UNA PER UNO

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babbucce

venerdì 27 maggio 2011

PRIMO ACQUISTO PER BAMBINO

Un po’ per scaramanzia un po’ perché la (presunta) data del parto  le appariva lontanissima,  Figlia, prima di ieri, non aveva acquistato ancora nulla per Bambino. A dire il vero,  all’inaugurazione di un negozio di articoli per l’infanzia stava per comprare un primo stock di tutine azzurre, ma i modi scostanti della commessa l'avevano fatta desistere. Ieri la svolta.
<<Gli ho preso una cosa magnifica>>, mi ha detto al telefono.
<<????>>
<<Indovina: 3 tentativi>>, ha proposto. <<E’ abbastanza facile>>
<<La carrozzina…>>
<<ACQUA!!!!>>
<<Le tutine per l’ospedale…>>
<<ACQUISSIMA!!!!>>
<<I bavaglini che stanno vendendo ovunque le suore missionarie...>>
<<Spiacente! Hai perso. Va be’ te lo dico io: una BAT BOX!>>
<<Non so cosa sia>>, ho detto mentre vaghe reminiscenze legate a Figlio bambino mi suggerivano immagini di mantelli e passamontagna neri.
<<E’ una casetta per pipistrelli domestici. Si appende in terrazza, un pipistrello arriva, la guarda e ci viene ad abitare. I pipistrelli proteggono dalle zanzare senza inquinare, eco-killer li ha chiamati il Corriere. Così Bambino avrà sonni tranquilli, non dovrò mettergli il repellente. Non dovrò usare la tavoletta, o gli ultrasuoni, o lo zampirone. Che ne dici?>>.
Dico che è perfetto. Dico che questa casetta cade a fagiolo. Ho da pochissimo scritto una storia per bambini (utile per favorire lo sviluppo dell’intelligenza emotiva, la generosità, l'apertura verso gli altri) che ha per protagonista un pipistrello. Quando si dice la coincidenza. Quando si dice la premonizione. La metto qui sotto,  chissà mai che qualcuno abbia voglia di leggerla (o di leggerla a un bambino).
LA STORIA DI PIP
C’era una volta un piccolo pipistrello di nome PIP, che viveva in un castello costruito su una collina molto facile da raggiungere anche a piedi, figuriamoci in volo. PIP era nato con una grande allegria nel cuore, ma in breve tempo si era accorto che il sentimento gioioso, che gli pareva facesse parte di lui era invece sparito per lasciare posto a vaghe sensazioni di tristezza e di preoccupazione.  Pensa che ti ripensa riuscì anche a capire la ragione di questo cambiamento: gli altri pipistrelli che vivevano nel castello (a occhio e croce una trentina, con precisione non avrebbe saputo dirlo perché aveva imparato a contare solo fino a 10)  erano tutti di colore scuro: o grigio antracite o nero notte fonda. Lui invece era bianco, un colore insolito per un pipistrello.  Di un bianco luminescente, di sicuro piacevole da vedere ma maledettamente diverso dal nero notte fonda e dal grigio antracite degli altri pipistrelli. Il guaio era che Pip ci aveva provato a fare amicizia con gli altri pipistrelli, per esempio tentando di unirsi ai loro giochi e alla loro scorribande notturne e salutandoli sempre per primo con grande gentilezza. A dire il vero aveva anche  cercato di partecipare alle battute di caccia (caccia agli insetti) che si svolgevano puntualmente ogni giorno al calare delle tenebre. Ma gli altri pipistrelli o lo ignoravano o lo guardavano con infastidito stupore e lui leggeva nei loro occhi una terribile domanda: “Chi è questo biancone qui?” e una ancor più terribile risposta: “Non ce ne importa nulla, basta che se ne stia lontano da noi”.  Per forza che si sentiva triste! Un giorno però accadde qualcosa: stava gironzolando tutto solo nel castello quando gli si avvicinò Vespertilio, il pipistrello più vecchio e più saggio del clan e gli disse:
<<E’ un po’ che ti tengo d’occhio e mi sono accorto che per te le cose non girano per il verso giusto. Sei sempre un po’ giù di morale, mi vuoi dire cosa c’è che non va?>>
PIP riflettè un attimo prima di rispondere: possibile che il vecchio e saggio pipistrello non si fosse accorto che lui era bianco e gli altri tutti scuri? Evidentemente era così, altrimenti non avrebbe avuto bisogno di chiedere spiegazioni. Allora PIP riordinò le idee e precipitosamente (un po’ si vergognava di quello che stava per dire) disse:
<<Ecco io mi sento infelice perché sono bianco e non scuro come tutti gli altri pipistrelli che abitano qui. Così loro non mi fanno giocare, non mi invitano alle battute di caccia agli insetti e di giorno, quando viene l’ora di dormire a testa in giù, non mi fanno posto sul cornicione. E’ terribilmente difficile essere bianco quando tutti gli altri sono neri come la notte fonda o tutt’alpiù grigio antracite. Vorrei essere esattamente come loro, odio il mio colore.>>
