Nicola M. era un omone grande e grosso, con gli occhi che tiravano al blu cobalto e mani come badili che usava con insospettabile lievità e indiscutibile perizia. Era un ortopedico di successo, per alcune intuizioni cliniche, per la capacità di migliorare l’assetto di ossa, tendini, legamenti malconci e per i suoi modi gentili. Nicola M. teneva alla carriera quanto all’aspetto umano della professione quindi o per l’una o per l’altra ragione era sempre in ospedale. Un giorno, mentre si trovava in sala operatoria ricevette una telefonata da un collega del reparto di oncologia, dove da un paio di settimane era ricoverata sua madre. Dopo la chiamata, aveva portato a termine l’intervento cercando di allontanare il pensiero di quanto lo attendeva, poi senza neppure cambiarsi era uscito dal padiglione “Traumatologia, ortopedia, Fisiatria” e, con addosso il camice verde, aveva attraversato correndo il lungo cortile dell'ospedale, alla volta del padiglione in cui era sua madre.
<<Mamma, mamma aspettami>>. Grande, grosso e medico, ma chiamava "mamma", la sua mamma vecchia giunta alla fine del Viaggio.
Era entrato nella stanzetta semibuia a testa alta, con gli occhi chiari asciutti e le mascelle irrigidite in un’espressione fredda e risoluta. Era un medico e da medico doveva comportarsi: lucidità, ragionevolezza, un filo di cinismo.
Vicino a Berry, amico e collega, quasi un fratello, stava il Professore. Il Luminare, il Guru, lo Scienziato, il Grande Primario che ai convegni parlava un inglese fluido, sciorinando teorie che lasciavano la platea affascinata. In piedi, altero, teneva tra le dita il polso fragile di sua madre, pronunciando frasi dotte a erudizione del suo codazzo di assistenti, schierati contro la parete, ossequiosi, adulanti.
Sua madre aveva aperto gli occhi, azzurrissimi e ancora vividi tra le palpebre avvizzite. L’aveva guardato e con la mano libera dalla morsa altera del Professore gli aveva fatto cenno di avvicinarsi. Aveva obbedito, si era chinato su di lei e lei sottovoce (ma non abbastanza da impedire agli astanti di sentire) indicando il Professore gli aveva detto: <<Nicola, questo qui è un ermelo>>.
Il Professore le aveva gettato uno sguardo di regale condiscendenza, poi aveva portato l’indice di una mano alla tempia, per picchiettarla, mentre fissava Nicola. Un gesto impudico, volgare ed eloquente: Non c'è più tanto con la testa.
Nicola, ottimo medico in carriera, guardando il Sommo aveva annuito con la stessa aria di compassione fasulla. Aveva anche strizzato l'occhio: Ci siamo intesi, non c'è più tanto con la testa. Ricevuto.
Poi aveva guardato di nuovo sua madre che gli sorrideva, dicendo (e sarebbero state le sue ultime parole): <<Credimi è un ermelo>>. Quindi aveva chiuso gli occhi e non li aveva riaperti più.
Era stato il dolore cocente di quell'istante a risvegliare la sua memoria. Si era rivisto bambino, vicino a lei bionda, bellissima e allegra. Si sentiva sempre bene quando erano insieme perché lei lo amava e lo voleva così, proprio come era. A lui piaceva farla ridere, piaceva proteggerla e un giorno per riuscire in tutte e due le cose aveva inventato per lei un vocabolo nuovo di zecca. Era stato secoli prima: un conoscente semi-ubriaco le aveva fatto una scenataccia per motivi futili e sua madre era stata sul punto di piangere. Allora lui, non potendo difenderla altrimenti, aveva provato a consolarla dicendo: <<Mamma, quello lì è un ermelo>>.
Lei lo aveva guardato, aveva compreso al volo ed era scoppiata a ridere. <<E' vero>>, aveva risposto di rimando, con naturalezza, come se il termine - creato in quel momento - appartenesse da secoli al vocabolario, <<E’ proprio ermelo>>.
E così nel loro linguaggio segreto, ricco di strane parole inventate e sepolte nel passato insieme ai baci e alle carezze dell'infanzia, "ermelo" era rimasto sinonimo di "persona di cui avere un po' paura, ma non troppo".
Nicola M. era un medicone grande e grosso che trascorreva quasi tutto il suo tempo in ospedale, perché amava fare carriera e considerava i suoi pazienti una priorità assoluta. Il giorno in cui sua madre morì, perché era nell'ordine naturale delle cose che accadesse, ci mise troppo tempo a ricordare un episodio della sua infanzia. Così per molti anni dopo portò con sé il rimorso di non aver compreso che sua madre sul punto di morire, per alleviare il dolore che lui provava, aveva cercato di farlo ridere: <<Il professore è ermelo>> (una persona un po’ così, minacciosa ma neanche tanto. Io e te insieme ne possiamo ridere e la paura se ne andrà).
