita) da APE. Ma ape a me non piace. Già me lo/a vedo  vestito/a da orsetto marrone oppure orsetta rosa. Ma volete mettere? Ho proposto a Figlia di scendere a un compromesso: quando uscirà con me e Nonno Putativo lo/a vestiremo come dico io, quando uscirà con lei e Aspirante Genero lo/a vestiranno da ape (o da qualche altro insulso insetto). Niente da fare: Figlia ha tirato fuori varie questioni etiche che rendono immorale l’acquisto (anche solo teorico) di due costumi in maschera per un solo bambino, che oltretutto nascendo a fine agosto il prossimo carnevale avrà circa sei mesi.
<<Da orso glielo metteremo di nascosto>>, propone Futuro Nonno Putativo che da quando ha smesso di fumare e anche di mangiare è sempre a caccia di nuove trasgressioni (per l’effetto eccitante dell’adrenalina).
<<Davvero?>> chiedo speranzosa
<<Ma certo che sì. Tanto lo dici sempre che siamo rincoglioniti. Che almeno serva a qualcosa: chiederemo le circostanze attenuanti….>>





    

mercoledì 9 marzo 2011

NOMEN OMEN

Nomen omen: il nome è un presagio, dicevano gli antichi.
<<Nomen omen dicevano gli antichi>>,  preciso nel corso di una chiacchierata con  Figlia.
<<E allora?>>,  chiede lei solo per educazione, perchè in realtà niente gliene frega meno della saggezza del passato.
<<No, dicevo così, tanto per dire. Tanto per dire che ci devi pensare bene>>
<<Già fatto. Si chiamerà L…Tu ti sei trovata abbastanza bene no? Hai più mariti di Rossella O’Hara >>
<<Ehi, Signorina TuMiStufi, guarda che la fortuna in amore non si misura contando i mariti. E poi coi mariti non è un fatto di quantità, ma di qualità… Sappi comunque che il nome influenza tutto tranne il numero dei mariti…>>
<<Sicura? Secondo me una che si chiama Astolfa è segnata in partenza…>>
<<Figlia, ti prego passiamo oltre. Devi prendere in considerazione l’eventualità che abbia il pisello. Nel qual caso non puoi chiamarlo come me. Oltretutto ho uno dei pochi nomi che non hanno il maschile>>  
<<Nomi da maschio belli non ce ne è>>
<<Lorenzo! LORENZO.  Sei nata il 10 agosto ha un suo perché e poi…e poi c’è un mio nuovo amico che scrive un blog bellissimo  “Tracce di ruote”,  anche lui Lorenzo…>>
<<Non posso, il tuo Aspirante Genero non vuole perché il mio primo amore si chiamava Lorenzo…>>
<<Ah già, va be’, ma all’inizio si potrebbe specificare, precisare bene. Che ne so, quando qualcuno ci chiederà il nome di Bambino potremmo dire: Lorenzo, ma che non c’entra con quel Lorenzo Primo Amore, ma c’entra con lo scrittore-che-piace-alla-nonna-materna e col 10 agosto>>
<<Mi sembra complicato in generale e, in particolare, poco convincente per il tuo Aspirante Genero>>, replica Figlia, che di questi tempi vede difficoltà ovunque, anche dove non ce ne sono (colpa del progesterone, credo) 
<<Ma non eri una donna liberata? Ma bisogna sempre fare quello che dice Aspirante Genero?>>
<<No, non sempre, ma in questo caso sì>>
<<Benissimo. Tomaso, allora? Tomaso con una emme sola?>>
<<Mamma? Senti devo confessarti una cosa. Ti piaccia o no, Aspirante Genero vuole sceglierlo lui il nome, in caso di bambino con il pisello. Devi fartene una ragione>>
<<Non oso pensare…dai sputa il rospone…come vuole chiamare questa povera creatura col pisello?>>
<<L*E*O*N*A*R*D*O, dal longobardo: significa forte come un leone>>
Non è vero affatto che quanto mi ha comunicato Figlia stamattina mi ha indotto a svenire (sia pure con studiata lentezza) perché il nome non mi piace. Anzi, lo trovo piuttosto musicale e convincente nel significato, oltre che calzante, visto che di sicuro Nipotino sarà un tipo estremamente regale e volitivo. Il punto è che nella città dove l'intera famiglia allargata vive per solidarietà verso Futuro Nonno Bio, che qui è nato e cresciuto e morirà (mentre io no, salvo imprevisti relativi al passo fatale), praticamente tutti i nuovi nati, dall’uscita di Titanic a oggi, sono stati chiamati Leonardo. Il fenomeno è talmente eclatante e unico nel suo genere che ne hanno parlato perfino i giornali, sottolineando che non di rado chi ha già un figlio di nome Leonardo, chiama il successivo Edoardo, consolandosi così, con l'assonanza, dell'impossibilità di chiamare Leonardo anche il secondo.  
Il mio Nipotino (se mai Bambino fosse maschio) a scuola dovrà giocoforza essere chiamato per cognome, se la maestra e i compagni vorranno distinguerlo dal magma degli omonimi.
E se c’è qualcosa di vero nella convinzione antica secondo cui il nome influenza fortemente non solo il destino ma anche la personalità, non ci sarà il rischio di mettere in circolazione più che un bimbo una specie di clone?  