Il vecchio e saggio Vespertilio guardò PIP negli occhi poi gli disse:
<<Mi chiedo se riesci a ricordare una volta in cui essere bianco, di questo tuo bel bianco splendente, sia stato importante per te>>.
PIP si concentrò sulle parole del vecchio pipistrello saggio: con la memoria andò indietro fino a quando ricordò.
<<Una volta>>, cominciò a raccontare,  <<mi ero allontanato dal castello e mi ero perso nel bosco. Mia madre è venuta a cercarmi, ma faticava a individuarmi nel buio pesto della notte e poiché io stavo fermo, tutto tremante addossato a un albero non riusciva neppure a captarmi con il suo udito che pure è finisismo. Ma a un tratto la luna è sbucata dalle nuvole e i suoi raggi hanno illuminato il tronco contro cui mi ero rifugiato. Grazie al mio colore bianchissimo la mia mamma che proprio in quel momento stava guardando nella mia direzione riuscì a vedermi. Mi venne incontro, mi abbracciò e mi disse che era proprio una bella fortuna che io fossi nato tutto bianco.  Se fossi stato scuro non mi avrebbe visto e io probabilmente non l’avrei mai più ritrovata: mi sarei allontanato troppo, confuso com’ero e poi non sarei più riuscito a ritrovare la strada di casa>> Mentre parlava PIP iniziò a capire e quando concluse il suo racconto ebbe un lampo: essere diversi dagli altri a volte può essere meraviglioso! Vespertilio, quasi gli avesse letto nel pensiero, disse a voce alta:
<<Visto? Non dimenticarti mai questa esperienza, ti aiuterà a ricordare che essere diversi può essere un punto di forza e che quello che veramente conta nella vita non è solo l’aspetto fisico>>.
<<Sì, però>>, obiettò PIP, <<a volte mi piacerebbe essere come gli altri: per esempio quando si gioca a nascondino ho più problemi degli altri a non farmi trovare, perché il bianco luccica e attira l’attenzione>>.
<<Mi è venuta un’idea>>, disse il saggio Vespertilio che era anche molto generoso. <<Ti regalerò un mantello nero col cappuccio, che potrai indossare ogni volta che i  tuoi amici giocheranno a nascondino o, comunque ogni volta che vorrai sentirti esattamente come loro>>. Detto fatto, trasse da dietro di sé un bel pacchetto regalo con tanto di fiocco rosso e glielo porse.
PIP tolse la carta luccicante e si trovò tra le mani un bellissimo mantello scuro che indossò subito. Gli stava a pennello: aderiva alla perfezione alle membrane sottili  che formavano le sue ali mentre il cappuccio diventava un tutt’uno con la sua testina, lasciando sbucare solo le orecchie (unica parte naturalmente scura del suo corpo). PIP volò rapidamente verso il grande specchio che stava nell’atrio del castello e si guardò: come era stato facile diventare come gli altri. Mentre rifletteva sulla capacità di un mantello di annullare le diversità, venne raggiunto da due piccoli pipistrelli, che si chiamavano CHIRO e TERO e che erano proprio quelli che si comportavano sempre in modo particolarmente scostante con lui. In coro gli chiesero: <<Chi sei?>>. <<Sono PIP>>, rispose.
Lo guardarono increduli: <<Ma non eri bianco?>> <<Sì, ma mi sono messo questo mantello nero>>, spiegò PIP
In quel momento giunge anche Vespertilio con in mano due pacchetti identici a quelli che contenevano il mantello di PIP. Li porse a Chiro e a Tero i quali li scartarono febbrilmente, molto eccitati dall’idea di quel regalo inaspettato. Dalla carta luccicante vennero fuori due mantelli bianchi perfettamente a misura di pipistrellino. I due li indossarono subito, gettarono lo sguardo sullo specchio e scoppiarono a ridere: loro erano bianchissimi, PIP scuro scuro.   In un lampo si abbracciarono tutti e tre:i mantelli del saggio e generoso Vespertilio li avevano resi uguali, permettendo comunque a ciascuno di essere diverso dagli altri due. Tenendosi per il patagio iniziarono a svolazzare per il castello sentendosi molto ma molto felici: da quel giorno in avanti tutti e tre avrebbero potuto scegliere quando immedesimarsi nell’altro o quando essere se stessi: i vantaggi ci sarebbero stati per tutti. I pipistrelli neri con addosso il mantello bianco avrebbero potuto smarrirsi nel bosco nella certezza di essere ritrovati, e PIP avrebbe potuto finalmente vincere qualche partita a nascondino.