Non aveva capito e aveva dato retta solo al gesto vigliacco (ed eloquente) del Professore: Non c'è più tanto con la testa.
<<No, Professore>>, avrebbe dovuto dire, ma non l'aveva fatto allora e poi farlo non avrebbe avuto più senso, perché lei non c'era più. <<No professore, quello che sta dicendo mia madre, anche se ha passato gli ottanta anni, è proprio vero, lei è davvero ermelo>>. E poi avrebbe dovuto ridere, per farla contenta.
Figlia desidera una bambina. Figlia pensa che sia più facile essere mamma di una bambina. Figlia crede che per una donna avere una bambina sia il premio più ambito che possa elargire la vita. Figlia è convinta che il legame che una madre costruisce con un figlio maschio non possa mai raggiungere l’eccellenza qualitativa di quello che una madre può creare con una figlia femmina. Pregiudizi, nient’altro che pregiudizi. E per dimostrarglielo ho pensato di raccontarle meglio, con più particolari, questa storia vera di cui ho saputo quasi per caso. Poi ho deciso di metterla qui, per lei e per tutti coloro a cui piacciono le storie vere che parlano di mamme e di figli maschi.
Amica, chissà perchè leggendoti mi è tornata alla in mente una frase che anni fa mi disse una mia vecchia amica inglese. Suona più o meno così:
RispondiEliminaQuando una mamma educa un maschio educa un individuo
Quando una mamma educa una figlia educa una generazione!
Abbiamo delle responsabilità!
Lori questa che hai detto è straordinariamente bella. Ma che bella!!!!!!!!! Dai scrivila per noi anche in inglese (tu che puoi così bene)
RispondiEliminaIo e mia madre siamo vissute in simbiosi per 34 anni (finché non sono andata a vivere con Q), ci guardiamo e ci capiamo senza bisogno di parole. Condividiamo ricordi e aneddoti. Ragioniamo nello stesso modo, Soffriamo e amiamo con la stessa emozione.
RispondiEliminaQuando guardo Q e sua madre insieme, così comequando li sento parlare separatamente, riconosco la stessa intesa, la stessa comunione, le stesse vibrazioni. Si guadano negli occhi e scoppiano a ridere, seguendo lo stesso pensiero.
E poi, lo assicuro, non è vero che i maschi si allontanano mentre le figlie restano legate a filo doppio. Noi ci dividiamo equamente fra le due mamme, cerchiamo il più possibile di creare "la famiglia", e non sono solo io a volerlo...
Francesca Valeria, quello che hai scritto è così rassicurante: Figlia ti leggerà stasera, ne sono proprio contenta.
RispondiEliminaIo penso che Figlia desidera avere una Figlia per poter essere la Mamma che tu eri quando lei era piccola (e unica)
RispondiEliminami piacerebbe tanto imparare ad educare anche il "maschio" come una generazione. Credo sarebbe "la" soluzione. :)
RispondiEliminaLe parole di Lori sono molto belle, forse un po' faziose?
RispondiEliminaSarà che sono mamma da poco e che Magù è maschio...=)
La maternità è così strana, mica l'ho ancora capita, io...
Non ho la pretesa di educare una generazione, mi accontenterei di vedere il mio bambino essere capace di diventare uomo.
Susibita
Anch'io col pancione desideravo una bambina. Era una specie di transfert, perchè sapevo ciò che ero stata. Forse anche per figlia è così. Io seppi che era una bimba (con siparietto ridicolo) ritirando il referto dell'amniocentesi, e fu un periodo dedicato al rosa e ai ricami, ma stranamente non del nome!
RispondiEliminaSusibita, se questo ti può consolare neanche io ho ancora capito la maternità pur essendo a un passo dalla nonnità. Vorrei dirti che, secondo me, è proprio nelle tue parole il senso della frase di Lori: le donne che aiutano i figli maschi a diventare uomini (nel senso più alto del termine) hanno quasi di sicuro avuto madri che le hanno aiutate a crescere nel modo migliore. Tua mamma ha fatto di te una mamma che vuole solo che suo figlio diventi un Uomo: l'effetto della sua educazione è andato dunque ben oltre te :-)
RispondiEliminaDesian: da quello che scrivi (nel tuo blog) mi sembra che tu vada già alla grande col tuo uomo piccolo
Laura GDS, credo anch'io che Figlia voglia una bambina perchè è convinta che le sarebbe più facile comprenderla e immedesimarsi in lei. (Ma se avrà un maschietto avrà anche la straordinaria possibilità di scoprire in lui una parte di sé che magari non conosce. Vedremo: ad aprile che cos'è). Senti, e poi come l'hai chiamata la tua bambina? E perchè, secondo te, non ricamavi il suo nome? E' interessante questo dato...
