Nel supermercato che tutti noi allargati frequentiamo abitualmente (e dove quindi ogni tanto diamo vita a brevi ma intense riunioni di famiglia) c’è una cassa speciale, dedicata alle donne che aspettano un bambino. Questa cassa, pur essendo segnalata da un ideogramma inequivocabile - sagoma femminile con pancione – attira la più variegata umanità: omaccioni baffuti con cuore tatuato (la nostra città ne vanta almeno una decina), anziane signore al gusto di lavanda, teenager taglia XXS, vecchini brontoloni con badante fresca di Ucraina.
Ieri Figlia col suo abbigliamento premaman, rappresentato da una corta e aderentissima tunichetta nera, leggins in tinta e scarponcino d’ordinanza (lo stesso che in suolo italiano ogni trentenne si sente in dovere di indossare, potere della consonante muta!), ha deciso di mettersi in fila proprio a questa cassa per incinte, essendo in possesso dei requisiti richiesti. Lo ha fatto così, tanto per provare, più che altro per vedere che effetto le faceva. Davanti a lei i soliti scrocconi del privilegio che non hanno affatto accennato a cederle il passo, a onor del vero sia perché le giravano le spalle sia in quanto la sua pancetta non è ancora ben delineata. Dal canto suo lei si è messa dietro a tutti zitta zitta, senza neppure sognarsi di affermare il proprio diritto alla precedenza, perché se c’è qualcosa da cui sfugge come se fosse peste sono le discussioni con le persone che non conosce: odia, infatti, l’idea che per una delle sadiche leggi di Murphy le possa accadere che, durante un turno in guardia medica, le si pari davanti proprio qualcuno con cui si è azzuffata. Questi tipi di trionfi le fanno venire le rane nello stomaco, quindi per non rischiarli si è votata al pacifismo e alla silenziosa sopportazione. Ma nel suo destino non stava scritto che si sarebbe dovuta sorbire una lunga coda, perché la cassiera di turno brillava per spirito di osservazione. E, infatti, si è alzata in piedi, si è sporta oltre il nastro scorrevole e a gran voce l’ha invitata a passare davanti a tutti:
<<Venga signora…tocca prima a lei…>>
<<Dice a me?>>, ha chiesto Figlia incredula.
<<Certo, lei aspetta un bambino!>>
<<Quindi si vede! Sa è la prima volta che qualcuno se ne accorge…>>
<<Ma dai?>>, si è stupita la cassiera.
Allora Figlia, piacevolmente sorpresa di essere stata presa in considerazione come donna incinta e non giudicata affrettatamente come una che beve troppa Coca cola, ha preso coraggio e, pronunciando a mezza voce quelle che quand’era piccole le avevo spacciate per “magiche paroline capaci di aprire tutte le porte”, ha superato tutta la fila, vergognandosi come sette Figlie che superano una fila di essere suo malgrado finita al centro dell’attenzione.
<<Avevo paura che mi ci mandassero tutti tu sai DOVE>>, mi ha raccontato al telefono.
<<E invece?>>
<<No, no, nessuno, anzi>>
Anzi, perfino i tatuati e le badanti inacidite dai loro vecchini brontoloni e le annoiate teenager filiformi l’hanno guardata con simpatia. Il miracolo della maternità.