mercoledì 25 maggio 2011

TONY (FORSE) SERVE ANCORA

Non è stato semplice, ma l’ho ritrovato. Si chiama Tony e me lo offrì, per darmi il benvenuto nel mondo, la mia nonnetta con i capelli resi azzurrini da una misteriosa fialetta.  L’ho cercato in un polveroso baule che sta nel box, schiacciato da pile e pile di cose che teniamo nell’attesa che possano servire (ma quando mai torna utile una cosa che giace in garage da anni? Le statistiche parlano chiaro: mai). Niente non c’era. Quando ormai stavo per abbandonare l'impresa, l’ho trovato in uno dei tanti sacchi blu dell’Ikea che agonizzano pieni di carabattole nella mia minuscola cantina e in cui ho avuto il coraggio di frugare.
L’ho spazzolato, lavato, profumato (sfregandolo con un fiore di lavanda). Con un pennarello nero indelebile ho ridato carattere al suo naso scolorito, pur sapendo che nonostante queste cure non avrebbe potuto riprendere servizio. A causa della lunghissima militanza è senza coda: al suo posto c’è un buco da cui escono frammenti di imbottitura, ci si può scommettere infiammabile e tossica. Ma non solo: è privo del marchio CE,  perché ai suoi tempi (che sono poi i miei) per quanto riguarda la sicurezza dei giocattoli non si andava tanto per il sottile. Con l’incoscienza dei 20 anni lo misi comunque accanto a Figlia, prima che nella sua vita e, in particolare, nel suo letto entrasse Pisolo, morbido omino in pigiama con nasone e berretto da notte (tuttora presente sul suo comodino). Di Pisolo Figlia s’innamorò all’istante e subito dopo, a causa della sua tendenza alla monogamia,  scagliò a terra Tony chiudendo con lui per sempre.  Con l’incoscienza dei 30 anni lo offrii anche a Figlio, che però lo giudicò fin da subito troppo ruvido e quindi gli preferì un pezzo di stoffa dal colore progressivamente sempre più grigiastro, ma piacevolissimo al tatto. Con la saggezza dei 50 anni ho ben chiaro che a Nipotino non lo potrò proporre, così mutilato e infiammabile e privo di qualsiasi garanzia sul fronte della sicurezza com’è.  E’ però anche un peccato ricacciarlo nel suo saccone blu, visti i ricordi e le tracce di manine del passato rimaste impigliate nella sua pelliccia. Così ho portato Tony in terrazza e gli ho scattato alcune foto che poi ho inserito in altrettante cornici colorate. Chissà se Figlia vorrà appendere questi quadri alla parete della stanza di Nipotino. Io a regalarglieli ci proverò, poi vedremo. 

