Come ci si immagina una donna incinta al termine della 40ma settimana, che le statistiche indicano come la data in cui nella maggior parte dei casi inizia il travaglio?
Come minimo sudata (se per caso il tutto accade a fine agosto con il termometro fisso sui 35 gradi – 40 percepiti a causa dell’afa), di sicuro con i piedi gonfi che debordano da infradito di gomma e un abitino simil camicia da notte, sudaticcio e con qualche chiazza sul petto (nel 99 per cento dei casi dal settimo-ottavo mese in poi quelle incinte si macchiano sempre, anche a me accadeva).
Se poi si venisse interrogati su quelli che si ritengono essere i desideri più gettonati dalle donne incinte al termine della 40ma settimana si risponderebbe, nella certezza di azzeccarci, secondo questo ordine:
1° partorire in giornata, col minimo dolore, impiegandoci al massimo 15 minuti tra fase dilatativa e fase espulsiva
2° fare un bagno nelle fresche acque di un mare tipo Tremiti o Sardegna, raggiungendole in un nanosecondo, con la forza del pensiero o su un tappeto volante
3° inghiottire a piacimento gelati (con panna montata) e granite senza prendere un etto, anzi dimagrendo.
Non è questo il caso di Figlia, né per i desideri né per il resto. Con la sua pancetta appuntita e i nove chili scarsi che ha messo addosso in questi nove mesi, si è svegliata ieri, a un minuto dal termine della 40ma settimana, con un un’unica voglia: andare all’IKEA a comprare una cassettiera di legno blu (il blu un po’ slavato degli accessori da vela). Non potevo non accompagnarla anche perché tra noi e l’IKEA ci sono 30 chilometri di autostrada brulicante di camion e scenario abituale di incidenti capaci di bloccare il traffico per ore. Si è presentata con fuseau aderenti, resi graziosi da una passamaneria di pizzo, canottina scollata, cardigan leggero lungo i fianchi, scarpe chiuse, pelle perfettamente asciutta, caviglie sottili (acqua gym, lunga vita a chi ti ha inventato).
In autostrada, per un tamponamento siamo rimaste imbottigliate circa due ore (io sudavo freddo e caldo alla sola idea che le acque si potessero rompere in un simile frangente e ogni tanto dovevo domare anche un piccolo attacco di tachicardia – allo scopo funziona bere dell’acqua tutta d’un fiato).
Figlia tranquillissima si guardava intorno, commentando il paesaggio e divertendosi un sacco a leggere mediante il labiale le imprecazioni degli altri automobilisti sventurati, come noi prigionieri del traffico. All’IKEA abbiamo trovato la cassettiera e, grazie a Bambino nuovo nella pancia, siamo state aiutate da premurosi Uomini del Magazzino in tutte le operazioni di carico e scarico. Una volta giunta a casa, Figlia indifferente al caldo torrido e senza neppure una macchiolina sul petto (nonostante avesse mangiato una pesca assassina) ha sciorinato sul tavolo le millesettecento terrificanti viti e i settemila orridi pippottini in legno in dotazione dei mobili Ikea che, per loro inquietante natura, devono essere montati con il fai da te, quindi ha iniziato ad assemblare i pezzi seguendo le scarne istruzioni che a me fanno venire voglia di gettare tutto dalla finestra (compreso il signor Ingvar Kamprad).
Non sentiva né la fame né la sete. Intanto una piccola quota degli uomini di famiglia (Nonno Putativo e Genero Preferito) arrivava, per spalmarsi affranta per il caldo sul divano, cosparso di tutine da neonato, marsupi, bavaglini, medicinali, libri, penne, mugolando di sofferenza e di stanchezza. Dopodiché, a turno hanno iniziato a dare consigli a vanvera (come solo gli uomini sanno dare in simili circostanze), mentre io facevo da spalla a Figlia in qualità di ragazzo di bottega, eseguendo i suoi ordini gentili senza metterci il becco (come sole le donne sanno fare in simili circostanze). Lei girava lieve e per nulla accaldata tra le assi tutte uguali, mettendole assieme in modo talmente miracoloso che tre ore dopo l’inizio dei lavori la cassettiera blu era lì, perfetta come nel catalogo. Forse domani vorrà ritinteggiare tutti i muri. Si chiama "sindrome del nido pieno".