UNA PER UNO

UNA PER UNO
babbucce

sabato 29 ottobre 2011

DI CORNACCHIE, GENERI E DEMONI

GP (genero preferito) è specializzato in soprannomi che finiscono per calzare sul soprannominato meglio del suo stesso nome e che quindi diventano per lui una specie di seconda pelle. Da questa abilità sono nate chicche di notevole valore semantico: basti pensare che per sua madre Nella, donna dal sorriso luminoso e dalle forme morbide da ottima cuoca e ancor migliore forchetta,  ha coniato un superbo Snella, da usare sempre e solo con l’articolo determinativo (“Passo a salutare LaSnella”).
Non mi è dato da sapere come chiama me perché evidentemente il soprannome che mi ha scelto supera la soglia della confidenza che ci può essere tra una suocera che sa a memoria tutto Guccini e per natura non si prende troppo sul serio e un Genero Preferito irriverente e charmant. Credo comunque, così a spanne, che in una scala della presa per il culo da 0 a 10 probabilmente siamo assestati sul 9 pieno. Del resto di tutto ci si può aspettare da uno che sentendo una cornacchia  gracidare nell’aria fresca del mattino si è girato verso Figlia e con l’ aplomb che costituisce la sua principale peculiarità le ha detto: <<E’ arrivata tua madre>>.  Peccato veniale comunque, per il quale ha già fatto una bella penitenza: Figlia dopo un paio di giorni dall’accaduto gli ha raccontato di avermelo riferito nel dettaglio. Lui ha boccheggiato un po’ e poi, poco prima di svenire, ha invocato la terra di inghiottirlo mentre Figlia, al cui confronto Crudelia De Mon è la presidentessa dell’ENPA, si è ben guardata dal dirgli che a me quell’uscita aveva fatto ridere. Anzi ha scelto senza esitazione di fargli credere che mi ero offesa come solo le suocere sanno fare, cioè a morte.
Manflor è il soprannome che GP ha dato a Figlia.  Manflor è un demone minore, appartenente alla nutrita legione dei diavoli che si sono guadagnati l’inferno in quanto sono superbi, orgogliosi, cocciuti, prevaricatori e tiranni a esclusivo uso e consumo del compagno di vita, mentre col resto dell’umanità sono concilianti, compassionevoli, aperti al dialogo e all’accettazione. I Manflor (secondo GP che ne è il biografo ufficiale) sono quanto di più subdolo ci possa essere: danno il peggio di sé solo quando sono a tu per tu con il partner e non li sente nessuno.
E se Figlia è Manflor,  Nipotino che ne è il naturale prolungamento è diventato in automatico il Piccolo Manflor.  
Così GP l’altro giorno mi ha telefonato con voce preoccupata chiedendomi:
<<Sai qualcosa dei Manflor? Hanno il telefono staccato e non sono a casa>>
<<No, non ne so niente, ma adesso mi hai messo in panico, tante grazie. Ah, dimenticavo: cra cra cra>>, ho concluso sadicamente, prima di riagganciare, tanto per rammentargli che la faccenda della cornacchia me la ricordavo benissimo.
Trenta minuti dopo, quando ormai ero incerta se chiamare il Pronto Soccorso o la questura, sezione speciale “Tratta delle bianche+figliolino”,  mi ha mandato un sms con su scritto:
<<I Manflor sono tornati>>
<<CRA!>>, gli ho risposto,  con laconica perfidia.