lunedì 23 maggio 2011

DELITTI E CASTIGHI

Sul mio osso sacro la tata Teresa (a proposito di lei vedi post “Al telefono con Mary Poppins” del 19 febbraio) aveva fondato il suo potere, arrivando a ottenere la più totale obbedienza semplicemente indicandolo con un breve gesto di ammonimento. Secondo quali logiche le fosse venuto in mente di sfruttare questa zona anatomica misconosciuta per piegare il mio spirito irrequieto non l’ho mai saputo. Certo è che “l’idea c’era e avrebbe reso”, tanto per usare un’espressione tipica del mio primo geniale direttore (e qui si parla di colui che ideò per il mitico Duepiù quella meraviglia di “inserto chiuso”, pieno zeppo di discorsi proibiti).  
La tata Teresa, dopo avermi insegnato con grande scrupolo a localizzare il mio osso sacro, mi aveva convinto che si trattava di un abbozzo di coda, destinato a crescere di due centimetri in due centimetri in seguito a qualsiasi insubordinazione grave.  E’ ovvio che se non fossi stata attenta mi sarei trovata con una coda abbastanza lunga da non poter più essere mascherata dai vestiti che preferivo (jeans e magliette a righe). E pazienza questo, ché  optando per i larghi abitini stile impero (che detestavo) l’avrei potuta coprire, ma al mare come avrei fatto? Così obbedivo alle sue imposizioni, per esempio inghiottendo (dopo averle girate e rigirate in bocca per un tempo infinito) montagnole di stopposi spinaci verdastri; tenendo tutte due le mani sul manubrio della bicicletta; evitando di raccogliere per strada ogni genere di animale randagio (dal pipistrello zoppo al cane con l’orecchio mozzo).
So bene che Maria Montessori, Pestalozzi e Rousseau sarebbero inorriditi di fronte alla minaccia della coda che cresce e che i nuovi psicologi avrebbero mandato le assistenti sociali ad arrestare la Teresa, ma in realtà tutto il polverone che si sarebbe sollevato, se mai questo consesso di esperti fosse stato interpellato al riguardo, sarebbe stato eccessivo. E' vero: per la paura che il mio embrione di coda si evolvesse io obbedivo, ma la faccenda si esauriva qui e tirare in ballo possibili conseguenze psicologiche o, peggio ancora,  eventuali traumi sarebbe stato davvero fuori luogo.  Vista l'assenza nel metodo di particolari insidie,  a mia volta ho provato coi miei figli a parlare della coda per ottenere in cambio obbedienza, ma è stato un buco nell’acqua.
Figlia, già in possesso delle nozione base di anatomia grazie all’Allegro chirurgo regalato dalla nonna, non ci è cascata neppure per un attimo. Figlio, al contrario, ci ha creduto eccome e quindi ha cominciato a disobbedire forsennatamente perché l’idea che gli spuntasse la coda gli sembrava interessante almeno quanto quella che gli si materializzasse sulla schiena un guscio tale e quale a quello del ninja Raffaello, suo idolo e alter ego.
Dato il mio flop, è certo che Figlia non userà con Nipotino la minaccia della coda.
Riciclerà invece l’altro must della tata Teresa. <<Alza la frangetta!>> mi chiedeva con ironica cortesia quando sospettava che le avessi mentito. Una volta sollevati i capelli, se la bugia era stata detta la poteva vedere mentre correva velocissima avanti e indietro lungo la mia fronte. Anche le bugie di Nipotino faranno lo stesso.  Figlia ne è sicura, dice che è un fatto ereditario.   
   

giovedì 19 maggio 2011

SULLA NIDIATA DI NIPOTINI

Sono nati nell’ordine, a breve distanza uno dall’altro, Giulio, Federico, Fabio e Pietro. Tutti insieme pesavano 13 chili e 700 grammi (molto di ciò lo si è dovuto a  Federico) e in un amen hanno trasformato un po’ di miei amici in nonni militanti, illuminati di luce propria, tipo le stelle. E’ chiaro che prima o poi ci sarà da litigarsela questa Sofia (vedi post: “Primo passo verso un matrimonio combinato" del 10 maggio), bella come un elfo dei boschi (grazie al berrettino che le mette la mamma, in attesa che la testina acquisisca la sua naturale forma rotondeggiante) e soprattutto femmina, in un universo di bebè tutto al maschile.  L’ultimo arrivo della nidiata dei nipotini nuovi di zecca è quello di Lui, il mitico amico ginecologo, che in occasione di questa nascita ha vissuto l’esperienza paranormale dello sdoppiamento di persona. E’ stato medico, il medico che è, durante la complicata fase espulsiva ma poi è diventato (ed è stata questa la sua prima volta) nonno quando si è trovato tra le mani (non più decise e ferme come poco prima)  il piccolo corpo liscio e lucido e fragrante di vita del figlio di suo figlio. Forse ha pianto, forse no, su questo punto non ha voluto dire. Di certo è che per telefono ho sentito la sua voce di ragazzo, la stessa che tanti anni fa in una brutta sala parto mi suggeriva di spingere più forte, allegra come mai mi era apparsa prima.
<<Un nipotino è la felicità>> mi ha detto.
<<Più di un figlio?>>  gli ho chiesto, pronta a rinfacciargli di avermi mentito tanti anni fa in una brutta sala parto quando, per dissuadermi dalla tentazione di abbandonarmi al panico, mi aveva detto: "Dai spingi forte che così tu avrai la felicità più grande del mondo e io, grazie a dio, il mio cappuccino con brioche".  
<<Sì>>, mi ha risposto lui, con serietà, dopo averci riflettuto un po’.  E poi ha riso con la sua voce di ragazzo e così io ho pensato che un nipotino è davvero il passepartout per l’eternità.  

