Quello che gli serviva era una
scusa valida per giustificare la sua aggressione: se non capiva infatti cosa
esattamente fosse quella cosa piena di ciccia dal profumino invitante aveva
confusamente compreso che gli Umani ci tenevano a lei.
Per un anno rimuginò sulla
faccenda, pianificando una strategia d’attacco e cercando un pretesto per
attuarla. Ma il pretesto tardava a palesarsi. La cosa grassoccia cresceva e iniziava
pure a spostarsi traballante per casa, festosa, volonterosa, tutta sorrisi e
gridolini. Lo guardava e rideva forte e chiaro di felicità. Mai e poi mai si
sarebbe protesa verso di lui per tirargli la coda o ficcargli un legnetto in un
occhio: questo era evidente. La preda non era bellicosa e lo osservava con
rispettosa curiosità, senza mai avvicinarsi troppo e sempre guardata a vista da
almeno un paio di Umani alla volta. Lui però non abbandonava l’intento:
quella preda esercitava su di lui un’attrazione violenta, doveva afferrarla,
assaggiarla, trascinarla nella sua tana. E poco importava se ormai, con il
passare dei mesi, fosse quasi triplicata di peso e avesse raggiunto i 12 chili,
quattro più di lui, ma pazienza: non era forse vero che gli umani cacciavano
gli elefanti senza fare tante storie di dimensioni. E l’idea, da cui originò il
pretesto tanto atteso, arrivò e si accese nella sua testa di cacciatore come la
lampadina dei cartoni animati. Prese la sua amata oca morta di
gomma e la mise nel cesto dei giocattoli della sua preda. E quando la preda
traballante si chinò sul cesto per afferrare la palla lui sbucò fuori dall’angolo
in cui ansimante (ma piano) e immobile attendeva. Spiccò un salto da gatto,
nonostante fosse un cane, un bassotto per di più con lunga colonna vertebrale e
corte zampe poco adatte alle grandi elevazioni e si attaccò coi denti alla
pancia della preda. Eravamo presenti in tre: io,
Figlia e Genero Preferito. Abbiamo urlato forte mentre Nipotino piangeva, più di
sorpresa e di delusione che di vero dolore perché il pannolino e la maglietta
un po’ lo proteggevano dai denti di Gino. <<No!!! Gino nooooo!!!>>
gridavamo tutti, ma lui niente. L’aveva presa la sua preda grassoccia ed era
ben deciso a non mollare e a trascinarla nella sua tana. Il panico. Lo
strattone violento dato a Gino per costringerlo a lasciare andare Nipotino. Poi
la verifica del danno: sì c’era del sangue sul pancino, sì ci sarebbe stato
bisogno di antibiotico e di medicazioni. Gino si era macchiato della peggiore
tra le colpe: aveva morso il piccolo Umano, nella casa degli Uomini che lo ospitavano.
Con un’ideale eppure vistosa M scarlatta sulla schiena Gino si ingobbì e sparì
nella sua cuccia, senza più farsi vedere per il resto della giornata. Ma ormai
il latte era stato versato ed era inutile che piangesse. Figlia non lo avrebbe
perdonato mai, per tutta la vita e anche oltre. Genero Preferito, grande
cinofilo, cercava una spiegazione razionale all’accaduto. Nonno Putativo
(assente durante la tragedia) ha dato tutta la colpa a me che non so educare nessuno,
neanche un pesce rosso. Io, be’, io ero disperata per Nipotino con la pancia
sanguinante, per Figlia arrabbiata per sempre, per l’irragionevolezza di Nonno
Putativo che aveva dato la colpa a me di tutto (e solo parzialmente agli altri
due presenti). Sono passati tre anni da allora. Nipotino
ricorda perfettamente quanto successo perché abbiamo iniziato a raccontarglielo
per metterlo in guardia dalla tentazione, in lui fortissima, di fidarsi di
qualunque cane veda. E la storia gli piace molto, lo fa sentire un po’ eroe. Ogni
giorno quando entra a casa mia chiede, così per documentazione, lontano da ogni rancore, senza alcuna paura:
<<C’è Gino in giro? Gino mi
ha morso la pancia. Vero nonna? Mi racconti?>>.
Ma Gino è nella sua tana. Ci va
da solo quando sente sulle scale la voce di Nipotino. Ci va da solo brontolando
a denti stretti, orgoglioso com’è e restio a dare soddisfazione, mostrando
ragionevolezza. E’ un esilio volontario che ha scelto dopo essersi reso
colpevole del peggiore tra i delitti canini. Non ha più incontrato Nipotino da
allora, non viso a viso. Quando Nipotino è in casa lui non esce dalla sua
cuccia che si trova nella Libreria del mio studio. Da qualche giorno qualche
volta entro nella stanza dove lui è rintanato con Nipotino in braccio, così
giusto per saggiare il terreno, per capire se un giorno chissà quando il mio
bassotto e il mio nipotino potranno incontrarsi ancora senza che il secondo
corra rischi per via del primo. Gino quando entriamo trema tutto, con la sua M di “mordace” scarlatta sulla schiena, e muove debolmente la coda. Sono quasi sicura che voglia dire: <<Non lo farò più, non lo farei mai più>>, ma vatti a fidare.
povero Gino ... che tenerezza, si autoflagella da tre anni ...
RispondiEliminasì è vero fa tenerezza e pena però l'ha fatta grossa
Elimina"Perbacco che racconti che mi fai !", (dice Umberto :-) )
RispondiEliminaeh Umberto sarà solidale, immagino
Eliminapovero gino, sì.
RispondiEliminama vatti a fidare.
noi con googhi abbiamo rischiato, e gogghi è tipo...bè 6 volte gino.
Voglio bene a entrambi, ma li tengo a distanza, e all'occhio.
Non mi fido, no. Soprattutto di Nina.
Susibita
Susi sei troppo forte (soprattutto di Nina ahahahaha).
EliminaChe bello il tuo racconto!Troppo forte!
RispondiEliminaGrazie