  

lunedì 24 ottobre 2011

ECCOLO QUI

Nipotino cresce a vista d’occhio, ma ancora sobbalza a fronte di rumori improvvisi e più e più volte allarga le braccine come un equilibrista che non vuole cadere.  
<<E’ il riflesso di Moro>>, mi spiega Figlia, aggiungendo qualche altra informazione tecnica, ma a me piace pensare che lui compia quel movimento breve inconsulto e buffo per non scivolare giù dal filo dei suoi sogni di bebè, lungo cui si sposta leggero quando dorme.
Nipotino cresce a vista d’occhio e quando mi vede mi sorride. Gira proprio lo sguardo verso di me, cercandomi, poi mi lancia un’occhiata d’intesa (giuro è così) e gorgoglia di felicità.



lunedì 17 ottobre 2011

C’E’ STATO UN TEMPO, TANTO TEMPO FA

C’è stato un tempo in cui anch’io avevo un bimbo nuovo con un appetito da carrettiere, peluzzi biondi, un vocione privo di incrinature, anelli di ciccia, occhi dorati e un minuscolo naso.  Era il tempo del lusso e dello spreco: lontana come la luna dal terrore agghiacciante legato al motorino, ai sabato sera in discoteca e alle mille e mille trasgressioni disseminate lungo la strada di un maschio adolescente, potevo preoccuparmi per un ruttino che non arrivava, per un colpo di vento traditore (gli verrà l’otite? prenderà il raffreddore?), per qualche puntino rosso nella zona grassoccia e vellutata del sottomento, per una cucchiaiata di pappa rimasta nel piatto.
C’è stato un tempo in cui ero invincibile e onnisciente, ero oracolo, ero sapienza, ero l’universo e quanto di meglio si potesse desiderare di avere accanto. Era il tempo in cui affidavo il mio odore e la mia anima a una T-shirt consunta, che piccole mani afferravano e tenevano stretta come una reliquia fino al mio ritorno. Era il tempo dei sensi di colpa che trasformavano i sogni in incubi ricorrenti: in alto in alto intravedevo un bimbo biondo, sentivo che era mio figlio ma per averne conferma avrei dovuto raggiungerlo e per raggiungerlo dovevo servirmi di una scala di legno i cui pioli si sgretolavano prima che riuscissi ad appoggiarvi il piede.
Era il tempo del peso schiacciante e insieme esaltante di essere insostituibile. Poi all’improvviso (da un giorno all’altro mi pareva, invece erano trascorsi tanti anni) non sono stata più nulla. Meno di nulla e allo stesso tempo responsabile di qualsiasi cosa, dal minimo smacco al più atroce dei fallimenti, come stabilito dalle crudeli leggi che regolano l’accesso nell’età adulta dei figli maschi. Non può crescere davvero l’uomo che continua ad amare la madre nel modo intenso ed esclusivo dell’infanzia: così sostengono, compassionevoli, gli esperti di psicologia. Una parte di me voleva (vuole) fortemente crederci mentre l’altra, più disincantata, aveva (ha) la netta impressione che si tratti di un’ipotesi ad hoc formulata a scopo consolatorio (tipo “sposa bagnata sposa fortunata”). Ma ora c’è Nipotino che quando mi vede si illumina e fa un mezzo “gheo” di soddisfatta approvazione. Gli piaccio, lo sento e così piano piano risalgo dalle stalle alla dimensione di stelle in cui mi trovavo, senza neppure averne piena consapevolezza (questa è venuta poi, a giochi conclusi,  come sempre accade con la felicità), quando Figlio era bambino.   