martedì 10 maggio 2011

PRIMO PASSO VERSO UN MATRIMONIO COMBINATO

Domenica 8 maggio, giorno della festa della mamma, è nata la promessa sposa di Nipotino. Il matrimonio è stato stabilito a tavolino da Aspirante Genero e il suo Migliore Amico, il neopapà. I due ci hanno messo un amen a giudicare una chiara indicazione del destino l’arrivo quasi contemporaneo di due figli di sesso opposto. A differenza di Nipotino, la promessa sposa ha potuto contare su un nome fin dall’ecografia che ha svelato la sua appartenenza di genere. Un nome che è piaciuto a tutti – racchiude il sapere e la bellezza – e che le sta benissimo, pur così piccina com’è con i pugnetti chiusi e il berrettino da elfo che le ha messo la mamma. Ha faticato non poco per nascere, ma adesso è qui minuta, rosea e affamata. So che ciuccia con coscienzioso vigore, che cade nel sonno a metà poppata, che ha una voce limpida e potente, che nel complesso dimostra di essere una ragazza volitiva. Chissà se un giorno S. e Nipotino si snobberanno o si detesteranno o, ancora, si ignoreranno oppure accontenteranno i padri.

PS DI SERVIZIO: per una delle tante sciarade telematiche con cui neanche provo a misurarmi non riesco più a inserire i miei commenti, così non posso rispondere ai vostri commenti L  Gli dei che governano questo blog mi permettono però di leggervi: vi dico un grazie collettivo per quello che scrivete (intanto ho messo un paio di santini sul pc, si sa mai che aiutino a sbloccare la situazione). Rora, bella davvero la tua descrizione (ho preso nota!) 

lunedì 9 maggio 2011

VI PRESENTO NIPOTINO

Secondo l’ultima ecografia (effettuata sabato 7 maggio da Lui, l'amico ginecologo, uno stakanovista che non conosce il significato intrinseco del termine "week-end")  pesa 600 grammi ed è lungo 26 centimetri. Così abbiamo saputo che guizza velocissimo, beve il liquido in cui nuota, si succhia il ditino (già ben delineato) e fa pipì. E’ Nipotino, sì proprio lui, quello senza nome. Figlia mi ha concesso di fotografarlo nel suo involucro e mi ha dato l’ok per metterlo nel blog. Eccolo qui:  




