Lo scorso sabato grasso Futuro Nonno Putativo e io, dimentichi come ogni anno di quello che accade per le strade negli ultimi quattro giorni del carnevale, siamo usciti con Gino e la Signora Luisa (vedi post: Lo strano caso del nome sofisticato, del 13 febbraio 2011) con l’intento di farci una lunga e tranquilla passeggiata sotto il sole malato di questo inizio di marzo gelido e denso di polveri sottili.
Gino e la Signora Luisa hanno fiutato subito odor di fregatura e, infatti, dopo appena una cinquantina di passi hanno cercato in ogni modo di dissuaderci dall’andare avanti. Lui ha azionato la retromarcia, che è un optional in dotazione solo di pochissime razze, quelle da tana come la sua, presumo, che non hanno la possibilità materiale di girarsi, per poter uscire dai cunicoli in cui l’istinto li porta a infilarsi.
Lei ha rizzato il pelo, abbassato le orecchie, infilato la coda tra le gambe e si è ammutinata. Evidentemente entrambi avevano sentito nell’aria, molto prima di noi umani, voci acute e festose. Voci che raccontavano di confusione, coriandoli, pistole ad acqua, zucchero a velo. Voci di bambini, una categoria che incute in Gino un vero, forse ancestrale, per noi incomprensibile terrore, di cui neppure l’istruttrice Daniela, cinofila appassionata e grande esperta di psicologia canina, riesce a capacitarsi. Voci di bambini, una categoria che la Signora Luisa considera con circospezione, sperando nel meglio (avanzi di biscotto) ma pronta al peggio (coda e orecchie tirate, ditini in un occhio).
Noi, ormai storditi in generale e, in particolare, rincoglioniti con i cani, anziché invitarli a proseguire con una pedata nel sedere (almeno metaforica) abbiamo cominciato a dialogare con quella voce stucchevolmente in falsetto che è il sintomo più vistoso di un’aberrazione a cui solo i padroni di cani sanno arrivare:
<<Dai amorini, camminiamo un altro po’>>
<<Su tesoro, andiamo che poi quando torniamo ti darò l’ossettino di pelle di bufalo (3 euro) >>
Convinti i due a proseguire grazie a ulteriori nauseanti moine su cui preferisco sorvolare, dopo altri cento metri circa abbiamo capito la ragione della resistenza: sabato grasso, sabato di mascherine. Nugoli di bambini travesti correvano sui larghi marciapiedi del centro, lanciando stelle filanti e grida di felicità. Così abbiamo preso in braccio un Gino tramortito e abbiamo fatto dietro front, con la Signora Luisa appiccicata alle gambe che, stoicamente, accettava di continuare a camminare sulle sue zampe. Questo non ci ha impedito di buttare un veloce occhio sui travestimenti: moltissime fate e numerosi Zorro; vari cow boy e altrettante principesse, che mai e poi mai avrei immaginato usassero ancora: anche i miei figli, anche io e i due Futuri Nonni (Putativo e Bio) a Carnevale ci vestivamo così. Che commovente appurare che i bambini sono sempre uguali, oggi come ieri. Mentre comunicavo a Futuro Nonno Putativo questa mia emozionante riflessione, per togliermi ogni slancio poetico e riportarmi bruscamente sulla terra sono scaturite quasi dal nulla una dozzina di bambine vestite da Hello Kitty, gattina intollerabile che riesce a piazzare la sua faccetta inespressiva praticamente ovunque, mo’ anche sulle torte. Credo ci manchi solo la carta igienica Hello Kitty, ché i fazzolettini ci sono già.
Mentre rimugino sulla necessità di raccogliere firme per l’abrogazione di Hello Kitty, Futuro Nonno Putativo mi prende per la manica e mi esorta a battere in ritirata per amor di Gino.
Tornando verso casa, con entrambi i cani affranti e desiderosi solo di sentire la porta dell’appartamento chiudersi, erigendo una barriera invalicabile tra loro e il chiasso carnevalesco, ci siamo guardati e quasi contemporaneamente abbiamo detto:
<<L’anno prossimo ce l’avremo anche noi una mascherina da portare in centro. Gli (le) compreremo i coriandoli e il palloncino fatto a berretto di pulcinella….e i cani staranno a casa>>
<<Cosa hai detto per ultimo? Ah, hai parlato piano per non farti sentire….Va be’, va be’: parliamo del vestito. Lo voglio mascherare da orsetto, così anche non prende freddo. Una cuffietta marrone con le orecchie, la tutona in tinta di peluche. Sai? Ho un giornale dove ti insegnano come truccargli la faccetta. Dunque: con la matita nera gli si deve colorare la punta del naso, con quella marrone si devono disegnare i baffi….>>
<<Sì ma se Nipotino è Nipotina?>>
<<Orsetta! Orsetta rosa. Tutto uguale a orsetto, ma rosa. Per colorare la punta del naso si usa un rossetto fucsia. Chiamo Figlia e glielo dico subito>>.
<<Va be’, puoi anche aspettare, non è urgentissimo…>>
<<No, no che poi magari mi passa di mente…Ecco, suona libero…Ciao. Figlia ho pensato per Bambino…Il vestito in maschera: da orsetto o da orsetta, sono uguali, tranne il colore…………………………………………………………………..Come?..……………..Ma .......perché
scusa?........................................Senti, vorrà dire che ne avrà due……….Come due no? Ma per favore, non è che risolviamo la fame nel mondo se rinunciamo a uno……………………………………Ti prego, mi prometti almeno che ci PENSI?.....Sì, lo so che non è un’emergenza, comunque ci terrei a sapere…..Va be’, ciao a più tardi…..>>
Figlia che pure è piuttosto conciliante, su un punto non transige: dice che Bambino (o Bambina) il primo carnevale se lo farà vestito (vestita) da APE. Ma ape a me non piace. Già me lo/a vedo vestito/a da orsetto marrone oppure orsetta rosa. Ma volete mettere? Ho proposto a Figlia di scendere a un compromesso: quando uscirà con me e Nonno Putativo lo/a vestiremo come dico io, quando uscirà con lei e Aspirante Genero lo/a vestiranno da ape (o da qualche altro insulso insetto). Niente da fare: Figlia ha tirato fuori varie questioni etiche che rendono immorale l’acquisto (anche solo teorico) di due costumi in maschera per un solo bambino, che oltretutto nascendo a fine agosto il prossimo carnevale avrà circa sei mesi.
<<Da orso glielo metteremo di nascosto>>, propone Futuro Nonno Putativo che da quando ha smesso di fumare e anche di mangiare è sempre a caccia di nuove trasgressioni (per l’effetto eccitante dell’adrenalina).
<<Davvero?>> chiedo speranzosa
<<Ma certo che sì. Tanto lo dici sempre che siamo rincoglioniti. Che almeno serva a qualcosa: chiederemo le circostanze attenuanti….>>