UNA PER UNO

UNA PER UNO
babbucce

martedì 27 dicembre 2011

SETTE CHILI E MEZZO DI FELICITA’

E’ passato un anno da quando ho saputo che Nipotino era in arrivo. E’ successo proprio la sera del 24 dicembre: appena prima di iniziare la cena Figlia ci ha dato la notizia con una poesia che parlava di un dono molto speciale che ci sarebbe stato recapitato circa otto mesi dopo. E adesso Nipotino è qui, con la sua personalità decisa, il suo sorriso di luce che gli buca le guance e la singolare capacità di spalmarsi contro chi lo prende in braccio  con trilli e gorgoglii di gioia purissima. Pesa sette chili e mezzo, gli piace stare al mondo e ha apprezzato ogni singolo minuto di questo suo primo natale, durante il quale ha conosciuto tutti i parenti nuovi e acquisiti della famiglia, spalmandosi contro ciascuno con grande entusiasmo senza operare distinzioni di razza, età, genere di appartenenza, orientamento politico, preferenze sessuali. E ciascuno dei parenti nuovi e acquisiti che l’ha preso in braccio, dopo averne saggiato la consistenza e sentito l’odorino di zucchero filato non voleva più ridarlo indietro, ma io vegliavo affinché venisse restituito, mentre Figlia serviva instancabile i dolci di natale di Mary Poppins, fatti di zenzero, cannella e scorzette d’arancia.