venerdì 6 maggio 2011

ALBERO GENEALOGICO SOTTO LA LENTE

Per Figlia e per tutte le donne della famiglia - un vasto intreccio di madri, nonne, zie, cugine, nipoti (le parentele variano ovviamente a seconda della prospettiva) - è sempre stata motivo di vanto la dose di follia o almeno di stranezza che si riscontra, in quantità variabile, in ciascuno dei nostri parenti, consanguineo o acquisito. La ragione è semplice:  follia e stranezza quasi sempre vanno a braccetto con la genialità, sono caratteristiche che destano interesse, che conferiscono un tocco di unicità, mentre la normalità è mediocre, fa sfigato.
Ma adesso che Bambino è in arrivo Figlia, consapevole delle rigide leggi della trasmissione genetica, ha cominciato a sudare freddo. Allo stesso tempo interroga me con finta noncuranza per appurare:
a)        se esiste un suo consanguineo di primo grado  che, in scienza e coscienza, si possa definire normale  (per poi augurarsi che  Bambino prenda tutto da lui)   
b)       se la pazzia e/o la singolarità che accomunano i vari membri della famiglia sono state enfatizzate dal nostro gusto per il paradosso e per gli eccessi o se davvero sono oltre la soglia dell’accettabilità
<<Ma è vero che la zia Paolo e la zia Mauro, prima di mettere su casa insieme, volevano fare i legionari?>>, s’informa Figlia cautamente.
<<No, no, solo la zia Paolo, ma l’idea è durata un niente. La zia Mauro ha sempre desiderato una vita di basso profilo>>, le assicuro io, che so benissimo che se c’è una cosa al mondo che Figlia detesta sono i guerrafondai e che ha il terrore di metterne al mondo uno. 
<<Bambino sarà un pacifista militante, organizzerà il remake di  “Woodstock: 3 days of peace, music and love”>>, le prometto con tono convincente, mentre nella mia testa prendono vita le canzoni dei vecchi idoli, lontanissimi e perduti, dei miei 12 anni.      
<<Il nonno squartava i lumacotti rossi per vederci piangere...sarà mica stato un sadico sanguinario?>>,  riflette Figlia a voce alta.
<<Ma dai l’ha fatto una solissima volta>>, mento sapendo di mentire, mentre il mio ricordo vola al marito di Futura Bisnonna (il padre di Nonno Bio) che, per dimostrare ai nipotini le grandi risorse di cui dispone la natura, catturava per loro lucertole e lumacotti rossi e poi li segava in due. Subito dopo, sentendosi tale e quale a Piero Angela, si godeva la singhiozzante meraviglia con cui i bambini  osservavano i macabri contorsionismi delle code mozze.  
<<Tuo padre non si è mai alzato una volta prima delle 3 del pomeriggio….Viveva di notte dormiva di giorno…Dimmi almeno che non era un vampiro>>,  scherza Figlia, per mascherare (senza riuscirci) che preferirebbe dare alla luce Edward Cullen piuttosto che un bimbo con alterazioni del ritmo circadiano (disturbo, manco a dirlo, su base famigliare).  
<<No, no un vampiro di sicuro no: era vegetariano>>
<<Un sollievo>>, dice Figlia, <<ma so per certo di un lupo mannaro…>>
Questa ragazza sta diventando troppo ansiosa: quante volte le dovrò ancora dire che questo tale, come si dice, ah sì, il licantropo, era non già il primo ma il secondo marito di una trisavola e che, di conseguenza, nelle nostre vene non scorre neanche una goccia del suo sangue?

giovedì 5 maggio 2011

A SPASSO CON FIGLIA

<<Ah, ecco perché ha la pelle bella: è un maschio!>>, ha detto lei (a bruciapelo). Lei, una mia vecchia conoscenza persa di vista da anni e ritrovata per caso mentre passeggiavo con Figlia.
<<Scusa, non ho capito>>, ho detto io già visibilmente innervosita.
<<E già, non lo sapevate?  Chi è incinta di una bambina diventa brutta, tutta brutta…Foruncoli e macchie>>, ha spiegato meglio lei, carica di compassione per la nostra ignoranza talmente oceanica da risultare impossibile da mascherare e, allo stesso tempo, felice di poterci illuminare.
<<Veramente io le macchie le ho avute con il maschio…>>, ho reagito io, pronta a battermi fino alla morte pur di convincerla che stava dicendo un’enorme minchiata. <<Insomma, credimi stai dicendo una minchiata di proporzioni cosmiche, retaggio dei secoli bui nei quali partorire figlie femmine era  considerata una sventura….>>, ho affermato precipitosamente, mentre Figlia con le guance già leggermente infiammate cominciava a strattonarmi per tirarmi via, perché come sapete non ama discutere in generale e meno che mai su simili argomenti.
<<Eh, no è proprio così, guarda che ti sbagli, non è possibile che ti sia capitato il contrario>>, ha ribadito lei con determinato sussiego, ben decisa a non concedermi neppure il beneficio del dubbio.  
<<E INVECE E’ VERO! Ti dico che è vero, posso dimostrarlo. Ho le mie foto da incinta: quando aspettavo Figlia la mia pelle era bellissima, col maschio invece tutta una macchia….>>, ho continuato con affanno, mentre qualche passante cominciava a girarsi sentendo odor di rissa…
<<Ma’, ti prego ha ragione lei….dai vieni, si sa che da quando hai photo shop delle tue foto non ci si può fidare, la signora ha ragione…Buongiorno signora, piacere di averla rivista>>, ha concluso Figlia spingendomi verso un bar.
<<RAGIONE DI ‘STE PAL..…eddaiiii…>> , ho detto io a voce alta, lasciandomi trascinare per non imporle sforzi fisici, che in gravidanza fanno male, ma tenendo la testa girata verso la signora,  nella speranza che mi sentisse. Nel frattempo  lei, la vecchia conoscenza incontrata per caso dopo anni,  si allontanava impettita con una luce di trionfo nello sguardo, eloquente come mille parole.  “Visto che ho ragione?>>, diceva la luce.