UNA PER UNO

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babbucce

martedì 31 gennaio 2012

FUORI TEMA

C’è stato un tempo, tanto tempo fa, in cui la mattina del 31 gennaio scendevo dal letto con una sensazione elettrizzante, un misto d’ansia, euforia e attesa. Guardavo fuori dalla finestra per vedere (sì proprio vedere) il freddo, per riconoscerlo sui rami intirizziti, sui nasi rossi dei passanti, sui tetti luccicanti di ghiaccio. Poi correvo in cucina sicura che avrei trovato in mezzo al tavolo una busta sigillata, che avrei aperto con dita impazienti.   Nella busta c’era un cartoncino su cui stava scritta (rigorosamente in rima) la prima indicazione utile per iniziare la caccia al tesoro di buon compleanno.  
Ehi bambina: fai 3 passi oltre la cucina (1967) oppure Lallina bellina prova nella stanza più piccina… (1970) o ancora Adesso sei una signorina…dai su, scendi in cantina… (1974)
Eseguivo e sopra un armadio, oppure sotto una credenza o magari all’interno del cesto della biancheria asciutta trovavo il primo pacchetto con il primo regalo. Lo scartavo e la sorpresa mi toglieva il fiato: c’era sempre un dono straordinariamente azzeccato e mai ho saputo come facesse mia madre a indovinare i miei desideri più folli, quelli che mai le avrei confidato perché non mi piaceva chiederle niente, consapevole che se non avesse potuto accontentarmi ne avrebbe sofferto. L’Eau Sauvage di Dior, per esempio, che costava quanto due mesi del mio stipendietto, oppure la borsa a fiori di Ken Scott o l’ultimo LP di Guccini.
Accompagnava il primo regalo un secondo biglietto con la successiva dritta: frugavo, spostavo, mi arrampicavo, mi accucciavo e infine scovavo il pacchetto, lo aprivo, trasecolavo, leggevo il nuovo biglietto e avanti così, fino all’ultimo dono, che in genere era il più spettacolare tra tutti gli altri, che pure non scherzavano in quanto a spettacolarità.
E per tantissimi anni mia madre ha continuato a regalarmi un 31 gennaio ricco di indovinelli e  di doni sorprendenti (da un certo punto in avanti, grazie alle soffiate di Figlia, senza neppure più doversi scomodare a leggermi i desideri nel pensiero). Ha continuato a garantirmi, ed era un lenimento per lo spirito, un compleanno da bambina anche quando avevo smesso (e da un pezzo) di esserlo una bambina.  Poi un 31 gennaio sono entrata nella sua cucina e sul tavolo non c’era alcuna busta, solo un mucchietto di banconote. Ho sentito un freddo nella schiena e la gola seccarsi:
<<Cos’è?>>, le ho chiesto furiosa (ma era solo terrore travestito).
<<Il tuo regalo…E’ il tuo compleanno>>
<<E allora? Sarebbe questo il mio regalo? SOLDI???>>
<<Sì, così ti compri quello che vuoi…Io non so cosa vuoi. Non so comprare regali, non ne sono mai stata capace>>.
E così sono stata costretta a prendere atto di quello che fino a quel momento non avevo voluto vedere: era il 31 gennaio di non molto tempo fa.  
   