lunedì 7 marzo 2011

ALLIBRATORI PER NIPOTINO(A)

Dato che all’estrazione non manca tanto e dato che di svaghi in questa sonnacchiosa cittadina di provincia non ce ne sono molti, nella nostra cerchia di parenti/amici/colleghi si cimentano un po’ tutti nel TOTOSESSONIPOTINO. Questa è la spiegazione ufficiale. 
 In realtà, sono in pochi a sottrarsi all’exit poll visto che raramente ho il buon senso di astenermi dal chiedere ai miei interlocutori, non solo abituali ma anche occasionali: “Per te che cos’è?”.  
Sarei ingrata se non precisassi che tutti gli interpellati dimostrano una pazienza infinita  e che, già che ci sono,  rassegnati, scommettono.  
I più cauti puntano al massimo un caffè al banco, i più benestanti una coppa “Preludio d’autunno” (noce, marron glaces, cioccolato bianco, cioccolato nero, nocciola, doppia panna, mandorle tritate, ombrellino cinese), servita al tavolo della Gelateria-Gioielleria del centro. A seconda dell’estro e dei gusti di ciascuno,  vengono messe in palio  anche prelibatezze intermedie, come un piccolo cesto di frutti di marzapane; sei cannoncini alla crema chantilly; tre mini broches salate alla crema di pollo.  
Gli scommettitori possono essere divisi in categorie:
* quelli che affermano che si tratta di una bambina non perché possiedono il dono della preveggenza, ma solo ed esclusivamente per far piacere a me, a Figlia, a Futuro Nonno Putativo, a Futura Bisnonna, alla Snella (madre di Aspirante Genero, quindi a sua volta Futura Nonna, sia pure Paterna. Grazie a sua figlia ha già due nipotini maschi di cui in questo caso è Nonna Materna in servizio attivo).
*  quelli che dicono che è una bambina perché se si chiede a Figlia a bruciapelo: “Cos’hai fatto alle mani?” lei istintivamente si guarda le palme e non i dorsi. Pare invece che le donne incinte di un maschietto a fronte della stessa domanda gettino istintivamente gli occhi sui dorsi. A questa categoria appartiene solo la mia amica Rachele, che è anche la divulgatrice del test delle palme e dei dorsi delle mani.
* quelli che dicono che è una bambina perché Figlia ogni tanto vomita e anche loro (o, in caso di scommettitori uomini, le loro mogli/amiche/conoscenti/amanti/conviventi) quando aspettavano una bambina ogni tanto vomitavano.
* quelli che dicono che è un maschio perché Figlia ogni tanto vomita e anche loro (o, in caso di scommettitori uomini, le loro mogli/amiche/conoscenti/amanti/conviventi) quando aspettavano un maschietto ogni tanto vomitavano. (E questo sta a dimostrare come nel primo trimestre di gravidanza i disturbi gastrici vengano distribuiti in modo del tutto casuale).
* quelli che dicono che è un maschio per far piacere ad Aspirante Genero che già sogna lunghe distese di campi di calcio/basket/frisbee, piste elettroniche e Gormiti.
* quelli che dicono che è una bambina perché “lo sentono” (di questi ce ne è solo una: Futura Bisnonna)
*   quelli che dicono che è un maschio perché “lo sentono” (di questi ce ne è diversi tra cui il più rappresentativo è Futuro Nonno Putativo, che scommette a più non posso).
Io punto poco (anche se un’idea me la sono fatta e anche precisa): quasi sempre solo un caffè, mentre Futuro Nonno Putativo vola alto (addirittura  si gioca cene e pranzi). Il punto è che ho da sempre un handicap rispetto alle scommesse: non mi piace perdere, ma – e qui sorge il pesante impedimento - non mi piace neanche vincere (lo so, lo so prima o poi ne dovrò parlare con uno psicoterapeuta).  
p.s. per voi che cos'è?

domenica 6 marzo 2011

L’AZZURRO E’ UNISEX?

