UNA PER UNO

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babbucce

mercoledì 23 novembre 2011

RISPOSTE (S)CORRETTE

Quando ero bambina, a differenza di quanto teorizzano gli psicologi, l’imperatrice della domande idiote - Vuoi più bene alla mamma o al papà? – non mi metteva affatto in imbarazzo. Non mi disorientava. Non mi spingeva a dubitare di sentimenti che fino a quel momento avevo ritenuto ripartiti con assoluta equità. Sapevo perfettamente, senza esitazioni, senza il minimo dubbio  come stavano le cose rispetto a quello che provavo per quei due ultraquarantenni che mi avevano chiamato appena poco prima che l’orologio della fertilità si fermasse. Allo stesso tempo ero una bambina diplomatica, incline alla gentilezza, su cui oltretutto vigilava una tata sempre pronta a suggerire risposte politicamente corrette, nella speranza di estirpare subito il germoglio dell’irriverenza che di fatto iniziava timidamente a crescere.  
Così, sotto gli occhi approvanti della tata Teresa,  rispondevo in fretta, meccanicamente “A tutti e due” , poi cercavo di allontanarmi per evitare ulteriori domande di approfondimento.  La verità è che l'interrogazione, alla faccia dei sacri testi venuti in seguito, non mi spiazzava per nulla. Anzi un po’ mi divertiva in quanto ulteriore segno inequivocabile della miopia degli adulti: era così chiaro, lampante, lì sotto gli occhi di tutti a chi volevo più bene che non c’era proprio nessun bisogno di chiederlo. Di chi era la camicia da notte scaccia-magone? Chi mi rendeva profondamente triste con la sua assenza e straordinariamente felice con la sua presenza?  Più facile di così…  Dai su, era ovvio che mio padre non aveva alcuna chance di pareggiare. Sapeva di fumo. Non c’era quasi mai.  Rendeva irrequieta la Teresa. Guidava a scatti, provocandomi ondate di nausea. Mi sfrattava dal lettone (salvo febbre o dispiaceri di ordine morale). Non c’era proprio di che competere.  
Ieri mi è stato chiesto, all’improvviso, a bruciapelo proprio, se è vero che si vuole più bene ai nipotini che ai figli. Mi sono rivista bambina - il kilt a scacchi, il maglioncino blu, la camicetta con il collo tondo, i calzettoni bianchi ricamati –, ho risentito l'odore d'inchiostro sul medio della mano destra (in prima elementare avevo una Pelikan verde e nera con stantuffo),  poi sono tornata alla mia età e con sorpresa mi sono resa conto che ancora una volta, come tantissimi anni fa, conoscevo perfettamente la risposta esatta, cioè la verità, ma avrei optato per una risposta diplomatica. (Tata Teresa? Come sono andata?)      