domenica 29 gennaio 2012

POSSO IL VENTO? ASSOLUTAMENTE NO

Sopporta con virile impassibilità il dlen-dlon-dlan delle campane che il parroco impietoso fa suonare ogni volta che scocca una nuova mezzora, nonché più volte al giorno per rendere lode a Dio. E mai che lo sfiorasse il dubbio che il  Padreterno, per definizione dotato di infinita saggezza, potrebbe scocciarsi di essere omaggiato in modo tanto rumoroso.  
Fronteggia con anglosassone noncuranza il campanello di casa, che produce un acuto così forte da far vibrare e poi cadere la cornetta del citofono.
Non sussulta se finisce a terra un’intera batteria di pentole, non batte ciglio se va in frantumi un bicchiere di vetro e, per la strada, non si scompone se  un camionista pigia sul claxon ottenendo l'effetto tromba del giudizio.
Nipotino è un tipo stoico e adattabile, acusticamente metropolitano con guizzi bucolici grazie al parroco, quindi mai e poi mai ci saremmo potuti immaginare la reazione, scoperta del tutto casualmente,  che fornisce ogni volta che gli si soffia pianissimo sul viso. Basta fare il più modesto, il più lieve dei fiuuu : lui immediatamente sbarra gli occhi, allarga le braccia e le dondola come un piccolo funambolo che perde e ritrova l'equilibrio, chiude gli occhi fino a quel momento sgranati,  li stringe, li riapre e infine emette un sospiro profondo, del tutto simile a quello che gli esce dal petto dopo che ha pianto per un po’.  
In breve la notizia si è diffusa tra tutti i membri della famiglia allargata e la soffiatina impercettibile seguita dalla spettacolare, sproporzionata  reazione è entrata trionfalmente a far parte dell'elenco delle stranezze che collezioniamo a dozzine in seno al parentado.  L'insieme di azione e reazione nel nostro lessico famigliare è  stato stigmatizzato con la generica ma esplicativa locuzione “fargli il vento” (oggetto sottinteso Tommaso).
<<Posso fargli il vento?>>, ho chiesto ieri a Figlia, nella speranza di ottenere il permesso visto che “chi fa più di mamma inganna” e se lei che è la madre mi dice di sì posso farlo a cuor leggero, altrimenti, sia pure con fatica, mi astengo.  
Una parte di me sa, infatti, che è profondamente ingiusto e anche un po’ vigliacco soffiare sulla faccetta tonda di Nipotino per sollecitare la strepitosa risposta, ma l’altra parte è follemente tentata dal farlo perché lo spettacolo è di un’intensità incredibile (buffo e struggente, fa ridere e commuove. E’ così piccolo e ignaro. Otto chili e trecento grammi di felicità).   
Ma Figlia dice no, il più irremovibile "no" dell’universo e io allora mi accontento di ripensare alle mille espressioni che si susseguono su quella faccetta tonda – sorpresa e spavento, vertigine e sollievo, con una punta di eccitato sprezzo del pericolo – se appena un impercettibile filo d’aria viene convogliato all’altezza dei suoi occhi,  poi rido di gusto e dico a Figlia che ha ragione, che il vento nessuno deve farglielo più, anche se costa rinunciarci.  E su quest’ultimo punto anche lei è d’accordo.

martedì 24 gennaio 2012

SUCCEDE COSI’

Siamo certi che non ricorra ai sonniferi e neppure a piccole dosi di gas da cucina perché l’andamento della sua crescita è buono, ha un colorito roseo, trilla come un passero all’alba, gorgoglia come una fontanella di montagna, ride di gusto o ridacchia di soddisfazione, fa le bolle di saliva, apprezza più che mai la buona musica (da rosso il suo colore mi piace il suo sapore: GNAM a un topolino mio padre comprò allla fieeeeraaa dell’Esttt), ciuccia dal seno con coscienziosa avidità, cerca di mettere in bocca qualunque cosa, in particolare l’orologio d’acciaio di Nonno Putativo, a cui si avvicina chinando la testa in avanti sul genere Houdini. Ne siamo dunque più che sicuri: non si fa aiutare dalla chimica eppure quando arriva lui la guarda compiaciuto e poi, munito di lenzuolino arrotolato e privo di quel ciuccio che in nessun modo siamo riusciti a fargli apprezzare, cade in un sonno  profondo, sordo e, c’è da giurarci, ricco di sogni piacevoli e avvincenti, da cui si ridesta solo poco prima del ritorno a casa della mamma.  
Con Vanessa Tommaso, che alle nonne richiede con inflessibilità e cipiglio severo prestazioni da animatori Valtur  (sezione spettacoli), dorme. Dorme placido e immobile per tutto il tempo della sua permanenza, quindi a volte anche per quattro ore di fila. Proprio lui che durante il giorno, prima dell’arrivo della tata, non ha dormito mai, neppure per sbaglio, troppo compreso nel compito di controllare che non smettessimo neppure per un istante di intrattenerlo con danze-canzoncine-filastrocche-faccebuffe-bagnetto-musichettedicarillon.  <<Scusa Vanessa>>, le abbiamo chiesto tra l’invidia e l’ammirazione, <<come fai a farlo addormentare così compiutamente per così tante ore di fila?>>. <<Gli dico che devo studiare, che ho un esame tra poco e che se lui dorme non mi bocceranno>>. Ah ecco, buono a sapersi.  