Figlia oggi mi ha annunciato di aver scelto la culla. Ha deciso per quella che di certo avrebbero avuto Qui Quo Qua se non fossero nati già in età scolare. E’ in vendita all’Ikea in super offerta. Figlia la vuole comprare subito, cioè molto prima del 4 di aprile, data in cui la quarta ecografia ci svelerà il sesso di Nipotino, se naturalmente avrà la compiacenza di non voltare le spalle alla sonda per tutto il tempo dell’indagine.
La ragione di questo acquisto prematuro è semplice: la promozione scade tra pochi giorni, perdindirindina (come dice Hugh Grant in Nottingh Hill e come insegnerò a Bambino che bisogna dire quando le circostanze richiedono un’imprecazione da salotto).  
Il nodo della questione è che questa culla è disponibile solo in due colori -  azzurro e rosa – e Figlia ha deciso di acquistarla azzurra, perché secondo lei andrà benissimo sia per un maschio sia per una bambina, mentre il rosa no.
Cioè, a suo insindacabile giudizio la dignità di Nipotina (se mai lo fosse) non verrebbe lesa dall’azzurro della culla, invece quella di Nipotino (se mai lo fosse) subirebbe un colpo, se questo suo primo giaciglio fosse rosa.  La sua virilità verrebbe cioè in un certo senso disconosciuta, con quel che ne potrebbe conseguire per il suo futuro equilibrio.  
<<Non sono d’accordo>>, ho detto. <<Cioè, è giusto e sacrosanto che Bambino (se mai lo fosse) non abbia una culla rosa. Ma lo è altrettanto che Bambina non abbia una culla azzurra. Secondo me stai commettendo un errore. E Bambina (se mai lo fosse) potrebbe offendersi>>
<<Le madri non sbagliano mai. L’ha detto Bollea. Anzi, ci ha intitolato un libro>>.
<<Sì, ma era PROVOCATORIO. Infatti quando leggerai questa sacra bibbia dell’educazione, troverai anche che la condicio sine qua non è l’uso del BUON SENSO>>  
<<Senti con quella somma non ci compro neanche una spesa per tre giorni al Setroviqualcunochehaprezzipiùaltisparaciinbocca>>
<<No, scusa, e dove l’hanno aperto?  Hanno risparmiato anche sul creativo, il nome è troppo lungo, non è orecchiabile. Non è immediato, e poi non ci sta sui sacchetti>>
<<Mamma? MAMMA? Ti prego, torniamo a noi>>
<<Sì, ok, va bene, scusa sai... ehm... deformaz.. ehm... profes…Senti ti piace più di tutte quella culla lì?>>
<<Sì, ma più di tutto mi piace anche il suo prezzo>>
<<Va be’, allora facciamo così: la differenza tra il prezzo promozione e il prezzo pieno te la metto io. E andremo a prenderla il 5 aprile>>
<<Va be’, ci sto, affare fatto>>
E così con poche manciate di euro ho salvato la dignità di Nipotina (se mai lo fosse).   