mercoledì 12 ottobre 2011

TAPPA MOZZAFIATO

E’ successo all’improvviso. Inaspettato per colpa dei manuali e delle tabelle che indicano che accade intorno al 40mo giorno (eccezionalmente intorno al 35mo, niente di detto sulla quarta settimana). Era abbandonato, abbrutito dalla sua stessa ingordigia, strafatto dalle endorfine che ciuccia a iosa insieme al latte denso e ipercalorico che sgorga a fiumi dal seno di Figlia. Era sdraiato su un cuscino (inclinato a scopo digestivo), le braccia allargate, il doppio mento, le labbra semichiuse, la fronte sudata e perfino una certa dose di panza, tale e quale a un commenda dopo un pranzo a base di tagliatelle al ragù e gnocco fritto con parmigiano e crudo di Parma.   Lo guardavo con quel misto di curiosità, passione, stupore, meraviglia che rappresenta l’inequivocabile avvisaglia della sindrome di Stendhal, quando ha aperto un occhio, poi un altro e mi ha guardato per poi “vedermi”, ed era la prima volta. Mi ha guardato e messo a fuoco, poi ha corrugato un po’ la fronte, pensoso. Ho trattenuto il fiato, ma senza ben sapere perché, quasi che il mio corpo avesse avuto una spiata circa quanto di lì a poco sarebbe accaduto, mentre il mio cervello ne era rimasto all’oscuro. Mi sono avvicinata ancora un po’, sempre d’istinto: il viso di Nipotino adesso era solo a una decina di centimetri dal mio. Lui ha spalancato gli occhi,  ha arricciato il naso (un naso minuscolo) e poi ha sorriso. Un sorriso vero, caldo e pieno che gli ha illuminato lo sguardo e messo a nudo le gengive. Gli ho sorriso a mia volta, spiegandogli che le nonne certe volte piangono impropriamente e che la circostanza contingente era una di quelle volte.   

sabato 8 ottobre 2011

ANCORA UNA COMUNICAZIONE DI SERVIZIO (E NON DITE “CHE PALLE”)

Domenica 9 ottobre a Milano alle ore 11, circondata da un’aria pulita senza neanche un filo di polveri sottili, grazie a un tempestivo blocco del traffico (chediolofulmini.com) presenterò a La Feltrinelli di Piazza Piemonte 2 Il (mio) Grande libro italiano del bambino. Ci saranno tanti specialisti e tutti coloro che non si faranno scoraggiare dalla necessità di prendere i mezzi, rinunciando all’auto. Sarò felicissima di conoscere eventuali amici e amiche del blog che dovessero trovarsi per caso a passare di lì.  

martedì 4 ottobre 2011

NIPOTINO BARRACUDA

Nipotino ha molte specialità, ma la migliore è senza dubbio quella di fiutare l’aria per individuare la presenza della mamma  (cioè della sua tetta che, va precisato, si aggiudicherebbe il podio in qualsiasi concorso indetto da La Leche League).
Nipotino fiuta e se Figlia è vicina gira la testa verso la sua direzione, mentre i suoi occhi  semiaperti assumono il colore liquido e profondo della cupidigia. Quindi resta in attesa, immobile, determinato e paziente, come un minuscolo predatore. Dopo pochi minuti abbandona questo stato di silenziosa allerta  e comincia a  succhiare un immaginario capezzolo, appagato – ma dura solo un attimo - dai residui di latte che imbiancano la sua lingua altrimenti rosa (e ruvida come quella di Chiffon, il persiano nero, misterioso, morbido, introverso, della mia infanzia). Si stanca però presto di questo esercizio di fantasia: esaurita la patina lattiginosa, il suo mento comincia a tremolare…un secondo…due secondi….tre…poi gli angoli delle labbra gli si piegano all’ingiù. E' un attimo quindi lacrimoni disperati, tondeggianti come nocciole, iniziano a scendergli dagli occhi, mentre dal petto gli escono urla a 80 decibel (pari all’intensità sonora prodotta da un aspirapolvere posto a un centimetro dalle orecchie).
Nipotino vagisce come uno scaricatore di porto e non come un micetto abbandonato: ha un vocione forte e  vigoroso, niente a che vedere con quei meo meo che si sentono in certi film.   Allora la mamma lo prende in braccio, lui si zittisce immediatamente e gira la testa fiducioso verso il suo petto, aprendo la bocca un po’ di sbieco e fissando concupiscente il pizzetto bianco del reggiseno a finestrella che spunta dalla camicetta di cotone azzurro.
Figlia non lo fa mai attendere oltre, gli offre il seno a cui lui si attacca avido, succhiando con una tale ingordigia che perfino gli esce un suono da fumetto: “Glu, glu, glu”.  
Figlia gli carezza la testina e poi gli dice piano “Ciao barracuda”, e mai soprannome fu più azzeccato perché Nipotino quando fiuta nell’aria la sua mamma ha proprio lo sguardo identico preciso a quello del più insaziabile tra i pesci caraibici. 
                                          