sabato 14 gennaio 2012

TROVATA

Ha i capelli corti, gli occhi grandi, il viso aperto da ragazzino. Parla con un'inflessione allegra nella voce e ascolta con attenzione. Sorride appena può.  Studia lingue orientali. Non ha curriculum ma ci ha raccontato che dodici anni fa, quando di anni ne aveva appena dieci, le è arrivato tra capo e collo un fratellino.  Non era così piccola da trovarsi all’improvviso sbatacchiata tra i sensi di colpa per il desiderio di vederlo inghiottito dal  buco di scarico della vasca da bagno e il rancore per tutte le cure che richiedeva e le vocine dolci che gli faceva la mamma. Non era ancora così grande da rimanere, un po’ per posa un po’ per genuina convinzione, del tutto indifferente all’evento.
Ha detto di esserselo “smazzolato” lei questo fratellino, sia perché sua madre aveva bisogno di aiuto, sia perché a 12 anni tutto è ancora gioco ma, allo stesso tempo, è già nitido il lusinghiero richiamo dell’adolescenza, che spinge ad assumersi le prime responsabilità per non sentirsi più bambini e dimostrare al mondo di non esserlo più.
Si chiama Vanessa, come la Incontrada ha rilevato IOSOCHI, ma secondo me più come la sorella di Virginia Wolf. 
Esattamente come Monica, un’amica del blog, in un suo commento aveva predetto l’abbiamo riconosciuta subito. E’ lei, abbiamo pensato: sa le canzoncine, le piace uscire con qualunque tempo e si è spupazzata un fratellino. Come se questo non bastasse Grassone le ha dedicato immediatamente compiaciute bolle di saliva.
Un segnale umido quanto decisivo per dirle "ok, quando puoi cominciare?" (Anche domani, se volete, è stata la sua  straordinaria risposta).      

mercoledì 11 gennaio 2012

CERCANDO UNA TATA 2

Ieri è stata la volta della seconda aspirante tata. E’ stata dura convincerla a materializzarsi in quanto a suo avviso il colloquio poteva tranquillamente svolgersi via e-mail. A dire il vero poteva andare bene anche a noi, cioè a me e a Figlia, ufficialmente incaricate (non senza critiche e perplessità da parte degli uomini di casa) alla selezione delle tate che dovrà condurre all’individuazione della Persona Giusta. La parola scritta ha, infatti, vibrazioni eloquenti quanto la mimica facciale e il tono della voce quindi niente da ridire se non fosse stato per la questione della tempistica. La Seconda Aspirante Tata per sua precisa scelta di vita guarda la posta elettronica solo una volta al giorno dopo cena: andava da sé che, affidandoci al pc al ritmo di una frase a testa ogni 24 ore, se mai avessimo trovato un accordo non sarebbe avvenuto prima dell’iscrizione di Nipotino alla quinta elementare.
<<Ho un altro lavoro e prima di lasciarlo devo essere ben sicura di quello nuovo>>, mi ha detto prima ancora di ritirare la mano che le stringevo in segno di benvenuto, ancora una volta delegata da Figlia per il primo step della selezione.
<<Che lavoro?>>, ho chiesto io.
<<No, non ha importanza, comunque non è del “settore”, per questo voglio cambiarlo, per stare nel mio settore>>
<<"Settore": sarebbe…>>, ho domandato mentre nella mente si formava nitida l’immagine di grassone che scorreva su un nastro trasportatore da catena di montaggio.
<<Il settore bambini, ovvio. Trovare nei nidi non è facile, certo è un lavoro sicuro, se ti assumessero, però non ti assumono, e poi manco ci voglio andare a lavorare nei nidi. So io cosa succede lì, davanti alle mamme picì-piciò, carino, bellino-dell’educatrice tua e poi vedi che succede….>>
<Che succede?>> ho chiesto io, gentile (su ordine di Figlia), mascherando il terrore dietro un aplomb che neanche Monti davanti a Calderoli.  
<<E be’ adesso non sto qui a dire, comunque è molto meglio una tata in casa, mille volte meglio. Quante ore vi servono? Devo stare attenta a non incasinarmi…Qual è il compenso? Devo vedere se mi basta. >>.
<<Be’ tutti i giorni…>> ho cominciato a dirle.
<<Io ho un bambino di nove anni, non posso lasciarlo solo tutti i pomeriggi. Dalle cinque in poi devo essere a casa>>
<<Nessun problema per questo, il bambino potrebbe portarlo qui dopo la scuola e tenerlo  con lei e con il nostro>>
<<Ma figuriamoci…>>
<<Nessunissimo problema, davvero, noi siamo contente se c’è un altro bambino…>>
<<E’ che a me scoccia portare mio figlio in casa d’altri. Mi scoccia a me, voglio che stia a casa sua, per lui è meglio…>>
<<…..>>
<<Un’altra cosa. Che garanzie mi date sulla durata del lavoro? Perché qui si tratta di lasciare un posto sicuro, a tempo indeterminato (anche se non del settore). E' chiaro che devo essere sicura che il lavoro nuovo, se mai cambiassi, andrà avanti nel tempo>>
<<Mi dispiace davvero tanto>>, ho detto io con tono afflitto (su indicazione di quella presaga che è Figlia). <<Ma il nostro bambino è di quelli che crescono e quando lo avrà fatto un po’ non ci servirà più la tata…>>
<<Allora niente>>, ha detto lei e se ne è andata con passo seccato, risparmiandomi il fastidio di dire: "le farò sapere, intanto grazie".
Tranquillo grassone, se tata dovrà essere non avrà alcuna sicumera e non le farà orrore portare suo figlio a giocare (o magari a fare i compiti) da te.