venerdì 4 marzo 2011

C’ERA UNA VOLTA…

Nicola M. era un omone grande e grosso, con gli occhi che tiravano al blu cobalto e mani come badili che usava con insospettabile  lievità e indiscutibile perizia. Era un ortopedico di successo, per alcune intuizioni cliniche, per la capacità di migliorare l’assetto di ossa, tendini, legamenti malconci e per i suoi modi gentili. Nicola M. teneva alla carriera quanto all’aspetto umano della professione quindi o per l’una o per l’altra ragione era sempre in ospedale. Un giorno, mentre si trovava in sala operatoria ricevette una telefonata da un collega del reparto di oncologia, dove da un paio di settimane era ricoverata sua madre. Dopo la chiamata, aveva portato a termine l’intervento cercando di allontanare il pensiero di quanto lo attendeva, poi senza neppure cambiarsi era uscito dal padiglione  “Traumatologia, ortopedia, Fisiatria” e, con addosso il camice verde, aveva attraversato correndo il lungo cortile dell'ospedale, alla volta del padiglione in cui era sua madre.
<<Mamma, mamma aspettami>>. Grande, grosso e medico, ma chiamava "mamma", la sua mamma vecchia giunta alla fine del Viaggio.
Era entrato nella stanzetta semibuia a testa alta, con gli occhi chiari asciutti e le mascelle irrigidite in un’espressione fredda e risoluta. Era un medico e da medico doveva comportarsi: lucidità, ragionevolezza, un filo di cinismo. 
Vicino a Berry, amico e collega, quasi un fratello, stava il Professore. Il Luminare, il Guru, lo Scienziato, il Grande Primario che ai convegni parlava un inglese fluido, sciorinando teorie che lasciavano la platea affascinata.  In piedi, altero, teneva tra le dita il polso fragile di sua madre, pronunciando frasi dotte a erudizione del suo codazzo di assistenti, schierati contro la parete, ossequiosi, adulanti.
Sua madre aveva aperto gli occhi, azzurrissimi e ancora vividi tra le palpebre avvizzite. L’aveva guardato  e con la mano libera dalla morsa altera del Professore gli aveva fatto cenno di avvicinarsi. Aveva obbedito, si era chinato su di lei e lei sottovoce (ma non abbastanza da impedire agli astanti di sentire) indicando il Professore gli aveva detto: <<Nicola, questo qui è un ermelo>>.
Il Professore le aveva gettato uno sguardo di regale condiscendenza, poi aveva portato l’indice di una mano alla tempia, per picchiettarla, mentre fissava Nicola. Un gesto impudico, volgare ed eloquente: Non c'è più tanto con la testa.
Nicola, ottimo medico in carriera, guardando il Sommo aveva annuito con la stessa aria di compassione fasulla. Aveva anche strizzato l'occhio: Ci siamo intesi, non c'è più tanto con la testa. Ricevuto.
Poi aveva guardato di nuovo sua madre che gli sorrideva, dicendo (e sarebbero state le sue ultime parole): <<Credimi è un ermelo>>.  Quindi aveva chiuso gli occhi e non li aveva riaperti più.
Era stato il dolore cocente di quell'istante a risvegliare la sua memoria. Si era rivisto bambino, vicino a lei bionda, bellissima e allegra. Si sentiva sempre bene quando erano insieme perché lei lo amava e lo voleva così, proprio come era. A lui piaceva farla ridere, piaceva proteggerla e un giorno per riuscire in tutte e due le cose aveva inventato per lei  un vocabolo nuovo di zecca. Era stato secoli prima: un conoscente  semi-ubriaco le aveva fatto una scenataccia per motivi futili e sua madre era stata sul punto di piangere. Allora lui, non potendo difenderla altrimenti, aveva provato a consolarla dicendo: <<Mamma, quello lì è un ermelo>>.
Lei lo aveva guardato, aveva compreso al volo ed era scoppiata a ridere. <<E' vero>>, aveva risposto di rimando, con naturalezza, come se il termine - creato in quel momento - appartenesse da secoli al vocabolario, <<E’ proprio ermelo>>.
E così nel loro linguaggio segreto, ricco di strane parole inventate e sepolte nel passato insieme ai baci e alle carezze dell'infanzia, "ermelo" era rimasto sinonimo di "persona di cui avere un po' paura, ma non troppo".
Nicola M. era un medicone grande e grosso che trascorreva quasi tutto il suo tempo in ospedale, perché amava fare carriera e  considerava i suoi pazienti una priorità assoluta. Il giorno in cui sua madre morì, perché era nell'ordine naturale delle cose che accadesse, ci mise troppo tempo a ricordare un episodio della sua infanzia. Così per molti anni dopo portò con sé il rimorso di non aver compreso che sua madre sul punto di morire, per alleviare il dolore che lui provava, aveva cercato di farlo ridere: <<Il professore è ermelo>> (una persona un po’ così, minacciosa ma neanche tanto. Io e te insieme ne possiamo ridere e la paura se ne andrà).
Non aveva capito e aveva dato retta solo al gesto vigliacco (ed eloquente) del Professore: Non c'è più tanto con la testa.
<<No, Professore>>, avrebbe dovuto dire, ma non l'aveva fatto allora e poi farlo non avrebbe avuto più senso, perché lei non c'era più. <<No professore, quello che sta dicendo mia madre, anche se ha passato gli ottanta anni, è proprio vero, lei è davvero ermelo>>. E poi avrebbe dovuto ridere, per farla contenta.