                                                 

domenica 2 ottobre 2011

ENTRATA IN SERVIZIO

Figlia ha ripreso a lavorare 4 ore al giorno per cinque giorni alla settimana, chiedendomi a titolo di favore di evitarle la tiritera sui diritti femminili associata ad articolate critiche nei confronti di un’organizzazione sociale che non sempre tutela la maternità (vedi il caso delle giovani donne medico).
<<A ma’, rassegnati>>, mi ha detto fermamente intenzionata a tagliare corto, in quanto senza neanche un filo di energia da spendere in disquisizioni socio-esistenziali. I primi due giorni è toccato a GP (genero preferito) tenere Nipotino, ma giovedì non poteva. E così,  fin dal mattino ho saputo che dalle tre alle sette mi sarei dovuta occupare personalmente di lui. Finalmente soli, ho pensato, ma senza l’entusiasmo che immaginavo avrei provato. E se la mia vecchia ernia del disco fosse saltata fuori all’improvviso, dopo anni di remissione? E se fossi inciampata proprio mentre andavo a prenderlo perché piangeva? E se avessi sbagliato a scaldare il latte che Figlia aveva raccolto e messo in frigorifero già diviso in boccettini da 100 ml? Ho detto a Figlia di stare tranquilla, che alle 14.50 in punto sarei stata lì, quindi dopo aver chiuso il telefono ho guardato fisso l’immaginetta di Sant’Antonio da Padova (la mia città natale, ecco perché il Santo) che tengo appesa al computer a protezione celeste di sfighe cosmiche, quali perdita di tutti i dati dell’hard disc, interruzione improvvisa della corrente prima del salvataggio del file,  presenza di virus refrattari, a cui AVG fa un baffo, e ho iniziato a contrattare l’efficienza fisica e lo stato di salute ottimale per il pomeriggio che mi attendeva. Per sicurezza ho comunque detto a Nonno Putativo che se avesse avuto il coraggio di andarsene al lavoro come se niente fosse, lasciando Nipotino in balia di una a cui come niente poteva uscire un’ernia del disco talmente dolorosa da renderle impossibile accudirlo significava che era un uomo insensibile e crudele. Un uomo senza amore, a cui dire addio senza rimpianti.  Così Nonno Putativo ha fatto quelle dodici-quindici telefonate che permettono di prendersi mezza giornata di ferie  decidendo cinque ore prima e si è reso disponibile come baby-sitter di sostegno o di pronta-sostituzione, in caso di improvvisa invalidità e/o rincitrullimento della baby-sitter titolare.       Siamo arrivati a casa di Figlia con quella sensazione di inadeguatezza mista a terrore (più un puntino di eccitazione) che sbarra l’ingresso dell’aria nei polmoni prima di un esame o di un colloquio di lavoro in cui ci si gioca il futuro. Figlia ci ha tranquillizzato, ha raccomandato a Nipotino di fare il bravo (che però suonava, almeno ai nostri agitati orecchi, come un “stacci attento ai nonni") quindi si è dileguata. Ci siamo guardati, leggendo l’uno sulla testa dell’altro un fumetto con scritto GULP (quando si dice le affinità elettive) ma nella sua accezione molto più volgare (quella con due zeta lui, quella alla siciliana io che son portata per le lingue). Dopodiché siccome Nipotino dormiva della grossa ho pensato che mi sarebbe dispiaciuto che si sentisse abbandonato quindi piano piano l’ho tirato su dalla culla per fargli capire che poteva contare su di noi.



Ce lo siamo tenuto in braccio a turno, dividendoci equamente i minuti, senza neppure litigare data la solennità della circostanza.
 Dopo circa tre ore da lui trascorse dormendo  e probabilmente sognando distese di latte, dato che di tanto in tanto ciucciava a vuoto, abbiamo deciso di rimetterlo nella culla. Sempre per non farlo sentire troppo solo gli abbiamo però preso la manina.