RispondiEliminaIn inglese la frase della mia amica era “If you educate a boy, you educate an individual. If you educate a girl, you educate a community”
RispondiEliminae credo fosse un proverbio indiano o africano, non ricordo. Però suona più come istruzione in senso scolastico mentre io la intendo come crescere, formare e preparare un figlio alla vita. Molto difficile…..
Lori, grazie grazie grazie. Sì anche secondo me il senso originario riguarda il formare, il crescere spiritualmente, però magari gli inglesi - più pragmatici di noi - gli danno un altro peso (più lieve, perchè non vogliono fastidi :-)
RispondiEliminaIl racconto è meraviglioso! Grazie.
RispondiEliminaBellissimo racconto, anche se mi hanno messo un po' tristezza l'arroganza e la vigliaccheria...
RispondiEliminaComunque: si cambia anche idea, eh! :) Da incinta desideravo un maschio, perche' nello studio e nel lavoro sono sempre stata circondata soprattutto da donne, e desideravo un rapporto differente, e per la stessa ragione mio marito voleva una femmina. Però ho chiesto di non conoscere il sesso del bambino e verso i 5 mesi ho iniziato a pensare che poteva essere una bambina. Quando dopo il cesareo mi hanno "presentato" mia figlia, non ho avuto un secondo di delusione, e oggi non riesco a pensare che avrei potuto avere qualcun altro di diverso da lei :-)
Allora....
RispondiEliminaTabata devi sapere che io sono una malata crinica di punto croce. Oltre al blog legato al profilo google, che ce sono altri di cui uno dedicato alla gravidanza e al suo seguito.
http://mammagds.splinder.com
devi cliccare sul 2009 come archivio.
Il nome l'ho ricamato su 2 bavaglini, ma di cose da ricamare bellissime ce n'erano parecchie e lo spazio per farle non mi mancava, quindi perchè fermarmi a ricamare un nome qualdo posso fare un orsetto-girasole, delle fragoline sorridenti, o delle pecorelle? Non c'è un motivo particolare: mi facevo prendere dall'estro del momento.
di a Figlia che avrei dato qualsiasi cosa per avere un figlio maschio e ho due femmine... e ora mi tocca pensare al terzo sperando di esser più fortunata. Di solito il bambino è sempre del sesso opposto rispetto a quel che desideri
RispondiEliminaHo avuto tutti e due. La prima è arrivata e non avevo preferenze, per il secondo volevo un maschio per consolarmi della perdita di mio padre ( infatti lui ne è il ritratto). E' buffo ma nonostante mi dicano che io preferisco la figlia, e in effetti parliamo la stessa lingua e ci capiamo al volo, è con lui che ho capito come la maternità possa essere carne e sangue, anche se mai ci capiremo fino in fondo.
RispondiEliminaVoci del verbo capire, coniugate in vari modi.
RispondiEliminaClose, sono sicura che anche Figlia farà esattamente come te se dovesse essere un maschietto: quando lo vedrà avrà la netta sensazione di essere stata accontentata (dalla vita). Ho letto di recente che il professor Bollea era molto d'accordo con la decisione di non conoscere il sesso del bambino prima dela nascita.
RispondiEliminaArtemisia: prima di cercare il terzo perchè non fai la dieta fiocco azzurro? No latte e derivati, carboidrati al minimo, sì al pesce (soprattutto affumicato), al cioccolato nero (max 25 grammi al giorno), alla carne. In circa l'85% dei casi funziona.
Cara Marzipan, il verbo capire è il più importante del vocabolario. Per quanto riguarda la tua attenta descrizione dei due tipi di amor materno (per il maschio e per la femmina) ma credi che dipendano dal sesso del figlio e non dal suo carattere? Questo me lo sono sempre chiesta senza venirne a capo. Tu che ne pensi?
E c'è qualcun altro che ha un'idea sulla faccenda?
Non lo so, sono arrivati a distanza di sei anni, quasi due figli unici, penso che dipenda da diversi fattori, il sesso, il carattere tuo e suo, la tua storia familiare. Mia figlia è quasi un'estensione di me, conserva il mio modo di essere, i miei gusti, la mia storia. Lui è un'alieno che si rivela per lampi, frasi folgoranti, accenni obliqui, ma appena nato l'ho annusato come fanno gli animali.
RispondiEliminaIo ho un maschio ed una femmina e non saprei davvero dire la differenza fino in fondo. Con mia figlia c'è più pancia, con mio figlio c'è più testa ma francamente non credo dipenda tanto dal genere quanto dalla testa, per me almeno.
RispondiEliminaCredo di capire il rammarico per quell'ultimo gesto di intima comunione perso .... è l'irrimediabilità di certi eventi che mi ammazza
/graz
Graz, proprio esattamente come hai detto: "l'irrimediabilità" ecco cosa ammazza
RispondiEliminaMarzipan, anche i miei sono due figli unici (otto anni di differenza sono una voragine). In quanto all'alieno, ne so qualcosa. Già