Figlia desidera una bambina. Figlia pensa che sia più facile essere mamma di una bambina. Figlia crede che per una donna avere una bambina sia il premio più ambito che possa elargire la vita. Figlia è convinta che il legame che una madre costruisce con un figlio maschio non possa mai raggiungere l’eccellenza qualitativa di quello che una madre può creare con una figlia femmina. Pregiudizi, nient’altro che pregiudizi. E per dimostrarglielo ho pensato di raccontarle meglio, con più particolari, questa storia vera di cui ho saputo quasi per caso. Poi ho deciso di metterla qui, per lei e per tutti coloro a cui piacciono le storie vere che parlano di mamme e di figli maschi.  

mercoledì 2 marzo 2011

PERSONAGGI E INTERPRETI

Alla faccia di quell’incubo ricorrente del Garante della privacy, che grazie-a-tutti-gli-dei in un blog come questo non può mettere il becco, ho pensato sia giunto il momento di fornire delucidazioni sulla mia famiglia allargata. Sono stata molto attenta a non perdermi in fase di compilazione, perché mi sono resa conto che cominciavo io stessa a confondermi.  Da brava Futura Nonna quale sono,  credo che lo schema che propongo di seguito potrà essere d’aiuto anche a Nipotino, quando finalmente arriverà.
Forse glielo appenderò sopra la culla, insieme alla casina delle api.  Al posto dei nomi, ho pensato però di mettere le foto di ciascun componente (più in basso gli stretti consanguinei).  L’idea mi è nata da un dubbio: vuoi mai che Nipotino, nonostante abbia una mente geniale chiaramente evidenziata dalle prime ecografie,  nei primi mesi di vita non sappia ancora leggere?
Ecco qui, ridotti all'osso, i principali protagonisti della saga.
Futura Nonna Biologica = io, la scrivente, mamma di Figlia e Figlio, ex nuora di Futura Bisnonna, ex moglie di Futuro Nonno Biologico, moglie in carica di Futuro Nonno Putativo. Senza fratelli biologici (al riguardo, vedi post "Corsi, ricorsi e un cassetto da sistemare" del 12 febbraio)
Futuro Nonno Biologico = papà di Figlia e Figlio, a sua volta figlio di Futura Bisnonna. Ha due fratelli maschi. Di lui alcune intraprendenti studentesse munite di bomboletta rossa su un muro hanno scritto: PROFE (nome omesso) SEI UN GRAN FIGO!
Futuro Nonno Putativo: mio secondo (e certamente ultimo, che due è già un bel numero) marito.  Ha un padre sposato con una donna della mia età e tre fratelli maschi, di cui due gemelli (eterozigoti). A nostro uso interno lo abbiamo soprannominato Animalone, per la stazza e gli occhi azzurri da mammut dell’ Era glaciale.
Figlia: nata da me e da Futuro Nonno Biologico, sta aspettando (e, a differenza di noi, non solo in senso figurato) Nipotino. Di recente ha fatto la pace con Aspirante Genero, padre di Nipotino.
Nipotino: Bambino in via di fabbricazione a cui la natura ha fatto dono di straordinarie doti, già rilevate dall’ecografo.
Aspirante Genero: papà biologico di Nipotino, ha permesso che Figlia smontasse il matrimonio 14 giorni prima che venisse celebrato.  Poi, con il supporto di quintali di rose rosse, ha convinto Figlia a fare la pace (ma di matrimonio per ora non se ne riparla).
Figlio: è il Futuro Zio di Nipotino, non ama essere tirato in ballo.
Zia Olandese: è l’ex moglie di uno dei due fratelli di Futuro Nonno Biologico. Ha il lato B più grandioso della famiglia. E' la sorella che non ho avuto.
Futura Bisnonna: è la mamma di Futuro Nonno Biologico, cioè la nonna di Figlia e Figlio (e dei loro Cugini di primo grado, 4 in tutto, dai 23 ai 10 anni di età). Indossa solo scarpe con tacco 12 centimetri. Su suggerimento delle nuore (ex e in carica) è stata più volte tentata di scendere in piazza a bruciare il visone (che costituisce l'unica zona d'ombra della sua bellissima vita).  Incurante della scorrettezza intrinseca del legame è la Suocera del Cuore mia, di Futuro Nonno Putativo e della Zia Olandese. In realtà sarebbe suocera solo dell’Ultima Fidanzata (cioè della fidanzata di suo figlio, che è il mio ex marito e il padre di Figlio e Figlia. Però questa giovane donna non è interessata a essere nuora).
Migliore Amica:  siamo un tutt’uno da 41 anni. Vive a Roma. Viene chiamata (o chiama) una volta al giorno per piangere, ridere, ricordare e, naturalmente, anche più volte al giorno in caso di dolori o gioie d’ emergenza.  Si rifiuta di farsi estirpare i baffetti con la ceretta a caldo (e questa mi è difficile da mandare giù, dato che per seconda professione faccio baffi&tarocchi, al riguardo vedi post "Lessico famigliare 2" del 28 febbraio)  

