Esce dal camerino: alta, sottile, indossa strani slip a calzoncino, un reggiseno a incrocio, autoreggenti. Biancheria tutta bianca, di pizzo impalpabile. Biancheria da sposa.
“E’ troppo magra”, penso senza dire nulla.
Da quando è incinta, con la scusa dell’inappetenza, ha perso più di tre chili. Nipotino, ti prego, tieni duro.
Stiamo aspettando che arrivi la fashion manager, la stylist. Insomma, giusto per capirci e senza l’intento di offendere nessuno, stiamo aspettando la sarta con l’Abito nuziale: è il giorno dell’Ultima Prova. La stanzetta è calda e accogliente, piena di luce, Figlia è un po’ in ansia e ha un po’ di freddo (nonostante qui dentro ci siano di sicuro almeno 24 gradi). Per forza, è troppo magra. Ha il piercing sull’ombelico (niente in confronto a dove ce l’ha suo fratello), un ghirigoro tribale tatuato ad altezza reni (niente in confronto all’arazzo a colori indelebili che decora il polpaccio destro di suo fratello) e le creste iliache che delimitano vistosamente il ventre rientrante, che non dà segni di sé.
Dove sei Nipotino? Se questa qui non mangia come farai a crescere?
Entra la stilista, tenendo in mano l’abito con la stessa cautela con cui un artificiere maneggerebbe una valigetta abbandonata in aeroporto da un terrorista islamico.
Bionda, sofisticata, con lunghi capelli freschi di piastra e lunghe ciglia sapientemente scurite dal rimmel, invita Figlia a scivolare nel vestito.
<<Sai?>>, le dice Figlia mentre infila le braccia nelle maniche. <<Sono incinta…Però mancano solo due settimane al matrimonio, ci starò ancora., vero? VERO?>>.
<<Incinta?>>., esclama con orrore l’altra, tradendo il suo lato più occulto e popolano.
<<Madonna, ma non è che mi diventi un bue? Una mongolfiera? Un’autocisterna? Non è che poi questo non si chiude più? Vediamo …vediamo…sì sì, certo che sì, che sarà così. Giorni celesti! Santi del paradiso. Si vede già eccome. Madonna e Gesù Bambino…guarda qui che pancia che ti è uscita! Miodddio non so se ci starai tra due settimane…>>
<<Basta così. La prego se ne faccia una ragione e superi questa crisi mistica>>, ho detto io, prendendo in mano la situazione. Ed è stato un bene perché infatti siamo riuscite a iniziare e concludere l’Ultima Prova.
A dire il vero, ogni tanto la stylist scuoteva la testa, ogni tanto sospirava. Forse invocava santi non menzionati in prima battuta, ma non lo potrei giurare, perché se così era si limitava a farlo mentalmente.
<<Ma sopra che ci va?>> ho chiesto a un certo punto.
<<Una stola>>
<<Posso vederla?>>
Una striscia sottile di lana bianca (filo singolo) si è materializzata tra le mani della sarta e da lì è finita sulle spalle di Figlia, lasciando ancora bene in vista clavicole, scapole e qualche altro osso minore.
<<Ma morirà di freddo. Resterà stecchita. Non saprà mai come va a finire la cerimonia. Qui si parla delle sei di sera dell’undici febbraio>>
Figlia e stylist mi hanno guardata attonite. Di più: esterrefatte.
<<E scusa cosa vorresti che mettessi?>>
<<…esse…>> , le ha fatto eco la sarta.
<<Un cappotto? Un mantello?>> , ha incalzato Figlia con sarcasmo.
Sì lo ammetto: vorrei che sopra quell’abito di seta leggera, indossasse una pelliccia, un piumino da sci, uno scafandro. Che mettesse guanti, cappello, maglietta di lana. So per certo che l’azione di sposarsi non dà l’immunità dalla polmonite, ma non lo dico perché tanto non mi crederebbe (e l’altra fashion victim si schiererebbe, complice, al suo fianco).
Non mi resta che telefonare al prete che officerà la cerimonia per implorarlo di posizionare a fianco dell’altare una bella stufa che possa aggiungere calore all’aria che l’impianto di riscaldamento generale non potrà rendere più che appena tiepida data la vastità della chiesa. Più tardi, mentre compongo il numero del don penso al mio criterio guida quando mangio cioccolato (“melius abundare quam deficere”) e decido che di stufe accanto all’altare ne domanderò 25 .
Così mi sarà più semplice ottenerne quattro, che mi paiono il minimo.