lunedì 14 novembre 2011

sabato 12 novembre 2011

ALL'IKEA CON NIPOTINO

L’abbiamo infagottato nonostante il tepore (inquietante) di questo novembre. L’abbiamo messo in un trasportino, realizzato secondo le normative CE e destinato a bambini non claustrofobici. Abbiamo agganciato il trasportino al sedile dell’automobile, quindi  gli abbiamo messo in bocca il ciuccio, che lui ha sputato con un plop di spumante stappato, facendosi venire in contemporanea l’urto di vomito. Come a dire: ragazze, a volte  accetto ‘sta schifezza al silicone che manco da lontano sembra una tetta, e lo faccio per farvi contente. Cerchiamo però di evitare questa bufala quando c’è di meglio, come per esempio andare in auto e godere di tanti bellissimi scossoni digestivi.
Così siamo partite per l’IKEA, trascinandoci dietro l’ignaro Nipotino di ottimo umore, come sempre è quando gli si profila un tragitto in auto, nonostante la ridotta possibilità di muoversi e di guardarsi attorno.  Eravamo in tre:  Figlia, io e la cugina Paola, ragazza trasversale che, anche grazie alla sua età perfettamente equidistante dalla mia e da quella di Figlia, riesce a essere amica intima di entrambe.  Dovete sapere che niente per me, per Figlia e per la trasversale cugina Paola è più eccitante e insieme rilassante di un pomeriggio all’Ikea, dove compreremmo assolutamente tutto, compreso un intero arredamento per una casa da 35 metriquadrati (e infinite volte siamo state lì lì per farlo, euforiche e  dimentiche del trascurabile particolare di non possedere neanche l’ombra di un monolocale vuoto da arredare). Va detto che andare all’Ikea di domenica pomeriggio è una scelta discutibile specialmente se al seguito c’è un bebè. Un fiume umano scorreva nei corridoi, esondando in prossimità della zona ristorante, per ritirarsi in una sorta di provvidenziale bassa marea all’altezza  dei tessuti a metraggio. Nipotino aveva le guance arrossate per la calura (ma lo regalano il metano a questi svedesi?), la ressa e l’entusiasmo della novità. Io lo tenevo in braccio, diritto e appoggiato di schiena al mio petto, per permettergli una buona panoramica. Figlia e Cugina  prendevano misure, valutavano i cuscini, riempivano le sacche gialle di candele colorate. Ed è stato osservandole e poi riflettendo su  quello che provavo che mi sono sentita vecchia per la prima volta in vita mia: non riuscivo a godermi niente. A differenza di loro che erano in preda a una crisi da acquisto compulsivo, nulla riusciva a distrarmi da un pensiero fisso: i microbi, di certo presenti a legioni in un ambiente così affollato, chiuso e riscaldato che avrebbero potuto raggiungere Nipotino e farlo ammalare. Così ho detto alle ragazze che trovavo quel caldo insopportabile, di fare pure con calma per carità, le avrei aspettate con Nipotino nella frescura della zona casse. Ho percorso velocemente, per quanto mi permetteva la folla, la distanza tra il reparto bambini e l’uscita poi mi sono seduta su un mucchio di cartoni a un passo dalla cassa fai  da te. Peccato che Nipotino non abbia apprezzato la nuova situazione e lo scenario molto più spartano e meno colorato del precedente. In un amen è diventato viola di rabbia (è un bimbo con grande personalità) e ha cominciato a urlare col suo vocione sorprendente per un bebè, da cui ci si aspetterebbe un più gentile meo meo.  Manco a dirlo quelli in fila alle casse (e non erano pochi), si sono girati tutti verso di noi (non foss’altro che per ingannare l’attesa). Imbarazzatissima mi sono alzata dai cartoni è ho cominciato a shakerare Nipotino, camminando avanti e indietro e cantando piano Il pescatore di De Andrè, la sua canzone preferita, prima ancora di Fra Martino campanaro. Niente da fare. L’ho fatto volare sopra la mia testa tenendo le braccia ben tese, è la strategia che in genere funziona meglio, tant’è che ci  siamo convinti che abbia l’animo dell’aviatore, invece ciccia. La sua ira è giunta al parossismo. Mi osservavano tutti, chi divertito, chi sarcastico, chi disapprovante. Faceva caldissimo (Dio delle nonne guarda giù).  A un certo punto, oltre Nipotino in modalità sirena, oltre il brusio, oltre il caldo e l’imbarazzo si è levata una voce maschile, acida, severa, vibrante di disappunto eppure gelida e con note di sfida:
<<I figli bisogna farli all’età giusta. Ogni frutto ha la sua stagione…Sennò ecco i risultati: manco a chetarli si riesce>>.
Ma vaffanculo (l'ho solo pensato, però).  