                                        

martedì 1 marzo 2011

UN PRANZO DISERTATO E BULBI DI CONSOLAZIONE

Sabato scorso Aspirante Futuro Genero (ex Mancato, ma di questo racconterò in seguito) è passato da casa mia per prendere il mio regalo per Futura Bisnonna, da cui stava andando a pranzo (Figlia, al momento di turno, lo avrebbe raggiunto direttamente laggiù). 
Alla fine di febbraio, il pranzo di Futura Bisnonna è una tradizione: così lei festeggia da sempre il suo compleanno, invitando tutti a mangiare a casa sua. E quando si dice “tutti” vuol dire nipoti nati e non ancora nati con eventuali fidanzati (in questo caso, solo se già venuti al mondo) conviventi e non; figli e nuore sia in carica sia ex (in questo caso anche accompagnate dai nuovi partner). A volte vi è pure qualche respinto (amante messo da parte o mai preso in considerazione da nipoti o figli) che, avendo accidentalmente conosciuto la sua abilità di chef e non sapendo rinunciarvi, con la scusa di questa ricorrenza invoca un posticino alla sua mensa, nella certezza di essere accolto perché se ci sono due cose che piacciono a Futura Bisnonna sono: essere apprezzata per quello che fa, ricevere tanti regali per il compleanno (e i respinti che arrivano al desco portano in dono meraviglie).
A cucinare per il Grande Pranzo di Compleanno ci pensa dunque lei, Futura Bisnonna, senza risparmiarsi: sui suoi tacchi 12 centimetri, con una sciarpa di chiffon tigrato al collo, un tubino nero che neanche la Hepburn quando va da Tiffany e i morbidi capelli vaporosamente acconciati, anche quest’anno ha messo insieme un menu da tre stelle Michelin. C’erano involtini di verze e torta di verdure, pasta al forno col pesto (ha la Liguria nel cuore per via di un grande amore, mai abbastanza rimpianto, di cui però non ricorda il nome) e arrosto di vitello al latte, salsiccia con i funghi, torta alla crema e pinoli. Io non sono andata per due ragioni: mi sarei persa Distretto di polizia che va in onda all’una su Rete 4, avrei potuto imbattermi nella Futura Nonna Putativa, anch’essa invitata (come vi ho detto “tutti” vuol dire “tutti”). In effetti, appena appena un po’ di più per la seconda ragione.
Va be’: non andando al Grande Pranzo di Compleanno di persona volevo esserci almeno con lo spirito. Per sottolineare la mia vicinanza emotiva non c’era niente di meglio che inviare un dono alla festeggiata e  per farlo non potevo che puntare tutto su Aspirante Genero (ex Mancato), unico essere al mondo che quando si tratta di farmi un favore non si smaterializza nel nulla fino a sparire dalla dimensione terrena né comincia ad accampare con voce lamentosa scuse penose e traballanti.  E’ arrivato, io sono scesa con il mio pacco per Futura Bisnonna e mentre glielo porgevo lui a sua volta mia ha dato qualcosa: un cesto viola (il mio colore preferito) pieno di crocus bianchi, narcisi gialli e muscari blu.   Da parte sua, di Figlia e di Nipotino. Così ho avuto la prova che a mentire sono una vera schiappa e che nessuno dei tre (pensa un po', neppure Nipotino) se l’era bevuta che non m’importava niente di esserci anch’io in carne e ossa (e non solo come puro spirito rappresentata da un fottuto regalo) a quel pranzo lì.