lunedì 9 gennaio 2012

CERCANDO UNA TATA

Non può tenerlo sempre Figlia, deve lavorare. Non posso tenerlo sempre io, devo lavorare. Non può tenerlo sempre l’altra nonna, non deve (più) lavorare ma reclama qualche ora d’aria giornaliera, visto che ha altri due bambini (i figli di sua figlia) a cui badare per tre pomeriggi alla settimana. Nonno putativo, nonno bio e Genero Preferito  non sono neppure da prendere in considerazione per il babysitteraggio e la nonna putativa non ha ancora finito il liceo (va be’ ho un po’ viperamente esagerato comunque a scuola ci va ancora anche se la sua postazione da qualche anno è non “sui” ma “davanti” ai banchi) quindi di contare su di lei non se ne parla neanche. Il nido è stato escluso per la più banale delle ragioni: quasi di certo non risolverebbe il problema visto che dopo un minuto di permanenza il novantanove-virgola-nove (periodico) dei piccoli iscritti si ammala e viene rispedito al mittente col suo corredo di germi abilitati a causare febbre-tosse-raffreddore-mal d’orecchi-mal di pancia per almeno 25 giorni al mese (domeniche incluse). Nonostante il nostro inossidabile ottimismo e la propensione a ritenerci, chissà perché, simpatiche agli dei, Figlia e io abbiamo scartato l'ipotesi che Tommaso appartenga a quello 0,001 per cento di bebè che non subisce il contagio della miriade di agenti patogeni che trovano negli asili nido il proprio habitat ideale.   E così stiamo cercando una tata. La via scelta è il tam tam: parenti e amici vicini e lontani sono stati consultati e invitati ad aiutarci a trovare la Persona Giusta. Ogni mamma (e naturalmente anche ogni nonna) ha un’idea precisa della Persona Giusta. Il requisito che Figlia e io consideriamo irrinunciabile per una tata è che le piacciano i bambini e che vedendo il nostro s’innamori perdutamente dei suoi anelli di ciccia e del suo odorino buono.  E’ un bambino felice, incline al sorriso, capace di apprezzare i piaceri della vita, come la tetta e il massaggio con olio di mandorle nonché grande estimatore  degli orecchini pendenti, che afferra con entusiasmata foga: è ovvio che sulla base di simili caratteristiche chi dovrà occuparsi di lui dovrà prima di tutto volergli bene, altrimenti non fa per noi. Oggi, su delega di Figlia, ho parlato con la prima aspirante tata del nostro scarno elenco, trovata tramite l’amica di un’amica e perfetta, almeno sulla carta, sia per tipo di istruzione (diplomata al liceo socio-pedagocico e al quarto anno di scienza della formazione) che per aspirazioni (obiettivo certificato: lavorare con i bambini).  La prima, primissima cosa che mi ha detto con tono deciso quanto algido è stata: <<Bisogna vedere se mi sono comodi gli orari che dovrò fare, perché devo studiare, preferisco non lavorare di sera e al venerdì raggiungo il mio fidanzato che vive nella città di F. E quanto sarebbe il compenso?>>.
Non ha chiesto niente del grassone: né la sua età né se è già svezzato né se è un bimbo docile oppure ribelle.
<<Ah, peccato>>, ho detto io. <<A noi la tata serve tutti i giorni dalle 9 di sera a mezzanotte e il sabato e la domenica dalle otto del mattino alle otto di sera. Grazie lo stesso>>. Le ho teso la mano e l’ho vista allontanarsi con sconfinato sollievo: tranquillo grassone, se tata deve essere, tata dolce e appassionata e amante dei bambini sarà.