lunedì 7 novembre 2011

IL TRIONFO DI NONNO PUTATIVO

Sapevo benissimo, sia per sentito dire che per esperienza personale, che alle donne che diventano mamme spuntano  numerose paia di mani e di occhi. Sapevo anche che le loro energie si centuplicano,  il loro udito si affina e, soprattutto, che il loro tempo si dilata, consentendo di stipare in una giornata di 24 ore quello che gli umani svolgono in 46.  Quello che ancora ignoravo  è che anche alle nonne in servizio attivo crescono mani e occhi e antenne speciali, che captano qualsiasi impercettibile anomalia che riguarda il bimbo nuovo. E’ sulla dilatazione del tempo che si evidenzia giorno dopo giorno il divario tra mamma e nonna. Le ore della giornata delle nonne continuano a essere 24, né più né meno di quante fossero prima, e questo è un vero guaio a cui solo una botta di culo grattando Win for life potrebbe porre rimedio. Una nonna tipo me, lontana anni luce dalla pensione che, tipo me, deve lavorare, intendiamoci bene, per vivere, e non certo per la realizzazione personale (di cui le importa un fico, il sessantotto è così lontano, acqua passata, roba da dinosauri e poi una nonna tipo me neppure l’ha vissuto, è arrivata dopo)  quando viene reclutata per un servizio di baby sitting può chiudere per quel giorno con qualsiasi altra attività. Nipotino è un datore di lavoro esigente, che non chiude occhio neanche per sbaglio. E’  morbido, dolce, buffo, ha anelli di ciccia regolamentari (è aumentato quasi tre chili dalla nascita) e un odorino di zucchero filato che fa venire l’acquolina in bocca. Gli piace farsi lavare con l’acqua scrosciante del rubinetto, apprezza la buona musica (Fra Martino campanaro in particolare), sorride di sghimbescio mentre una fossetta gli buca la guancia, ma non ammette distrazioni da parte di chi si occupa di lui. In casa bisogna tenerlo in braccio, possibilmente cullandolo a velocità 7 (su 7 livelli di velocità) meglio se accennando qualche passo di danza. Concede deroghe solo se si esce: in carrozzina sta buonissimo, sempre che si cammini a passo spedito senza fermarsi mai neppure per allacciarsi eventualmente una scarpa o per attendere il verde dei semafori. L’altro pomeriggio Nonno Putativo è tornato prima dal lavoro per darmi una mano, o meglio braccia e gambe visto che il mio turno era particolarmente lungo (dalle 13.30 alle 19.30). Abbiamo vestito Manflor che protestava vivacemente con un vocione da carrettiere e ci siamo avviati per il quartiere, che non conosciamo ancora, dove è andata ad abitare Figlia, nella speranza di imbatterci in una pasticceria fornita, luccicante, odorosa di pastafrolla, dove berci (Nipotino permettendo) un te all’inglese con torta al cioccolato e altre delizie simili. E’ successo di meglio: abbiamo incontrato un negozio di jeans di TUTTE LE TAGLIE, particolare non trascurabile per uno come Nonno Putativo che sfiora i due metri d’altezza per …ehm…i tot chili di peso. Siamo entrati spingendo il carrozzino: Nipotino taceva e osservava con un accenno di mestolino sulla bocca, ancora in dubbio se fare un gheo di approvazione o scoppiare a piangere diventando paonazzo di rabbia per quella sosta poco gradita.  Abbiamo chiesto un certo jeans e una certa taglia e c’erano entrambi: miiiiii,  data l’eccezionalità dell’evento ci è venuto automatico diffidare, chiederci dov’era l’imbroglio.  Non c’era: tutto filava liscio come l’olio. Il negozio era vuoto, la commessa/proprietaria era tutta per noi, i jeans calzavano a pennello e avevano un prezzo decisamente basso. Ma la fortuna aveva deciso di esagerare con Nonno Putativo. Mentre pagava, Nipotino ha optato per il pianto sirena-dei-pompieri-trascinata-nel-castello-di-Dracula-dove-il-conte-aveva-organizzato-un-festino-con-altri-vampiri-assetati quindi io l’ho estratto dal carrozzino. Lui si è zittito immediatamente e immediatamente si è guardato intorno facendo gheo. La gentile commessa/proprietaria l’ha guardato e dopo i “che carino, che amore, ma quanto ha?” di rito ha detto testualmente a Nonno Putativo:
<<Ma questo bambino è tale e quale a lei…>> .
Un trionfo.