venerdì 2 dicembre 2011

PER TRE VOLTE ALLA SETTIMANA

Ore 6.30 am: le abitanti del Piano di Sopra iniziano a scambiarsi improperi in un crescendo di voci concitate e di calpestio di tacchetti nervosi. Sono mamma e figlia, rispettivamente di 35 e 6 anni e hanno punti di vista differenti su tutto e, in particolare, circa gli abiti che si devono indossare la mattina per andare a scuola. Grazie alle abitanti del Piano di Sopra non ho l’incomodo di puntare la sveglia. Le minacce assassine che si gridano da una stanza all’altra (IO TI HO FATTO IO TI DISFO – roba da Telefono Azzurro -  a cui segue un VEDRAI QUANDO LO DICO ALLA NONNA, TI ACCOPPA LEI – roba da Beccaria) cominciano  all’ora esatta in cui io devo alzarmi, se voglio avere la speranza di fare tutto quello che dovrei.
Ore 6.45 am: esco con Gino e la signora Luisa e subito mi sento allegra, rinvigorita dal bacio gelido della nuova giornata che avanza staccandosi riottosa dalla notte. Camminiamo in fretta,  loro abbaiano a un pezzo di carta mosso dal vento, alle foglie secche, alle finestre dietro cui stanno immobili due barboncini bianchi. Io li sgrido, rammentando che è ancora presto per urlare così e loro mi guardano dubbiosi e allusivi: sì è vero, avete ragione, ma le ragazze del Piano di Sopra non sono un esempio da seguire, non tutti gli Umani, cari miei, sono modelli da imitare.
Ore 7.05: Rientro a casa, i cani scodinzolano trattenendo a stento l’euforia per quello che li aspetta: crocchette secche di pollo e coniglio, un biscotto a forma di stella al gusto di fegato di manzo,  un finto osso di pelle di bue. Ma siete veramente scemi,  ma cosa ci sarà da essere così contenti, beati voi.  
Ore 7.15 am: Accendo il computer e scrivo, scrivo, scrivo e scrivo, scrivo e ancora scrivo. Ogni tanto telefono, ma poco. Ogni tanto guardo la post@, ma poco. Sono in ritardo cronico, devo scrivere, scrivere, scrivere perché alle 15 comincia il mio turno di nonna sitter. “Prima” (prima di Nipotino, intendo) avevo tutta la giornata per me. Potevo prendermela comoda e, infatti, pregavo che le ragazze del Piano di Sopra iniziassero a urlare un po’ dopo le 6.30 a.m., diciamo verso le 7 (anche 7 e 15). “Prima” la giornata era lunga, piena di possibilità, era mia: potevo cazzeggiare con i pennelli, gli stencil, i tovagliolini da decoupage. Potevo spazzolare i cani e togliere le foglioline gialle dalle piante di ciclamini viola.
Ore 14.45 pm: Caccio nella mia borsa capiente i libri che non potrò leggere (ma che mi danno sicurezza), il telefonino (che ho dimenticato di caricare, maledetta me), le chiavi di casa di Figlia (meglio non suonare, non sia mai che per caso Nipotino dorma), raccomando ai cani di aspettarmi con fiducia e di badare alla casa, ai ciclamini viola, al ficus che perde un miliardo di foglie (si sente trascurato, ovvio). Li esorto alla pazienza (no, non potremo uscire insieme), li invito alla sopportazione, alla tolleranza. Loro vanno nelle rispettive cucce con un sospiro rassegnato.
Ore 15 pm: Salgo le scale, entro nell'appartamento di Figlia che è sul divano con Nipotino in braccio, ubriaco di latte. Aspiro l’odore delle stanze, lo stesso che c’è in ogni casa in cui vive un bambino nuovo. Figlia ha fretta, frettissima, deve andare. “Ecco, tieni”, dice passandomi Nipotino, ed esce di corsa, come di corsa uscivo io alla sua età, mentre una parte di me (la migliore) restava con i bambini.  
Ore 15. 05 pm: Prendo in braccio Nipotino, lui sposta la testina indietro, corruga la fronte, concentrato, mi guarda coi suoi occhi liquidi, ancora un po’ velati, poi decide che sì, che gli vado bene, così mi omaggia di un sorriso di luce che gli buca le guance e gli fa ciondolare la testina. Lo bacio tutto, scientificamente – piedini, manine, lobi delle orecchie, nuca – tenendomi per ultima la zona del collo che gli anelli di ciccia rendono quanto di più morbido vi sia nel mondo.  Lui aspetta che il rito finisca con divertita pazienza: non ha fretta e io imparo da lui a ignorare lo scorrere del tempo, a non preoccuparmene. Abbiamo quattro ore davanti: quattro ore di vuoto assoluto che riempiremo ascoltando lo stonato concerto di 4 carillon caricati contemporaneamente e danzando tra i libri e gli stenditoi pieni di piccoli indumenti freschi di lavatrice. Verso le 5 toccherà il bagnetto, poi il massaggio con l’olio di mandorle e la vestizione che si svolgerà lenta, tra risate, canzoncine (le stesse di sempre, che pensavo di aver dimenticato) e gheo di approvazione. Non ho fretta, non m’importa niente delle lavatrici che non ho fatto, dei nuovi colori a olio che non ho provato, delle mail che mi intaseranno la posta, del tempo che dovrò passare al pc per recuperare queste 4 ore. Mi godo il pomeriggio con Nipotino come mai sono riuscita a fare con i miei bambini, così stupidamente presa da altro com’ero, così stupidamente proiettata verso il lavoro, le lavatrici, la spesa, incapace di gustare il piacere di prendersi cura di qualcuno, distratta dalla vita e dalla giovinezza.
Dalle 18 alle 19 pm: Nipotino inizia a fiutare l’aria, cercando nell’etere l’oggetto del desiderio, la Tetta. Calma Nipotino, ci vuole ancora un’ora prima che arrivi la mamma. Aziono di nuovo tutti i carillon, non basta, sta per diventare viola di collera, è irragionevole quando decide che è scoccata l’ora della poppata. Calma Nipotino, senti qui. “Chiccolino dove sei? Sotto terra non lo sai…’”. Non glielo avessi detto: un urlo accorato e allo stesso tempo rabbioso gli esce dal petto (E no, adesso basta, porco qui e porco lì, son stato bravo, ho ascoltato il concerto dei carillon, mi hai oliato come un vassoio di paranza, mi hai cambiato il body che vorrei vederti a te a farti passare una cosa del genere dalla testa e adesso niente tetta? ). Mi alzo e gioco l’ultima carta: un cd di De Andrè  da ascoltare ballando come dervisci tra i libri, i camici spiegazzati, il bucato steso ad asciugare da cui esce un sottile odore di infanzia. Si tranquillizza  ma a patto che io come la più devota ancella di Tersicore non mi fermi neanche un istante. Cerco in me il terrore del tempo gettato, l’angoscia delle cose non fatte, l’ansia di quelle che dovrò fare che sempre accompagnavano la ragazza che ero, frenetica e stanca, distratta, affannata, imprigionata nella schizofrenia dell’ essere  lontana quando ero vicina e vicina quando ero lontana  e non trovo altro che pace, divertimento e zero tensione. Chiusa nel cerchio ovattato delle 4 ore da dedicare a Nipotino non m’importa di nient’altro e sono felice. Credo che sia questo il miglior regalo che possa fare a Figlia che si allontana tra l’impietoso martello dei sensi di colpa e la seduttiva incudine del suo appassionante lavoro.